15 Settembre, 2002
Vecchi si diventa, ma la vecchiaia non è uguale per tutti. di G.C.Storti
Nonna Barbara a 60 anni era vecchia,vestiva di nero, sentiva di pipi , non si tingeva i capelli e non si metteva né belletti né rossetti e viveva con una pensione sociale da fame.

Vecchi si diventa, ma la vecchiaia non è uguale per tutti.
Nonna Barbara a 60 anni era vecchia,vestiva di nero, sentiva
di pipi , non si tingeva i capelli e non si metteva né belletti né rossetti e
viveva con una pensione sociale da fame.
Oggi, fra gli ultra sessantenni si distinguono almeno quattro tipologie di vecchi.
Le denominazioni sono di fantasia e quindi ovviamente
criticabili, mancherebbe altro..
La prima, che possiamo chiamare “ non vecchi” pesano per
circa il 30 % sul totale. Sono quelli che lavorano ancora, quasi sicuramente
sono in pensione, la arrotondano ed accumulano ancora per il futuro.
La seconda, “ i vecchi attivi”, rappresentano circa il 33%
degli anziani. Lamentano qualche disturbo ed una minore energia e sono
perfettamente inseriti. In genere sono impegnati nel sociale, fanno
volontariato, hanno redditi medi non accumulano piu’ ma risparmiano.
“ I consapevoli”, terza categoria, rappresentano circa il
9%. Utilizzano al meglio i privilegi della categoria, dagli sconti sui
viaggi , alla carta argento ecc.) Sono
benestanti e vivono la loro vecchiaia con grande serenità.
Infine “ gli emarginati” che sono circa il 29% e rappresentano per davvero il clichet della
condizione anziana.
Insomma oltre la metà della popolazione anziana, fra i 60 ed
i 70 anni, non vive piu’ nell’angoscia di diventare povera e partecipa agli
stili di vita della modernità.
Ragionare quindi, in maniera asettica sulla elevazione dell’età pensionabile
generalizzata per tutti è , quasi sicuramente, un retaggio culturale di un
sistema di welfare massificato che non teneva conto né dell’inalzamento
oggettivo della vita che delle condizioni sociali e delle conquiste mano a mano
maturate.
Attenzione quindi alle “ grida” del nuovo governatore della
Banca d’Italia, che conti alla mano ci dice che spendiamo troppo in pensioni e
che quindi è necessario elevare l’età pensionabile generalizzandola.
Non sono un esperto e quindi mi limito a porre il problema.
L’età pensionabile,
fatto salvo il raggiungimento di un minimo di contributi, sicuramente
eliminando “ il gradone berlusconiano” , dovrebbe essere piu’ flessibile e
legata in qualche modo ad alcuni virtuosi parametri. Incentivi per chi va
avanti a lavorare e disincentivi per chi smette “ prima”, fatte le salve alcune
condizioni.
Queste misure vanno accompagnate da rimodulazioni fiscali
ecc. Insomma decida il cittadino-lavoratore quando andare in pensione, dopo un
minimo di contributi versati ( 40 anni? ) . In sostanza si tratta di riprendere
e dare corpo a questo principio, già contenuto nella Riforma Dini, e di
ricercare un nuovo patto sociale .
Non ci si può certo arroccare a posizioni miopi che non
colgano i grandi mutamenti in atto.
Ragionare in astratto, in maniera ideologica, non aiuta .
Che senso ha vedere centinaia di migliaia
di pensionati , ancora “ non vecchi” lavorare , il piu’delle volte , in nero?
Questa ricchezza prodotta, questo PIL “ in nero”, non contribuisce mimimamente
alla crescita del paese. Se vogliamo trovare risorse per i “ non autosufficienti” dobbiamo anche creare piu’
ricchezza. E la ricchezza, in questa società moderna, non è la rendita, ma il
lavoro. Va anche recuperata una dimensione culturale del significato di lavoro.
Il lavoro non è una catena da cui liberasi, ma una opportunità della vita da realizzarre.
Sono questi concetti che erano cari alla sinistra di fine
‘800 quando le battaglie erano per la riduzione dell’orario di lavoro come
elemento di promozione sociale. Forse è necessario che ci interroghiamo di piu’
su questi problemi. La sinistra di oggi, nel rimettere al centro la persona,
deve saper fornire alla società una prospettiva di sviluppo e di crescita. Il
futuro non è stare sdraiati al sole senza far nulla, il futuro sta nella
ricchezza che il lavoro dell’uomo produce. Non viviamo la pensione come una
liberazione dal “ lavoro”, dalla “ schiavitu’ del lavoro”, ma come alle origini “ come salario
differito da impiegare quando non si può..piu’ lavorare”.
storti@welfareitalia.it
 
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