15 Settembre, 2002
Il testamento ideale di Mario Luzi nel suo discorso mai pronunciato
“Non sono un uomo di parte (…) sono però un uomo di pace”
Il presidente del Senato Pera ha reso pubblico l'appello che Mario Luzi aveva
intenzione di leggere in aula alla prima occasione utile e che aveva consegnato
pochi giorni prima di morire
"Signor presidente, onorevoli colleghi, sento di dovere un
ringraziamento dal profondo del cuore a quanti, e sono molti, si sono adoperati
per questa nomina che mi onora superlativamente. Con pubbliche petizioni
sottoscritte da molti cittadini famosi o oscuri, con appelli radio e
giornalistici si è prodotta una mozione di simpatia più diffusa di quanto
potessi aspettarmi. A tutti indistintamente un saluto riconoscente nella
speranza di non deludere completamente l'aspettativa.
Con particolare affetto e devozione rivolgo il pensiero al presidente della
Repubblica che mi ha ritenuto degno di sedere in questo seggio. Misuro infatti
l'altezza dell'onore fattomi dalla statura culturale e civile di coloro,
senatori a vita, che mi siedono accanto in questo consesso. La lista dei nomi ai
quali il mio va ad aggiungersi è impressionante e mi fa dubitare di essere
vittima di un abbaglio.
No, non è un abbaglio, devo convincermi, e dunque io siedo veramente dove hanno
seduto Manzoni, Carducci, Montale, ma anche Garibaldi, Verdi, Verga.
La storia dell'Italia è salita fin qua, e addirittura qua è stata fatta. Il
che è avvenuto non infrequentemente.
L'istituzione ha un grande prestigio e ha, allo stesso tempo, una parte incisiva
e determinante nella vita politica nazionale. Mi permetto di insistere su questo
vocabolo che voglio sia inteso nella pienezza che le aspirazioni tribolate e
appassionate delle vicende risorgimentali e postrisorgimentali gli hanno dato,
senza diminuzioni palesi o surrettizie.
Non sono un uomo di parte, né di partito e spero neppure di partito preso. Sono
qui, suppongo, aldilà dei miei meriti, non dico a rappresentare, ma almeno a
significare un lato della nostra realtà troppo spesso trascurato e maltrattato,
quando dovrebbe essere privilegiato e sostenuto in tutte le sue manifestazioni
di splendore e di bisogno. È il settore, ma dispiace chiamarlo così, della
cultura dell'arte, della loro storia, dei loro documenti e monumenti, della loro
attualità.
Non sono un uomo di parte, dicevo, sono però un uomo di pace e tutto quanto si
fa per promuoverne e assecondarne il processo e la durata lo considero
sacrosanto, inclusa qualche inopportunità, qualche errore controproducente
perdonabile con la buona fede.
Non devo dire molto di più su me stesso se non confermarmi nell'atavico
sentimento comune a tutti gli uomini della mia generazione e delle antecedenti
alla mia che l'Italia è un grande paese in fieri, come le sue cattedrali. Lo è
secolarmente, non discende da una potestà di fatto come altre nazioni europee,
viene da lontani movimenti sussultori fino alla vulcanicità dell'Otto e del
Novecento. La nazione si unisce e ascende a se stessa, la sanzione di quella
ascesa è lo Stato, per il quale penso si debbano avere, data la nostra
storia, speciali riguardi. Revolution e amelioration possono equamente curarlo,
ma tradirlo e spregiarlo non dovrebbe essere consentito a nessuno. Con questi
pensieri e convincimenti mi associo a questo illustre consesso".
 
"Offrire versi con simpatia"
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