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15 Settembre, 2002
Un Paese senza Diritti un Paese senza Futuro
di Livia Turco

Un Paese senza Diritti un Paese senza Futuro
di Livia Turco

È mai possibile che le sorti di una famiglia siriana con quattro figli in minore età, il cui unico torto è stato quello di opporsi al regime vigente nel proprio paese e che, approdata all’aeroporto di Malpensa, dopo cinque giorni viene espatriata nel suo paese dove è già stata portata in carcere e rischia la pena capitale, non ci preoccupi, non ci coinvolga, non pretenda verità e chiarezza? Il governo italiano non sente su di sé l’onere di dare tutte le spiegazioni per respingere in modo nitido il sospetto di essere complice - per via delle sue leggi o della cattiva applicazione delle medesime - della violazione di uno dei fondamentali diritti umani che è il diritto d’asilo?
Ci preoccupano le reazioni di indifferenza e sottovalutazione che su questo caso, denunciato autorevolmente dal già presidente emerito della Corte Costituzionale Giovanni Conso, dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite in Italia e da «l’Unità», abbiamo registrato sia da parte del governo che degli organi di informazione. Eppure è in gioco qualcosa di grande e di fondamentale.
È in gioco la vita di un padre e l’incolumità di una famiglia. Sono in gioco i valori di fondo della nostra convivenza civile.
È in gioco la permanenza o meno nel nostro ordinamento giuridico e soprattutto nella prassi concreta il rispetto del diritto d’asilo. Il quale è tutelato dall’art. 10 della nostra Costituzione e dall’art. 14 della Dichiarazione universale sui diritti dell’uomo del 1948. È nota la vicenda ai lettori di questo giornale anche perché è l’unico ad averne parlato in modo approfondito.
Il Dipartimento di Pubblica Sicurezza ha dichiarato che «la polizia di frontiera ha adottato tutte le misure previste dalla vigente normativa in assenza di richiesta di asilo politico». Ma le dichiarazioni della polizia sono contraddette da quelle del cognato del signor Mohamed Said Al Sahri il quale sostiene di essere stato in contatto con la sorella, di essere certo che è stata rivolta domanda d’asilo, che sarebbe partito da Londra per venire ad incontrare la sorella ma che questo colloquio è stato negato.
Ci permettiamo di argomentare che la tesi «non hanno rivolto domanda d’asilo, quindi potevamo solo considerarli immigrati clandestini» ci pare fragile e bisognosa di precisazioni e chiarimenti. Il signor Mohamed Said non ha nascosto la sua identità e dunque era chiaro all’autorità di polizia che si trattava di persona che fuggiva da un paese in cui sarebbe stato pericoloso rientrare.
Perché in cinque giorni di permanenza nel nostro paese non è stata approfondita la conoscenza della situazione in cui si trovava quella famiglia? Perché non cercare un interprete? Perché non interpellare l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite? Perché non accettare l’incontro con il fratello? E poi, chi può accertare e confermare l’affermazione della polizia di frontiera secondo cui il signor Mohamed non avrebbe rivolto domanda d’asilo? È normale in vicende così rilevanti contar solo sulla parola delle forze dell’ordine? Non è questa la conferma della grande discrezionalità concessa alle forze dell’ordine per quanto concerne le procedure del diritto d’asilo? Non è proprio tale discrezionalità ciò che rende fragile e precario tale diritto? E poi, quanti sono i casi Mohamed che non conosciamo?
Non ci sembrano questi quesiti ed interrogativi oziosi. Per questo è doveroso far chiarezza su quanto è accaduto. Attraverso una interpellanza parlamentare chiediamo al ministro Pisanu di venire a riferire in Parlamento. Al ministro Frattini chiediamo di attivarsi presso il governo siriano perché sia tutelata l’incolumità della famiglia Mohamed. Sono in gioco l’incolumità e la vita di una persona e della sua famiglia, che sono un bene in sé e richiedono il massimo impegno. Ma è in gioco anche il ruolo del nostro paese.
Vogliamo chiuderci in noi stessi?, restare indifferenti nei confronti della sorte dei diritti umani e delle regole democratiche al di fuori dei nostri confini? Il diritto d’asilo non può essere considerato un impaccio o un residuo del passato.
Ma deve avere - in sintonia con l’Europa - una regolazione adeguata ai drammi e alle sfide del nostro mondo. Purtroppo, il governo Berlusconi anziché dotare il nostro paese di una legge organica sul diritto d’asilo ha modificato nella Bossi-Fini la normativa vigente nella direzione di una ulteriore precarizzazione di tale diritto. La Bossi-Fini rende molto più difficile ottenere lo status di rifugiato e assai più arduo avviare procedure di ricorso di fronte ad eventuali dinieghi.
L’aspetto più grave è rappresentato dalla norma che prevede l’espulsione immediata del richiedente asilo nel momento in cui la commissione territoriale gli nega il riconoscimento di status, impedendo alla persona di esercitare un effettivo diritto alla difesa.
La politica del governo è ispirata da un approccio culturale che, purtroppo, era stata sintetizzata in modo inequivoco proprio dal ministro Pisanu, quando un mese fa dopo un incontro con il commissario Vittorino, ebbe a dire che«il diritto d’asilo è un problema marginale per il nostro paese e poi, lo sanno tutti, che il richiedente asilo è colui che conosce bene la legge sull’immigrazione che tenta di aggirarla presentando domanda d’asilo».
Per questo rivolgiamo un pressante appello al governo perché si adoperi nel fare chiarezza sul caso del signor Mohamed e per garantire l’incolumità della sua vita. Vogliamo anche che il governo riconsideri la sua politica sull’asilo e si confronti seriamente con le proposte dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite, del Cir, delle associazioni, delle forze di opposizione.
Per essere protagonista nella costruzione di un’Europa aperta, sicura e solidale
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Welfare Cremona News ringrazia Livia Turno per aveci permesso di pubblicare questo articolo.  


       



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