15 Settembre, 2002
In memoria di Gianni Agnelli
Intervento del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano alla Conferenza internazionale *Italy, Europe end the U.S. - the transatlantic link and int future* - *Why history matters: the ties that bind us* - da www.quirinale.it
Per una singolare coincidenza, che nel mio personale ricordo ha
assunto un suo significato, accadde che incontrassi per la prima
volta Gianni Agnelli proprio a New York. Era quella, nella primavera
del 1978, anche la prima volta che visitavo gli Stati Uniti, col
proposito di conoscere più da vicino quel mondo e di suggerire
un'idea non convenzionale del cammino della sinistra italiana. Per
Gianni Agnelli, era invece solo una delle innumerevoli tappe del suo
continuo muoversi tra le due sponde dell'Atlantico, nel segno di un
duplice amore, per l'Italia e per l'America, e così sempre di più, di
fatto, rappresentando oltreoceano il nostro paese, nel suo profilo
più moderno, più dinamico e accattivante.
Da quel giorno, dopo quel mio primo incontro con "l'Avvocato", molti
altri ce ne sarebbero stati, in un rapporto - credo di poter dire -
di reciproca attenzione, stima e simpatia.
E allora, come si potrebbe meglio che nel nome di Gianni Agnelli
riflettere su quel che ha legato e lega Stati Uniti e Italia, noi
italiani e l'America, in un vincolo di solidarietà e alleanza che si
è venuto intrecciando sempre di più con quello tra Europa e Stati
Uniti?
Noi Italiani, noi Europei, non dimenticheremo mai la parte che ebbero
le forze armate americane, con un costo di vite umane ingente, nella
liberazione del nostro Paese, e di tutta l'Europa, dal dominio
nazista. Se mi è consentita una testimonianza personale aggiungerò
che egualmente non posso dimenticare quale rapporto di
compenetrazione e simpatia si stabilì tra la popolazione e le truppe
americane che rimasero a lungo nella città di Napoli, dopo averla
liberata il 1° ottobre 1943, e condivisero la drammatica condizione
umana in cui la guerra l'aveva precipitata.
L'intervento americano, nel secondo come nel primo conflitto
mondiale, fu determinante per le sorti dell'Europa, e fu prova di un
legame dell'America con il vecchio continente che aveva profondissime
radici. Ed è motivo di orgoglio per noi che, dopo la caduta del
fascismo, gli Italiani abbiano partecipato, con la cobelligeranza e
con la Resistenza, di militari e di civili, alla lotta per la
Liberazione.
Quando le forze politiche italiane, dopo il voto popolare da cui
nacque la nostra Repubblica, seppero, sulla base di valori comuni
radicati nell'antifascismo, tenere a freno i dissensi politici e
ideologici per dare vita insieme, con coraggio, alla nostra
Costituzione, esse si collocarono, consapevolmente, nella scia della
lunga storia della democrazia moderna. Sappiamo bene che questa
storia ebbe uno dei suoi punti di partenza nella Rivoluzione
americana e nei grandi principi di libertà e di uguaglianza fra tutti
i cittadini su cui si fondava la giovane democrazia che ne era nata,
ispirandosi a sua volta a ideali illuministi e cristiani, espressione
della civiltà europea.
Ci riesce talvolta difficile non considerare la storia americana come
un capitolo di storia europea. A sua volta, ancora negli anni del
dopoguerra, l'America - con il Piano Marshall, da cui venne, insieme
con una straordinaria prova di solidarietà, l'impulso a una prima
concertazione di sforzi in Europa, e quindi con la dichiarata
simpatia per il progetto comunitario - mostrò di guardare all'Europa
con un istinto di partecipazione alle vicende del vecchio continente
che è molto più della semplice espressione di puri interessi politici.
Poi fu la Guerra fredda, che divise l'Europa, e anche l'Italia, in
due campi politici. Nacque, non senza una forte contrapposizione nel
nostro Paese, l'Alleanza Atlantica. Ma ebbe presto inizio anche un
intenso, a mio avviso ancora oggi esemplare processo di negoziati per
il controllo degli armamenti che si protrasse per decenni e che diede
vita a un succedersi di trattati, fondamento di quella che fu
chiamata la coesistenza pacifica tra le grandi potenze.
Le tensioni, internazionali ed interne, si attenuarono. In Italia si
giunse, attraverso una graduale evoluzione degli orientamenti e
dei "clivages" politici, a una larghissima condivisione delle grandi
scelte che avevano segnato la nostra collocazione internazionale:
Comunità Europea e Nato. Venne meno, in sostanza, anche nella
sinistra di opposizione, l'antiamericanismo ideologico. La grande
maggioranza degli italiani si riconobbe via via in un ricco
patrimonio di valori comuni : in quello spazio politico che chiamiamo
Occidente, come luogo della democrazia politica e del pluralismo
economico, sociale e culturale, i cui principi hanno finito per
estendersi a tutto il Continente, quasi interamente riunificato
nell'Unione Europea.
Il cammino dell'integrazione e dell'unità politica dell'Europa rimane
ancora incompiuto ; ha conosciuto e continua a conoscere battute
d'arresto. Ma non ho dubbi che operino a suo sostegno ragioni e
spinte oggettive profonde. E non è soltanto la storia passata che ci
spinge a completare, passo dopo passo, la costruzione delle
istituzioni comuni capaci di garantire il progresso economico,
sociale e civile dell'Europa unita : ma è anche la coscienza che i
popoli europei potranno salvaguardare i loro interessi e i loro
valori, e dare un contributo peculiare al governo globale in un mondo
di pace, soltanto se sapranno esprimere la loro volontà e capacità
d'azione unitaria.
Nel quadro così complesso del nostro tempo si propone in modo nuovo
anche il legame, storicamente fortissimo, fra America ed Europa, e
oggi, fra gli Stati Uniti e l'Unione Europea in quanto tale, come ci
dicono anche i periodici summit e le dichiarazioni comuni che ne
scandiscono il dialogo. Se tuttavia emergono talvolta ancora legami
particolari, privilegiati, fra Washington e questa o quella capitale
europea, ciò si deve, a mio avviso, soprattutto alla difficoltà che
ancora troviamo noi Europei per esprimere una solida politica comune.
Ma confido, caro amico, che non sia troppo lontano il momento in cui,
per parlare con l'Europa, il Presidente degli Stati Uniti, o il
Segretario di Stato, disporrà di un singolo numero di telefono cui
rivolgersi, e troverà all'altro capo della linea telefonica chi
sappia e possa rispondergli rappresentando e impegnando l'Unione nel
suo insieme. Comprendo quanto sia complicato e talvolta difficile il
dialogo dell'America con una Unione di Stati ancora sovrani. Ma credo
che l'America debba incoraggiare, anche nel suo stesso interesse,
l'Europa a non funzionare come mera "collection of nation-states"
bensì come entità politica unitaria. E' così che possono meglio
consolidarsi le relazioni transatlantiche rendendo vitale l'Alleanza
che le suggellò.
Non lo disse forse già nel 1963 il Presidente Kennedy ? Cito le sue
parole :
"E' solo un'Europa pienamente coesa che può proteggerci tutti da una
frammentazione dell'alleanza. Solo una simile Europa consentirà una
piena reciprocità di trattamento attraverso l'oceano nel far fronte
all'agenda Atlantica. Solo con una simile Europa potremo realizzare
un pieno rapporto di dare e avere tra eguali, una eguale ripartizione
di responsabilità, e un uguale livello di sacrificio".
Oggi come non mai sentiamo quanto debba ancora rafforzarsi quella
coesione, e il senso di una identità comune, dell'Europa, affinché
l'Unione possa esprimere sulla scena mondiale - ai fini della
resistenza a minacce gravi come è nella fase attuale il terrorismo, e
quindi ai fini del mantenimento della pace e dell'avanzamento
economico e sociale di tutti i popoli, in modo particolare di quelli
più poveri, tutto il suo peso, non soltanto economico.
E' vero, caro amico: la nostra è ancora una "Europa in transizione",
come Lei l'ha definita. E ciò crea difficoltà sul terreno di un
impegno comune fra l'Unione Europea e gli Stati Uniti d'America per
la sicurezza mondiale. Ma non regge la polemica distinzione
fra "Marte e Venere". Si è manifestata in Europa in misura crescente
la consapevolezza dell'impossibilità di fare esclusivo affidamento
sulla forza degli Stati Uniti per fronteggiare sfide molteplici e
crisi acute, la consapevolezza cioè del non poterci sottrarre alle
nostre responsabilità in senso globale. E' quel che dimostra la forte
e costruttiva presenza europea, e segnatamente italiana, in missioni
multilaterali di stabilizzazione di numerose aree, a noi vicine e
lontane, in cui sono insorti conflitti e permangono pericolose
tensioni.
Una presenza anche militare, con uno spiegamento di uomini e mezzi
mai raggiunto dopo la seconda guerra mondiale. L'Europa nel suo
insieme ha riconosciuto e riconosce di dover rafforzare la
sua "capability" militare, anche per rendere credibile una sua
identità di sicurezza e di difesa, e una sua politica comune in
questo campo. Nonostante le difficoltà finanziarie e di altra natura
che a ciò fanno ostacolo soprattutto in alcuni dei nostri paesi,
dobbiamo riuscirvi, pur nel calcolo realistico dei limiti entro cui
può concepirsi un apprezzabile impegno militare europeo nel panorama
mondiale.
Abbiamo, europei e americani, grandi obbiettivi comuni da perseguire,
e lo spostarsi del baricentro degli affari internazionali, il mutare
degli equilibri tra le grandi aree continentali, nulla tolgono al
significato e all'essenzialità dei rapporti e dell'alleanza tra le
due sponde dell'Atlantico.
In questo spirito, possiamo ben discutere e affrontare serenamente le
differenze di approccio tra europei e americani sui complessi
problemi di un nuovo ordine mondiale: sull'evoluzione del ruolo della
Nato; sul rapporto tra il ricorso alla forza e la ricerca di
soluzioni negoziali; sull'equilibrio e sulla sinergia tra gli
strumenti militari e quelli civili cui ricorrere nelle aree di crisi;
ed anche sul rapporto, cui attribuiamo grande importanza, fra gli
Stati Uniti e l'Unione Europea da un lato e la Russia dall'altro, una
Russia potenza europea ed asiatica, oggi mossa da rinnovate ambizioni
ma pur sempre consapevole dell'importanza vitale, nel suo stesso
interesse, e nell'interesse del mantenimento della pace nel mondo, di
un continuo rafforzamento dei legami economici e istituzionali con
l'Unione e con gli Usa, indispensabili per il suo stesso progresso.
Il nostro sguardo, di europei e americani, deve comunque farsi più
comprensivo e dirigersi più lontano. La complessità e
contraddittorietà del processo di globalizzazione, il rapporto tra le
opportunità e i benefici che esso porta con sé e le insoddisfazioni e
le inquietudini che provoca, l'emergere di nuovi grandi attori sulla
scena mondiale, il manifestarsi di diversità storiche, sociali,
religiose di grandissimo impatto : tutto ci spinge a misurarci con
dilemmi che non sono soltanto economici ma richiedono grande sapienza
politica e grande apertura culturale. Penso che in questo senso
abbiamo entrambi, europei e americani, fondamentali risorse di
civiltà e di esperienza cui attingere. Se, come lei, caro Kissinger,
scrisse non molti anni fa, "la sfida per l'America sta in ultima
istanza nel trasformare la sua potenza in consenso morale", la sfida
per l'Europa sta nel far pesare, con uno sforzo nuovo di unità, le
sue potenzialità al di là dei limiti in cui restano ancora ristrette.
No, non sono soltanto le nostre radici, pur così forti; non sono
soltanto i nostri valori comuni, a volere che rimaniamo uniti, e che
insieme esprimiamo capacità di leadership e cultura, nel segno di
un'incrollabile fede nella forza della libertà e della democrazia.
Non è solo il passato, è anche il futuro, un futuro quanto mai
incerto, che ci chiama a questa prova solidale.
Roma, Villa Madama - 1 luglio 2008
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