15 Settembre, 2002
Il contributo dei cremonesi alla lotta antifascista
Nonostante l*invasivo *controllo* farinacciano, oltre 1.000 i cremonesi combattenti - 417 coloro che caddero per mano fascista o nazista
La bella e significativa manifestazione tenutasi l’8 settembre alla caserma Manfredini ha sottolineato - tra le pregevoli cose dette dal prof. Gian Carlo Corada, Sindaco di Cremona e dall’on. Giuseppe Torchio, Presidente della Provincia - che quell’8 settembre 1943 é stato davvero il primo atto della Guerra di Liberazione, contro la guerra voluta dal regime fascista, contro la fame, per la conquista di una pace giusta e sicura.
Cremona, capitale fascista del ras Farinacci, nonostante il controllo prepotente ed i fitti servizi di vigilanza e di spionaggio, seppe fare la sua parte.
Va ricordato, e non sempre lo si é fatto con la necessaria chiarezza, che nei mesi immediatamente successivi all’8 settembre 1943 più di un migliaio di giovani cremonesi seppero superare il mugugno nascosto e la ricerca di soluzioni di ripiego personale, compiendo la scelta della lotta in prima persona nelle file dell'antifascismo, in montagna, nelle campagne o nelle squadre operanti nelle città.
Si deve ricordare che già a Natale del 43 decine di giovani del casalasco avevano combattuto ad Osacca, paesino delle colline parmensi, contro le brigate nere. Che circa 80-90 giovani si erano recati sulle colline del parmense e nel piacentino capeggiati da Favagrossa di Casalmaggiore, Ferra e Manno Uggeri, Carmen Ruggeri di Cremona, Serafino Corada ed Elia Ruggeri di Castelleone in val Nure; Carnevali, Gastaldi ed altri a Bettola. Una gruppo consistente nelle Langhe, capeggiati da Romano di Malagnino, altri ancora in Liguria; oltre 120 in valle di Susa dove diedero il loro contributo alla 17 Brigata Garibaldi comandata dai cremonesi Deo Tonani e Pucci Rapuzzi, rispettivamente di 21 e 18 anni.
La Divisione Val Toce, comandata dai Fratelli Alfredo ed Antonio di Dio, entrambi cremonesi ed entrambi decorati di Medaglia d’oro al V.M, contava su una nutrita presenza di nostri concittadini.
Così si è notata una presenza consistente nelle brigate di Cino Moscatelli, nelle quali i cremonesi Cesare Goi di 22 anni e il giovane Sergio Murdaca di 18 caddero eroicamente meritandosi la medaglia d’Agento al V.M.
Ancora nutriti gruppi di cremonesi si recarono nel comasco, o nelle valli Brembana e Seriana, nel bresciano e nel bergamasco, sino a raggiungere il trentino dove combatterono nelle file partigiane.
Sulle rive dei nostri fiumi - dal Po, da Casalmaggiore e Gussola, all’Adda sino a Spino Adda ed a Merlino - vivevano numerosi combattenti in capanni, case sparse, casotti, vecchie cascine affrontando la crudeltà dell’inverno.
A fine conflitto si contarono 240 cremonesi Caduti sulle montagne, nelle città o in pianura che unitamente ai 172 ammazzati a Cefalonia e i 5 morti nei lager portano ad un totale di 417 i cremonesi morti nella lotta di Liberazione dal fascismo e dal nazismo.
Alta fu dunque la partecipazione di Cremona e dei cremonesi alla lotta antifascista e ciò – come detto – nonostante il nostro territorio fosse militarmente e politicamente controllato dalle forze di Roberto Farinacci, potente ras di peso nazionale del regime.
E' anche in nome di quei Caduti e di quei combattenti, che leviamo alta la protesta nei confronti di chi – oggi Ministro della Repubblica, operante in piena libertà grazie a chi quella libertà seppe conquistare – si permette di mettere sullo stesso piano i Caduti per la libertà ed i loro carnefici, offendendo al cuore anche gli oltre 600.000 militari italiani internati in Germania dopo l'8 settembre, che seppero rifiutare con onore le subdole profferte di libertà avanzate da Hitler e da Mussolini, pur di rifiutare l'adesione alla cosiddetta repubblica sociale di Salò.
Se é giusto riconoscere pietà umana nei confronti di tutti i morti, ciò non può nascondere sotto un velo plumbeo le atroci responsabilità che porta il fascismo e, con esso, tutti coloro che lo sostennero e lo difesero, schierandosi vergognosamente al fianco dell'alleato nazista, soprattutto dopo l'8 settembre del 1943, quando ormai era chiaro da che parte stava l'onor di Patria, la difesa della democrazia e della libertà dei popoli.
Prosegua dunque pure ogni ricerca storiografica e si aggiungano documenti, notizie, approfondimenti scientifici. Ma nessun revisionismo storico potrà modificare la verità cristallina dell'8 settembre: grande e tragica occasione nella quale finisce nell'ignominia la patria fascista e, nello stesso tempo, risorge una nuova idea di Italia, una nuova dignità di Patria, basata sulla difesa della libertà, della democrazia e del progresso sociale.
Il Presidente dell’ANPI Provinciale
On. Enrico Kiro Fogliazza
10 settembre 2008
 
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