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15 Settembre, 2002
“Anziani una zavorra”. Forte denuncia della poetessa Ada Merini. di G.C.Storti
Dove li mettiamo? In casa di riposo o li lasciamo a casa loro.Le Case di Riposo denunciano i finanziamenti insufficienti erogati dalla Regione Lombardia.

“Anziani una zavorra”. Forte denuncia della poetessa Ada Merini,
Dove li mettiamo? In casa di riposo o li lasciamo a casa loro.
Le Case di Riposo denunciano i finanziamenti insufficienti erogati dalla Regione Lombardia.
Sono questi i temi che rimbalzano dalle pagine del Corriere della Sera  ( del 30 aprile u.s.). Un tema a noi cremonesi ben noto. Una medaglia con molte facce quello del pianeta anziani.
Da un lato le Case di Riposo , che in questi anni si sono modernizzate, hanno investito molto e adeguandosi agli  standard, dall’altro il pianeta anziani che vive solo nelle case, spesso senza assistenza, in condizioni di isolamento, abbandonato dalle famiglie e non intercettato dalle strutture pubbliche.
Il dilemma si presenta forte: li lasciamo a casa loro garantendo il massimo di assistenza o li mettiamo nelle nuove case di riposo ristrutturate e confortevoli ma comunque sempre luoghi di accoglienza estranei alla vita di una persona ?
Quello che appare evidente, dall’esame delle normative nazionali ed anche regionali è che i finanziamenti pubblici , sempre di piu’ sono indirizzati verso la domiciliarità. Il percorso aperto dalla legge finanziaria sul fondo per la non autosufficienza chiaramente indirizza le risorse  verso le famiglie o in ogni caso verso quella rete,  parentale o meno, che ruota attorno al non autosufficiente, sia esso anziano o no.  Del resto, è evidente a tutti, come a volte, la rete familiare,  parentale o meno, ad un certo punto ( ed il punto di criticità è del tutto circoscritto al quel momento, a quella situazione temporale) non sia  piu’ in grado di reggere la domiciliarità. Una conferma di ciò è l’età sempre piu’ avanzata di ingresso nelle RSA e la diminuzione del tempo di permanenza nelle stesse che tradotto significa che in queste strutture si entra piu’ tardi ( quindi si rimane piu’ a lungo a domicilio) e la vita media  nelle strutture  si è quasi dimezzata, passando dai circa 7 anni, del decennio scorso  ai 3 di oggi.
Questo processo dunque della domiciliarità sta andando avanti da almeno un quindicina d’anni  e nelle strutture si arriva sempre piu’ tardi ed in condizioni di cronicità molto compromessa.
Quindi porre in alternativa secca il problema mi pare estremizzare una situazione e non cogliere gli aspetti intermedi del fenomeno.
Un altro argomento che depone a favore della domiciliartità  è quello relativo ai costi. Si dice e lo si dimostra anche che questa modalità economicamente pesa meno sia alle famiglie che allo stato, alla comunità locale.  Anche questo è un assunto non sempre veritiero e non universalmente  dimostrabile.
Il dato vero è che queste modalità , domiciliarità, semiresidenzialità  ( centri diurni) e residenzialità molte volte non sono personalizzate , ritagliate a misura su quella persona appunto, su quel contesto di rete parentale o meno. E’ questa la vera sfida della  “ governance” del welfare del prossimo decennio.
La personalizzazione , la capacità di offrire risposte articolate in tempi diversi ecc.
Quindi un grande ruolo dei comuni, dei distretti come appunto stabiliva la legge Turco di riforma dell’assistenza. Ma le risorse ci sono?
Partiamo dalle risorse familiari o meglio dell’anziano solo che diventa vecchio. La media delle pensioni oggi, di chi ha lavorato per 35 anni, è sui 700-800 euro al mese. Raramente arriva a mille. La media degli affitti, di case piccole, di bilocali è  di circa 300-400 euro al mese. Quanto tempo può reggere , da solo questo anziano che oggi ha sui 65-70 anni? Quale è  oggi e quale sarà domani la sua qualità di vita? La retta media a carico dell’ospite si aggira sui 45 euro al giorno, ovvero  sui 1.350  euro al mese. Quell’anziano di cui si diceva prima come può pensare di essere ricoverato in RSA? Quando poi diventerà invalido cronico ( in gergo burocratico invalido al 100%) avrà diritto all’assegno di accompagnamento che si aggira mediamente sui 400 euro al mese.
Anche in questo caso quindi  non riuscirà da solo a pagarsi la retta in RSA.
Nessuno va volentieri in RSA e quindi la tendenza naturale è  quella  di rimanere a domicilio e non solo per ragioni economiche.
Giustamente gli enti gestori di RSA si lamentano che la Regione Lombardia non garantisce il 50% , di parte sanitaria, dei costi di una giornata di degenza in RSA. E questo è sacrosanto. In questi anni  gli enti gestori, con questa politica di restrizione, sono stati messi in ginocchio e la maggior parte di loro, non solo per queste ragioni, sono in deficit.
Del resto però la Regione Lombardia , che non trasferisce alle RSA il  dovuto, non finanzia  nemmeno i comuni  per garantire una forte rete domiciliare. Anzi, il taglio dei fondi è stato pesantissimo.
Questo è il punto. Il sistema oggi ha difficoltà sia a finanziare la domiciliarità che la residenzialità con il risultato che i costi si riversano sulle famiglie che sono nelle condizioni sociali che abbiamo visto.
La risposta non può quindi essere unidirezionale  sia partendo dal diritto del cittadino che del finanziamento del sistema.
Vanno messe sicuramente , complessivamente , piu’ risorse sia per sostenere la domiciliarità che la residenzialità.
Quindi va rilanciata con forza la battaglia per il fondo per la non autosufficienza da un  lato e dall’altro, come già previsto dalla legge Turco, va introdotto , ad ogni livello, il sistema di valutazione chiamato Isee per far si che ogni famiglia contribuisca alla spesa sociale in ragione della sua capacità di reddito. Come del resto è assolutamente necessario che si aprano spazi “ visibili e riconoscibili” di professionalizzazione e regolarizzazione di quelle figure “ le badanti” che oggi sembrano per davvero l’unica risposta alternativa alla residenzialità. Costano poco ( sui 600/800 euro al mese) , sono disponibili quasi ventiquattro ore su ventiquattro , sono ubbidienti perché straniere e quasi sempre clandestine e quindi docili.
Ma vi sembra questa una scelta di civiltà? Non siamo ad una nuova forma di schiavismo che in ragione di due principi, bassi costi e domiciliarità, stiamo, tutti o quasi, favorendo?
storti@welfareitalia.it

* articolo pubblicato su Il Piccolo di Cremona di sabato 5 maggio 2007.

 


       



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