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 Volontariato

15 Settembre, 2002
Convegno dell'Auser associazione di volontariato.
Interviene Giuseppe Torchio, candidato alla Presidenza della Provincia di Cremona.

Si è svolto sabato 17 u.s. un convegno dell'Auser, associazione di volontariato, vicina alla Cgil, sul tema " Terzo settore:reti e spazi autonomi per il bene comune"-La funzione "pubblica" del volontariato e il confronmto-integrazioni con le istituzioni. La relazione è stata svolta da Giuseppe Stepparola, Presidente dell'Auser provinciale di Cremona. Fra gli altri è intervenuto Giuseppe Torchio, Presidente Regionale dell'Anci Lombardia, che fra l'altro ha detto:
"La questione dello stato sociale è oggi sempre più al centro dell’intervento degli Enti territoriali, il
cosiddetto welfare locale assorbe infatti in sé due momenti: la plurisecolare tendenza della nostra
gente all’altruismo, al mecenatismo, alle iniziative liberali e la viva necessità di un sempre
maggiore impegno in questa direzione da parte di tutti. Il dilatarsi delle vecchie e nuove povertà e il
trasferimento di sempre maggiori competenze da un ramo all’altro delle istituzioni, per giungere
alla estrema periferia, richiedono sforzi sempre maggiori. La periferia è divenuta infatti il terminale
di una spesa sempre più assorbente e spesso priva del necessario riequilibrio per effetto del
“federalismo senza risorse”. Fenomeno recentemente sottolineato dalla Regione Lombardia,
dall’Anci, dal comune di Milano per i forti tagli a tutti i bilanci e della stessa Unione delle Province
Lombarde nell’incontro di Cremona del 23 febbraio.
E’ centrale nel pensiero politico la necessità di “rendere giustizia” garantendo a tutti l’esigibilità dei
diritti di cittadinanza, nello spirito dell’articolo 3 della Costituzione, nel convincimento che solo un
forte ruolo dell’Ente pubblico nella programmazione e, soprattutto, nella concezione del sistema di
interventi e servizi, può garantire l’universalità dell’accesso e quindi la parità dei diritti che sono le
caratteristiche fondanti di un sistema di welfare posto a fondamento della democrazia.
La Lombardia ha messo in chiaro la sua visione integrata, ribadendo i contenuti della legge quadro
sull’assistenza (1986), precorrendo i tempi rispetto alle altre Regioni, e la stessa disponibilità ad
affrontare concretamente la questione dei livelli essenziali di assistenza (Lea- Liveas), rispetto ad un
ritardo attuativo pluriennale nazionale che rischia di vanificare i contenuti della legge Turco,
rappresenta un elemento di stimolo a definire in tempi brevi le modalità operative di un settore che
tocca sempre più da vicino un numero rilevante di cittadini.
Tutto ciò, unitamente alle altre questioni legate alla precarietà e alla fragilità delle condizioni
personali e familiari, alla rivoluzione delle residenzialità territoriali, allo sviluppo della presenza
delle badanti e alla profonda trasformazione delle strutture per gli anziani in aziende per i servizi al
territorio, riporta prepotentemente al centro il ruolo programmatorio e di coordinamento della
Provincia, per un nuovo protagonismo nell’ambito territoriale intermedio tra Regione, ASL e
Comuni.
La Provincia si è da sempre occupata della qualità dei servizi sociali per i cittadini. Fin dagli inizi si
è presa cura delle situazioni di disagio maggiore, come quelle delle ragazze madri, e ora, con
moderna definizione, delle famiglie monogenitoriali, che venivano sostenute nella scelta di tenere il
figlio e aiutate a farlo crescere nei primi anni di vita. Oggi ci troviamo di fronte ad una situazione
l’esigenza di politiche incisive a favore della famiglia e della reale tutela del valore della vita. Le
tradizionali competenze esercitate storicamente dalla Provincia nel campo sanitario (psichiatria) con
l’avvento della riforma sono state assegnate alla Sanità. Al contempo, la Provincia ha continuato ad
assolvere importanti funzioni nel settore dei servizi sociali ampliando la sua sfera d’azione ad un
ruolo di vero e proprio coordinamento, sia a livello d’attuazione dei piani di zona per effetto della
Legge Turco sia, più recentemente, nella trasformazione delle Ipab. Da anni la Provincia si prende
cura, con ottimi progetti, della condizione degli anziani e delle nuove povertà; non è mai mancata,
inoltre, una forte iniziativa per il riconoscimento del ruolo crescente e fondamentale del
volontariato.
Questo insostituibile ruolo di protagonista della Provincia dovrà trovare un opportuno
riconoscimento da parte della Regione, Ente di coordinamento tra i Comuni, responsabili strategici
nella riforma dei servizi sociali e le Asl, anche attraverso un adeguato supporto ai comuni per un
coordinamento delle politiche socio-assistenziali e la realizzazione di un percorso di
accompagnamento tecnico scientifico per trasferire esperienze e competenze trasversalmente ai tre
distretti e per favorire un coordinamento territoriale, a fronte di esplicita richiesta da parte dei
comuni. Questo intervento deve essere riferito soprattutto al dipartimento Assi ed alla volontà
espressa dalla Regione di realizzare un unico livello di presenza nel settore socio assistenziale, che
accordi la rete regionale con quella degli Enti Locali. L’aumento dell’età chiede di aumentare la
qualità e la presenza della popolazione anziana nelle Rsa. E’ noto che mancano all’appello circa
trecento posti letto nelle case di riposo e ci troviamo di fronte a liste di attesa molto lunghe: una
riflessione e forti iniziative sono da assumere per risolvere queste necessità.
Anche la rappresentanza dei familiari dei degenti e la stessa realtà delle Ipab chiedono una più forte
attenzione al progressivo estendersi di trattamenti sanitari nella fascia della quarta età senza
adeguato riconoscimento economico.
Per quanto riguarda l’applicazione dell’Isee riferito ai livelli di reddito della popolazione anziana si
estenderà alla generalità del territorio la ricaduta degli accordi tra Comuni, rappresentanze sociali,
realtà del volontariato reperendo le necessarie risorse ed attivando sul territorio i contenuti delle
intese tra Anci Lombardia e rappresentanti sindacali dei pensionati.
La Lombardia rappresenta, nelle sue apparenti contraddizioni legate alle differenti maggioranze
politiche che presiedono agli enti locali, un esempio di concretezza operativa che ha portato alla
creazione di una forte rete sociale con la diretta partecipazione economica finanziaria di tutti gli
enti.
Si tratta di un processo iniziato quasi trent’anni fa, che ha visto nel 1986 l’opportuna approvazione
della legge-quadro sull’assistenza e l’integrazione socio sanitaria. Tale apertura di orizzonte ha
portato a realizzare servizi d’avanguardia evidenziando un livello di investimenti nelle politiche
sociali di circa sei volte superiore rispetto alla media nazionale. A ciò si aggiungano le quote non
indifferenti di intervento nelle rette delle case per gli anziani o delle strutture legate all’affido dei
minori o ancora dei centri socio educativi (Cse).
Andranno poi valutati con attenzione tutti i progetti per l’inserimento lavorativo delle persone
portatrici di handicap, con grandi difficoltà di inserimento lavorativo.
Si può oggi calcolare che l’apporto degli enti locali sul pacchetto del welfare incida per circa il 70%
sui Comuni e per la restante parte sulla Regione, con un onere complessivo di 3,5 miliardi di euro
annui.
La capacità di relazione tra i vari soggetti istituzionali interessati ha portato alla definizione dei
piani di zona fortemente partecipati a livello territoriale, mantenendo al centro dell’iniziativa i
Comuni associati ed evitando il conferimento dell’intera problematica all’Asl. L’istituzione, con
oltre tre anni di ritardo, della Conferenza per la Programmazione sanitaria e socio-sanitaria,
rappresenta un momento importante di verifica critica di tutta la politica regionale, che ha
determinato vistose carenze incolmabili con la semplice equazione privatizzazione/aziendalizzazione. Va pertanto recuperato il patrimonio degli enti locali, profondi conoscitori dei bisogni della gente e momento di indubbia tenuta a livello istituzionale.
Esistono esperienze di grande importanza anche nel settore dello scambio di servizi fra cittadini. Un
esperimento fondamentale che ha dato risultati di grande importanza è quello della “Banca del
tempo”. Questo è un modo per riorganizzare la rete di aiuto reciproco, ricreando quei rapporti di
buon vicinato che, per le trasformazioni del vivere quotidiano, stanno ormai scomparendo. E’ un
modello intelligente che va incentivato e aiutato a crescere.
Rimane aperta la questione ospedaliera legata alla necessità di restituire la piena autonomia alla
realtà del casalasco-viadanese e all’ospedale Oglio-Po, la cui natura pubblica rimane fondamentale,
inopinatamente cancellata dalla giunta regionale e da recuperare attraverso nuovi orientamenti della
Regione. Un’importanza particolare riveste l’ospedale Robbiani di Soresina che richiede la
coraggiosa ripresa del piano di riabilitazione, già precedentemente approvato e denominato Conz, la
messa in rete dei 3,5 milioni di euro promessi e mai attribuiti dalla Regione, con gli opportuni
aggiornamenti al servizio del territorio sicuramente molto più significativo dell’attuale elaborato
dall’Azienda Ospedaliera di Crema. E’ interessante, anche se con punte di criticità, il processo di
riconversione dell’Ospedale di Rivolta d’Adda, mentre è di grande rilievo lo sforzo degli enti locali
nel recupero degli ospedali di Castelleone e Soncino.
E’ fondamentale inoltre, nel campo del Welfare, sostenere il ruolo dell’Osservatorio delle Politiche
Sociali, la nuova frontiera che le Province (ed in particolare quelle lombarde) si sono prefisse
nell’ambito delle competenze stabilite con la legge quadro sui servizi sociali (legge n. 328/200). Le
Province lombarde, sul piano tecnico, si stanno muovendo verso un sistema in cui venga loro
ufficialmente riconosciuto ciò che è già stabilito dalla legge nazionale e la Provincia di Cremona è
stata presa come modello per ciò che finora ha realizzato In particolare è stata significativa la
realizzazione del “tavolo della condizione anziana” come momento integrante di coordinamento e
confronto tra Istituzioni e parti sociali. Altrettanto importante l’attività svolta dall’Osservatorio
immigrati nato con la funzione di conoscere e valorizzare gli aspetti di arricchimento che derivano
dal fenomeno immigrazione e di favorire le politiche di integrazione.
Anche il progetto Governance di parità va incentivato: questo nasce dall’esigenza manifestata dalle
amministratrici di due province lombarde - Cremona e Lodi - in raccordo con le amministratrici dei
Comuni e con alcune associazioni femminili di sperimentare forme innovative di promozione della
presenza femminile nelle istituzioni.
Il volontariato e l’associazionismo
La politica deve essere un motore di speranza e non terreno di sconto a tutti i costi. Creare modelli e
osare progetti deve comunicare una prospettiva e invitare alla partecipazione verso un progetto.
Spesso in questi anni le contrapposizioni e gli scontri duro hanno contribuito a creare un clima di
diffidenza verso l’idea dell’amministrazione della cosa pubblica. E’ una circostanza negativa che ha
avuto anche effetti positivi. Molti, non riconoscendosi più nei luoghi tipici del dibattito politico,
hanno scelto di servire la collettività nelle varie associazioni di volontariato. Questo impegno
fondamentale per il vivere civile ha una valenza nobile centrale: l’amministrazione deve quindi
favorire e aiutare ogni forma di privato sociale che vada ad implementare l’azione degli enti
pubblici, nella certezza delle regole e nel rispetto dell’inquadramento del personale interessato alla
realizzazione dei progetti e in una politica che superi il principio del massimo ribasso nelle gare
senza mettere in discussione il rispetto da parte degli operatori dei diritti dei soci-lavoratori e dei
dipendenti. Come indica il Vescovo di Cremona, mons. Dante Lafranconi, bisogna evitare
contrapposizioni e lotte tra gruppi e associazioni tali da indurre a pensare che esistano interessi di
altra natura.
Un ruolo fondamentale nella nostra vita sociale è ricoperto anche dalle associazioni di difesa dei
consumatori che tengono monitorati molti aspetti della nostra quotidianità, garantendoci dalle
possibili disfunzioni. La sicurezza alimentare, la difesa dei risparmiatori e tante altre attività
passano attraverso questi filtri importanti della società. Sono azioni e impegni che vanno favoriti,
soprattutto nella possibilità di divulgare i dati delle ricerche e comunicare in incontri pubblici le
possibilità degli utenti."
------------------------------------------
INTRODUZIONE
di Giuseppe Strepparola
Incontro pubblico del 17 Aprile 2004

Mi assegno il compito di introdurre alcuni spunti, dato che relatori di ben altro spessore daranno il loro contributo.Il riferimento va al titolo del nostro incontro: Terzo settore: reti e spazi autonomi per il bene comune. La funzione pubblica del volontariato e il confronto-integrazione con le istituzioni, che propone una complessa tematica.Il primo tema: in che senso il terzo settore svolge una funzione “pubblica” e agisce per il “bene comune” ?La risposta ci è data soprattutto dal nuovo articolo 118 della Costituzione. Esso stabilisce che l’interesse generale non è solo quello determinato e agito in prima persona dallo Stato, ma anche quello prodotto dall’azione dei cittadini, singoli o associati, quindi anche delle formazioni sociali che strutturano la società. Il perseguimento del benessere pubblico (che significa diritti, democrazia, solidarietà, capitale sociale) non può più essere affidata alle sole istituzioni, ai loro organi democraticamente eletti e ai loro servizi, ma anche ai cittadini e alla loro capacità di realizzare scopi e attività di interesse generale. E’ il principio della sussidiarietà inteso nel suo significato più valido e propulsivo.La sussidiarietà richiama un’altra forma di Stato che non è solo un nuovo modo di essere dello stesso e delle loro articolazioni, ma un nuovo modo di intendere i rapporti fra Stato e cittadini. La revisione del titolo V della Costituzione propone un concetto di sussidiarietà che già aveva ispirato le linee guida della Legge 328 di riforma dei servizi e degli interventi sociali e assistenziali.Per oltre cinquant’anni lo Stato centrale ha svolto un ruolo universalistico, garante dei diritti e del riequilibrio delle opportunità economiche, di salute, di istruzione. Oggi, per tanti motivi, non può e non deve più svolgere questo ruolo da solo e tanto meno con ottica centralistica. Lo Stato da solo non basta; spetta alla società civile e alla comunità locale assicurare aiuti, scambi cooperativi, beni civici indivisi, cultura e saperi accessibili per tutti. L’individuazione e la risposta alle domande sociali – progettazione, interventi, servizi - va costruita e agita insieme ai cittadini, alle famiglie, alle formazioni sociali, al volontariato, alle reti di solidarietà. Il secondo spunto: quale ruolo per l’ente pubblico? Se lo Stato non è necessariamente solo o soprattutto erogatore di servizi (anche se alcuni fondamentali deve continuare ad erogarli), non può però limitarsi ad essere regolatore del mercato, tra chi domanda e tra chi offre prestazioni e beni. Deve costruire il quadro generale dei principi e delle scelte, deve occuparsi delle “regole”, innanzitutto da quelle appunto che favoriscono lo sviluppo della collaborazione fra i cittadini, fra gli attori sociali, così come deve curarsi delle garanzie per il soddisfacimento dei diritti universalistici, stabilire gli indicatori di sviluppo dei servizi e di valutazione della loro qualità. La forza del pubblico e dello Stato è irrinunciabile per la costruzione di politiche di giustizia coesione e di libertà. Se mancano queste, come vuole oggi il governo centrale e quello regionale, la risposta ai problemi e ai bisogni viene affidata al mercato o a forme di “compassione” sociale, non alla esigibilità dei diritti. Non è un caso che sul ruolo dello Stato come stratega si appunta l’offensiva della destra nel nostro paese, proprio per liberare il terreno dall’ostacolo principale verso un modello sociale dominato dal mercato, in cui le risposta ai bisogni dei gruppi sociali, delle famiglie, sono affidati a forme residuali e a logiche di elargizione compassionevole.Il terzo spunto: il nuovo principio costituzionale in fondo ci dice che il nostro futuro sociale è soprattutto affidato alla capacità di attivazione della società civile. Ma questa è possibile e realizzabile solo puntando sul welfare locale.
In questo senso, non solo occorre pensare a nuove esperienze di incontro, di confronto e di collaborazione fra cittadini, forze sociali e istituzioni locali, ma anche a un cambiamento del modello del nostro stato sociale.Un solo esempio, in riferimento alla sempre più rilevante questione degli anziani non autosufficienti. Gli Enti locali, pressati dai bisogni crescenti degli anziani, avvertono che la soluzione non va cercata nella sola aggiunta quantitativa di prestazioni; di servizi a prestazione individuale: richiederebbe un volume enorme di operatori professionali e otterrebbe risultati modesti.Servono modelli nuovi in grado di moltiplicare le forze, le risposte e la loro qualità. Ecco che si ripropone il ruolo pubblico del terzo settore ed insieme il ruolo di “attivatori”, di regia, di garanzia delle istituzioni, degli enti locali. Un quarto stimolo: occorre essere consapevoli che non sempre le pur preziose risorse prodotte dalle forze e dalla esperienze della società divengono cittadinanza attiva e capitale sociale.Cittadinanza attiva significa legare la risposta a bisogni e a disagi concreti ai diritti, alla giustizia sociale.La cittadinanza attiva si realizza quando i cittadini si pongono come legittimi titolari di diritti, ma anche quando nel contempo diventano, in prima persona, portatori di doveri, a partire da quello della partecipazione alla vita civile e pubblica.Capitale sociale è il prodotto degli scambi tra soggetti, singoli e collettivi, che in un comunità mettono in campo risorse e conoscenze, si aiutano, cooperano, si danno fiducia. La rete familiare è la massima produttrice di questi beni: una produttrice insostituibile di ricchezze economiche, istruzione, cultura, alloggio, occasioni di lavoro, protezione materiale e cura. Ma conta anche il ruolo della cooperazione spontanea fra le persone, e quello delle associazioni, delle varie forme che esprimono prossimità e solidarietà.
Ma la domanda è: tutto questo enorme patrimonio, è davvero disponibile per la comunità? Ne cambia davvero valori, comportamenti, modelli di vita collettiva?. Più precisamente: rende più sostenibile e fecondo il welfare locale? Offre stimoli e orientamenti all’innovazione dei servizi sociali?Infine, un’ultima questione: quanto, come, con che risultati, noi come Auser, noi come terzo settore e il Sindacato, ci assumiamo le responsabilità di far crescere la cittadinanza attiva e il capitale sociale, al nostro interno e nella comunità? La risposta non è facile, perché questo ruolo non è un dato di partenza, né una condizione che si raggiunge una volta per sempre… E’ un percorso, un punto di arrivo. Cominciamo da noi.
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E’indubbio che svolgiamo tante azioni, esprimiamo esperienze di solidarietà, ci occupiamo di interessi, di momenti di socializzazione e di crescita importanti, in quanto sappiamo che la dimensione della vita di una persona non è solo quella sociale, ma riguarda il divertimento, la cultura, le relazioni interpersonali dell’individuo.
Inoltre, anche noi realizziamo sul territorio progetti connotati di grande valore sociale di solidarietà e di condivisione, come ad esempio il progetto del Filo d’Argento, il telefono amico degli anziani e delle famiglie.
Recentemente l’Assemblea dei Sindaci del Distretto di Cremona ha esaminato positivamente il nostro progetto, nell’ambito di quelli realizzati attraverso il Piano di Zona.
E’ stato questo un importante riconoscimento per questo nostro progetto: ne siamo molto grati a tutti coloro che hanno concorso a tale decisione.
Altre attività sono ben visibili, ovviamene con varietà e dimensione adeguate, nell’immenso “fare” dell’intero mondo del volontariato e dell’associazionismo.
Eppure, sappiamo che potremmo e dovremmo fare meglio le cose che pure facciamo e che potremmo e dovremmo farne molte altre.
Dovremmo riuscire a rielaborare le nostre esperienze per metterle di più e meglio a disposizione della vita sociale e della stessa politica, intesa nel suo significato più profondo.
Questo tema è di enorme portata, e sarebbe assurdo tentare di affrontarlo nella sua complessità.
Ma possiamo cominciare dalle cose che più direttamente ci riguardano, e già fare questo non sarà di sicuro una cosa facile.
Ad esempio: come aumentare la quantità e la qualità dell’azione volontaria dell’Auser?
La sua capacità di motivare e realizzare iniziative culturali, percorsi di memoria individuale e collettiva, riscoperta del territorio.
Come implementare le nostre attività con quella del sindacato?
Come stringere maggior e migliori relazioni di sinergia con le altre realtà associative?
Come contribuire a meglio qualificare la vita e l’attività dei centri sociali, i nostri e quelli in generale, in modo che non si limitino alle pur preziose funzione di socializzazione e di ricreazione?
Come stimolare l’Università Popolare delle LiberEtà a mettere a disposizione di esperienze nel territorio e di politiche culturali e formative le sue già straordinarie attività didattiche? Come attrezzarci per essere presenti, attivi, con il sindacato, con altre associazioni, nella negoziazione territoriale, nell’elaborazione dei piani sociali di zona?

Moltiplicare le domande può essere un segno di incertezza.
Ma non lo è, se le domande riguardano problemi giusti e ci interrogano davvero sul cosa dobbiamo fare e sul come dobbiamo essere nel futuro.






 


       



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