15 Settembre, 2002
11 settembre 1973- 11 settembre 2008 A Salvador Allende di G.C.Storti
La notizia del colpo di stato organizzato dal generale Pinochet, capo dell’esercito cileno, nominato da pochissimo tempo da Saldor Allende, legittimo Presidente del Cile democratico, arrivò con i telegiornali del mattino. Era ,credo, il 12 settembre 1973
11 settembre 1973- 11 settembre 2008
A Salvador Allende .Un ricordo,una piccola
testimonianza,un impegno per la democrazia.
di Gian Carlo Storti
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Ricordi a Cremona.
La notizia del colpo di stato organizzato
dal generale Pinochet, capo dell’esercito cileno, nominato
da pochissimo tempo da Saldor Allende, legittimo
Presidente del Cile democratico, arrivò con
i telegiornali del mattino. Era credo, in
Italia, il 12 settembre. A Milano era in
corso la Festa Nazionale dell’Unità.
Organizzammo per la sera i presidi di compagni
e compagne di fronte alla Federazione del
Pci , in Via Volturno, e delle sezioni più importanti.
Temevamo che gruppi di fascisti, galvanizzati
dal colpo di stato, potessero in qualche
modo creare disturbo o provocare.
Presidiare significava essere in due gruppi
di tre/quattro persone: uno all’interno delle
sedi e quindi collegato con il telefono con
la questura , con i carabinieri e con altri
gruppi di compagni a casa, ed uno esterno
sulla macchina. Si era rigorosamente disarmati.
Il turno durava dalle 23 alle 4/5 del mattino.
La notte passò passo in macchina con il Migna
fumando e parlando mentre si ascoltavano
i bollettini della Rai che dava in continuazione
notizie sul colpo di stato. Si parlò anche
di organizzare la partecipazione per la successiva
domenica al concerto di un certo gruppo cileno,
chiamato degli "Intillimani" a
Milano in Parco Sempione.
Credo il 13 settembre arrivò la notizia del
bombardamento del palazzo del governo e della
morte di Salvador Allende, dei prigioniri
alla stadio di Santiago, della vittoria di
Pinochet, della sconfitta del generale lealista
Pats . I servizi in televisione di Italo Moretti era appassionanti ma inutili: in Cile un
regime democratico di sinistra era sconfitto
per mano dei golpisti armati dagli americani
o meglio dalle industrie che controllavano
il mercato ed il prezzo del rame, unica grande
ricchezza del Cile, che il governo di Unitad
Popular aveva deciso di nazionalizzare.
Pinochet divenne l’eroe della destra. Salvador
Alliende il nostro martire. Al Parco Sempione
andammo in molti . Prima del comizio di Enrico
Berlinguer, già segretario, vi fu il concerto
di questo gruppo cileno degli Intillimani
dei quali ho ancora un manifesto con l’autografo.
Questo gruppo rimase poi in Italia per molti
anni, fino alla caduta di Pinochet, e rappresentava
il punto di riferimento politico e culturale
degli esuli cileni e della nostra battaglia
per la democrazia non solo in Cile ma anche
nel resto del mondo.
Sentii per la prima volta la mitica canzone
" el pueblo jamas sarà vencido"
e moltissime altre belle e gioiose canzoni.
In quelle ore venne data notizia che anche
Corvalan, segretario dei comunisti cileni,
venne catturato dal regime. L’intero Parco
Sempione, con il pugno sinistro alzato e
chiuso esplose la sua rabbia e la sua voglia
di libertà ritmando all’infinito " el
publeo jamas sarà vencido, el publeo jamas
sarà vencido , el publeo jamas sarà vencido,
el publeo jamas sarà vencido , chile libero,
chile libero, chile libero…"
Quello di Enrico Berlinguer fu un grande
comizio. Duecento,trecentomila forse più
persone chiusero la manifestazione con i
giornali accesi a mo di fiaccola ed inneggiando
alla grande storia del grande Partito Comunista
Italiano di Gramsci, Togliatti ,Longo e Berlinguer.
Non era nè follia nè isterismo collettivo
ma semplicemente una grande voglia di riscattare
la storia degli umili che avevano vissuto
e lottato prima di noi durante la resistenza
e per la democrazia del nostro paese e del
mondo. Allora il comunismo, nella nostra
immagine collettiva era superiore alla democrazia…,.borghese.
La proposta di compromesso storico veniva
avanzata da Enrico Berlinguer in una serie
di tre articoli, pubblicati ai primi di ottobre
del 1973 sulla rivista Rinascita. La riflessione
partiva dalla drammatica esperienza cilena.
Nell'ultimo articolo si affermava che sarebbe
del tutto illusorio " pensare che anche
se i partiti e le forze di sinistra riuscissero
a raggiungere il 51% dei voti e della rappresentanza
parlamentare....questo fatto garantirebbe
la sopravvivenza e l'opera di un governo
che fosse l'espressione di tale 51%"..L'obiettivo
di una alternativa di sinistra,del resto
mai ufficialmente perseguita dal PCI,veniva
definitivamente scartato e vi si sostituiva
quello di una " alternativa democratica"
e cioè " della prospettiva di una collaborazione
e di una intesa delle forze popolari di ispirazione
comunista e socialista con le forze di ispirazione
cattolica,oltre che con formazioni di altro
orientamento democratico".
Con il compromesso storico il PCI si proponeva
come interlocutore diretto del partito di
maggioranza relativa, la Democrazia Cristiana: non era, secondo una ipotesi formulata
da certi osservatori,un tentativo di escludere
i socialisti dal dialogo con la DC e la sinistra,
ma sottolineava l'intenzione del PCI di assumersi
responsabilità proporzionali al suo prestigio
ed alla sua forza di secondo partito italiano
e di negoziare con la DC, direttamente in
prima persona, i termini del nuovo accordo
storico e del programma che doveva esserne
alla base.
Salvador Alliende è stato davvero un martire.
E' morto difendendo la democrazia e le libertà
democratiche. Questa sua tragica esperienza
ha fatto capire a noi, giovani di allora,
che la società era complessa e che era assolutamente
necessario creare , attorno ai temi del riscatto
e dell'emancipazione della "classe lavoratrice",
come si diceva allora, alleanze con quella
parte della società che esprimeva, di per
sè, valori non distanti dai nostri...
Oggi stiamo ragionando sulla necessità della
costruzione di un nuovo partito democratico,
di un Ulivo unitario, che sia in grado di
aggregare tutte quelle forze di progresso
che mettano al centro lo sviluppo, la solidarietà
ed i diritti....
A 35 anni da quel sacrificio l'esperienza
di Salvador Allende è piu' che mai attuale.
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Nota Bene. Di seguito pubblichiamo:
**Una breve biografia di Salvador Allende;
** Una scheda sui mille giorni di Allende
a cura di Ugo Bertone
** Una nota sugli Intillimani
* Una nota sul compromesso storico
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Nella foto gallery di www.welfareitalia.it una rassegna fotografica, raccolta in internet
su Salvador Allende
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Breve biografia di Salvador Allende .
“Sicuramente Radio Magallanes sarà zittita
e il metallo tranquillo della mia voce
non vi giungerà più. Non importa. Continuerete
a sentirla.
Starò sempre insieme a voi. Perlomeno il
mio ricordo sarà quello di un uomo degno
che fu leale con la Patria. Il popolo deve difendersi ma non sacrificarsi.
Il popolo
non deve farsi annientare né crivellare,
ma non può nemmeno umiliarsi.
Lavoratori della mia Patria, ho fede nel
Cile e nel suo destino. Altri uomini
supereranno questo momento grigio e amaro
in cui il tradimento pretende di
imporsi. Sappiate che, più prima che poi,
si apriranno di nuovo i grandi viali per
i
quali passerà l’uomo libero, per costruire
una società migliore. Viva il Cile! Viva
il
popolo! Viva i lavoratori!… (…)”.
Queste le ultime parole del presidente Salvador
Allende pronunciate l’11 settembre
1973 da Radio Magallanes, mentre in sottofondo
si udiva il cupo rombo dei
bombardieri che assaltavano il palazzo presidenziale.
Salvador Allende era nato a Valparaiso in
Cile 1 nel 1908 da una famiglia benestante;
si laureò in medicina e sin da giovane prese
parte alla vita politica del suo paese, dedicandosi
sia all’attività politica che alla professione
di medico.
Nel 1933 è tra i fondatori del Partito Socialista
Cileno, nel 1938 viene eletto deputato e
nel 1942 ministro della Sanità; nel 1945
diventa senatore e poi presidente del Senato;
nel
1958 viene presentato alle elezioni presidenziali
come candidato delle sinistre, ma
non viene eletto.
E’ invece eletto Presidente nel 1970, presentandosi
come candidato di Unidad Popular, una coalizione
che riuniva Socialisti, Radicali e altri
partiti di sinistra.
Come Presidente della Repubblica scelse la
strada dell’intransigenza e della fermezza;
il suo programma prevedeva grandi interventi
statali e la ridistribuzione della ricchezza
ancora concentrata nelle mani di alcune famiglie
cilene ricche e potenti per poter in questo
modo attenuare gli squilibri tra ricchi e
poveri.
Ciò, nonostante Allende cercasse di realizzarlo
nel pieno rispetto della Costituzione, non
riuscì gradito a quella parte della società
cilena che da troppi anni era abituata a
godere di favoritismi e privilegi.
Nel 1973 Salvador Allende e Unidad Popular
vinsero ancora democraticamente le elezioni,
ma i ricchi del paese non tollerando più
questa situazione, iniziarono una lotta contro
il governo Allende, lotta che determinò nel
Cile una grave crisi economica.
E così alle ore 13.30 dell’11 settembre 1973
i militari golpisti cileni riescono ad attuare
un colpo di Stato, assaltando, bombardando
il palazzo presidenziale e prendendo possesso
della Moneda.
Depongono il presidente Allende, che viene
trovato morto, al secondo piano nel salone
dell’Indipendenza, con un piccolo mitragliatore
tra le mani.
I funerali di Stato sono stati celebrati
nel 1990.
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I mille giorni di Allende
Cile, 5 settembre 1970: per soli 39.175 preferenze,
alle elezioni presidenziali si afferma il
cartello delle sinistre di Unidad Popular,
che ottiene la maggioranza relativa. Il socialista
Salvador Allende diventa il nuovo presidente
della repubblica. In mente ha un ambizioso
progetto; portare la rivoluzione nel paese
senza uscire dai binari della legalità costituzionale.
Ben presto, però, la fragilità della maggioranza
e la crisi economica provocata dall'ostruzionismo
degli Stati Uniti minano le basi del suo
governo, che viene anche abbandonato dalla
classe media. Dopo tre anni di lotte, nazionalizzazioni
e scioperi, sarà l'esercito a far svanire
il sogno cileno, con il colpo di stato di
Augusto Pinochet. Gli stadi diventeranno
lager e la tortura una pratica quotidiana.
Alle 2.50 del 5 settembre 1970 un terremoto
politico investe l'America latina. Lo spoglio
delle schede è finito: Salvador Allende,
medico, socialista, candidato di Unidad Popular,
al suo quarto tentativo, ha conquistato la
maggioranza relativa alle elezioni presidenziali
cilene. Su quello strano paese, lungo più
di 4 mila chilometri ma largo non più di
200, si accendono i riflettori del mondo.
Per la prima volta un marxista può diventare
capo di un governo nell'emisfero Ovest grazie
a una vittoria elettorale e non a una insurrezione
armata. Da Roma e da Parigi, capitali del
marxismo occidentale, arrivano a Santiago
del Cile legioni di giornalisti, analisti
politici, semplici militanti ansiosi di capire
come reagirà il laboratorio all'inedita formula
cilena.
"Caro Allende, tu con altri mezzi cerchi
di ottenere la stessa cosa" gli ha scritto
Che Guevara, dedicandogli una copia del suo
libro "La guerra di guerriglia".
E il Che ha ragione: anche Allende vuole
la rivoluzione, la sovversione degli equilibri
economici esistenti, la socializzazione dei
mezzi di produzione, ma promette di realizzare
queste trasformazioni nel rispetto della
costituzione e della legalità. Non è cosa
da poco e lui ne è cosciente al punto di
dire che "il nostro esperimento non
sarà meno importante della rivoluzione russa".
Dieci giorni dopo il voto cileno, il 15 settembre,
alla Casa Bianca si tiene una riunione a
cui partecipano il presidente Richard Nixon
e il direttore della Cia, Richard Helms.
" Una possibilità su dieci - avrebbe
detto il presidente secondo gli appunti di
Helms ma liberiamo il Cile da quel figlio
di puttana! Vale la pena di provarci; noi
non saremo impegnati direttamente; nessun
contatto con l'ambasciata (Nixon era fuori
di sé perché i dispacci da Santiago avevano
dato per sicura l'affermazione delle destre,
n. d. r); dieci milioni di dollari a disposizione
e anche di più se necessario; impiego a tempo
pieno per i nostri agenti migliori; una strategia:
strozzare l'economia; tempo 48 ore per pianificare
l'azione". Un documento, reso pubblico
a dicembre '98 dall'amministrazione Clinton,
conferma l'autenticità degli appunti. "Il
capo - si legge nel promemoria ha sottolineato
che il progetto deve essere pronto per il
18 perché Henry Kissinger in persona vuole
avere tutti i particolari della missione
CIA".
L'azione degli Stati Uniti è certamente una
delle cause che hanno portato alla fine tragica
dell'esperienza cilena dopo mille giorni
di governo.
Tanto per cominciare il candidato delle sinistre
non dispone della maggioranza assoluta. Per
Allende, nel 1970, ha votato poco più di un milione di cittadini
(1.070.334 voti), il 36,2% dell'elettorato,
contro gli 821. 501 suffragi" (il 27,4
%) raccolti da Rodomiro Tomic, il candidato
della Democrazia Cristiana che si è presentato
agli elettori con un programma radicale che
prevede espropri a vantaggio degli agricoltori
e la nazionalizzazione delle miniere di rame.
Soprattutto, però, l'alleanza delle sinistre
(comunisti, socialisti, radicali e socialdemocratici)
ha battuto di misura Jorge Alessandri, ex
primo ministro sostituito nel '64 dal democristiano
Eduardo Frei candidato dalla destra, che
ha raccolto 1.031.159 voti, ovvero 39.175 in meno di Unidad Popular. Allende è in testa,
insomma, ma di poco
Unidad Popular, insomma, non rappresentava
la maggioranza nel paese. Non solo: il presidente
avrebbe dovuto scendere a patti con il parlamento,
cui spettava il potere di ricusare il capo
dello stato e i ministri, controllato dai
democristiani e dalla destra. Ad Allende,
infine, sfuggiva il controllo della Contraleria
General de la Republica, cui spettava la
supervisione sugli atti amministrativi dell'esecutivo,
e della magistratura. Minoritario nel paese
e nel parlamento, Allende non poteva contare
nemmeno sulla compattezza di UNIDAD POPULAR
.La via pacifica e parlamentare al socialismo
era apertamente osteggiata a sinistra dal
Mir; il Movimiento de Izquieerda Revolucionaria,
convinto del primato della violenza; e il
Mir, pur non facendo parte di UNIDAD POPULAR
esercitava un forte richiamo. La stessa direzione
del partito socialista, guidata da Carlos
Altamirano, non escludeva la "via violenta"
mentre Aniceto Rodrìguez, leader dell'ala
riformista era in minoranza. L'alleato più
fidato era il partito comunista di Luis Corvalàn,
che sosteneva con decisione la "via
cilena" di Allende, considerata l'unica
strategia possibile in quel momento. Ma Corvalàn
nutriva forti perplessità sulle qualità politiche
del presidente: "dimostra un certo ristagno
- disse durante la campagna elettorale -
. Tende a ripetersi, cade nei luoghi comuni
e in frasi fatte".
Anche il panorama economico non è dei più
favorevoli. L'avvio della nazionalizzazione
delle miniere di rame non ha portato i frutti
sperati con i debiti del Cile che sono saliti
oltre il livello di guardia, al punto che
metà dell'export serve a pagare gli interessi.
L'indipendenza economica, inoltre, resta
un sogno, visto che il 60% dell'import è
legato agli Stati Uniti, mentre la moderata
crescita dei consumi della metà degli anni
'60, la chiave del riformismo di Frei, si
è tradotta in un esplosione inflazionistica.
Intanto la violenza è già entrata di prepotenza
nella vita politica cilena. Nel giugno '69
i servizi di sicurezza avevano scoperto un
centro di addestramento alla guerriglia nei
pressi di Santiago, in cui si trovano armi
e munizioni del Mir. a Melipilla, non lontano
dalla capitale, i contadini occupano 44 haciendas
agricole e Alessandri, il candidato della
destra, non riesce a raggiungere il sud del
paese perché i minatori sbarrano la ferrovia
al suo passaggio.
La partita si gioca tra la metà di settembre
e il 24 ottobre, data in cui il congresso
si riunisce per l'elezione del presidente.
E gli Stati Uniti non esitano a praticare,
fin da subito, il gioco duro. "Deve
sapere - scrive l'ambasciatore USA Korry
al presidente. uscente Frei - che non lasceremo
arrivare in Cile una sola vite o un solo
dado, sotto Allende. Se Allende assumerà
il potere faremo tutto il possibile per condannare
il Cile e i cileni alle più dure privazioni
e miserie. Non si faccia illusioni signor
Frei".
Il filo della collaborazione democratica
tra UNIDAD POPULAR e la Democrazia cristiana.
Allende accetta un emendamento alla carta
costituzionale in base a cui l'esecutivo
garantisce espressamente libertà civili,
libere elezioni e libertà di espressione
e la DEMOCRAZIA CRISTIANA, pur tra contrasti interni, decide di schierarsi
con il vincitore delle elezioni, anche perché,
a convincere gli incerti, arriva l'esito,
disastroso, di "Track II" il piano
di riserva della CIA che prevede di sequestrare,
con l'aiuto di un paio di gruppuscoli vicini
alla destra cilena e alle forze armate, il
comandante in capo dell'esercito René Scneider,
vicino agli americani, ma colpevole di voler
rispettare la tradizione di non intervento
dei militari. Il rapimento di Schneider avrebbe
dovuto suscitare l'indignazione dell'esercito,
l'ammutinamento e la cacciata di Allende.
L'agguato a Schneider però non riesce. Il
generale, quando una mazza sfonda il vetro
della sua automobile, estrae la pistola per
difendersi e gli assalitori sparano. Schneider
morirà due giorni dopo, i cospiratori vengono
ben presto individuati e il complotto sortisce
l'esito opposto: Allende e Frei, assieme
ai generali delle forze armate sfilano per
le vie di Santiago alla testa di un corteo
funebre.
Il congresso, pochi giorni dopo elegge Allende
alla massima carica della repubblica. È il
3 novembre 1970, davanti alla Moneda sfila
un corteo impressionante di tv e reporter
da tutto il globo. Il Cile, per la prima
volta nella sua storia, non è periferia del
mondo. E Pablo Neruda, il poeta comunista
che ha ritirato la sua candidatura alle elezioni
per dare spazio ad Allende può declamare:
"Dai deserti di salnitro, dalle miniere
sommerse di carbone, dalle alture terribili
dove si trova il rame che le mani del mio
popolo estraggono con fatica disumana è sorto
un movimento liberatore di enormi proporzioni
che ha portato alla presidenza del Cile un
uomo chiamato Salvador Allende, perché realizzi
atti di giustizia improrogabili".
Con una trovata degna di Evita Peròn si annuncia
che i migliori alunni della scuola primaria
trascorreranno l'estate nel palazzo presidenziale
di Viña del Mar, assieme a Salvador. C'è
spazio pure per il Palazzo del Matrimonio,
in questa stagione di rivincite, culminata
nella "Giornata della Dignità Nazionale",
il 15 luglio del 1971, quando il congresso
approva all'unanimità la nazionalizzazione
del rame affidando ad Allende la questione
degli indennizzi: le grandi compagnie americane
non avranno un solo dollaro. Nel dicembre
1971 il numero di banche e industrie controllate
dallo stato è già raddoppiato da 31 a 62, mentre altre 39 imprese risultano requisite
in nome della legge che prevede l'intervento
pubblico quando non vengano assicurati servizi
essenziali alla comunità. Nelle campagne
vengono espropriate 1300 proprietà fondiarie
.
È una strategia che funziona, in un primo
momento. Nell'aprile '71 UNIDAD POPULAR stravince
le elezioni comunali, ottenendo la maggioranza
assoluta, con il 50,86%. Mai, del resto,
i cileni si sono sentiti cosi ricchi: grazie
a forti stimoli all'economia il prodotto
interno lordo cresce dell'8,6% mentre la
disoccupazione si dimezza nel giro di pochi
mesi e l'inflazione scende dal 34 al 22 per
cento. Crescono i consumi e, di riflesso,
le importazioni, ma grazie alle alte quotazioni
del rame a fine anni '60, Allende si ritrova
in cassa massicce riserve valutarie. Il teorema
del ministro del Lavoro Pedro Vuskovic è
di una semplicità disarmante: pompare nell'economia
tutta la liquidità possibile (il circolante
aumenta in un anno del 110%), accrescendo
la spesa pubblica (+70%). L'aumento della
domanda avrebbe prodotto un aumento della
produzione e un parallelo calo della disoccupazione.
Il ciclo virtuoso sembra inattaccabile, ma
la luna di miele finisce presto. Già nell'ottobre
1971 gli investimenti sono in caduta libera
(-71,3%), nonostante la forte crescita dell'impiego
statale. La caduta del prezzo del rame, a
causa della congiuntura internazionale (e
della pressione delle corporation USA) fa
precipitare il valore delle esportazioni
proprio quando crescono le importazioni dei
beni essenziali: in un anno le riserve crollano
da 343 a 32 milioni di dollari, le importazioni di
macchinari industriali del 22%. Intanto gli
USA sono di parola: grazie alle pressioni
sulla Banca Mondiale e sul Banco Interamericano
de Desarrollo i crediti passano dai 300 milioni
di dollari all'anno dell'era Frei a meno
di 30. Non ci sono soldi nemmeno per i pezzi
di ricambio: nel 1972 un autobus su tre e
un taxi su cinque è fuori uso. Il quadro
economico peggiora, inoltre, per l'esodo
di massa della borghesia.
Nel settembre del '72 un'inchiesta del settimanale
Ercilla rivela che l'azione di governo è
sentita come una minaccia dal 60% della popolazione
e che il 77% della classe media dichiara
di avere serie difficoltà ad acquistare beni
di prima necessità. Pochi mesi prima, nei
giorni di natale le donne dei ceti medi e
alti erano scese in piazza organizzando la
"marcia delle casseruole". Assai
più insidiose sono le proteste dei '72: ad
agosto i commercianti al dettaglio dichiarano
lo sciopero generale poi tocca ai camionisti.
Il paese, intanto, sembra destinato a un
assurdo muro contro muro. Nemmeno le elezioni
offrono una via d'uscita: il voto per il
parlamento del marzo '73 dà infatti alla
coalizione di sinistra la stessa percentuale
del '69. Non è abbastanza per ridare solidità
al governo, ma è più che sufficiente per
impedire che la destra (comunque in crescita
del 4,4%) chieda la destituzione di Allende
(per rimuovere il capo dello stato occorrono
i voti di due terzi del congresso).
La vera novità della campagna elettorale
del '73 è che essa si svolge sotto l'attenta
supervisione delle forze armate. È dall'aprile
'72 che un militare siede nella poltrona
di ministro dell'interno. Lo ha deciso Allende
di fronte ai conflitti della coalizione,
paralizzata per i dissensi legati alla nomina
di un ministro delle Miniere. "Qual
è la situazione delle forze armate ?"
chiede a bruciapelo ad Allende il presidente
algerino Houari Boumedienne, durante la tappa
del capo dello stato cileno verso Mosca.
Lui risponde sottolineando la tradizionale
neutralità politica dei generali cileni e
spiega come li ha fatti entrare nel governo.
Se non riuscirete ad estirpare radicalmente
quanto vi è di reazionario nell'esercito
- replica Boumedienne - non vedo un grande
futuro per voi…".
Da maggio la situazione precipita. In una
riunione a sostegno del governo di 800 ufficiali
della guarnigione di Santiago, il generale
Carlos Prats viene fischiato. Tra i pochi
solidali con Prats c'è un generale destinato
a diventare tristemente famoso: Augusto Pinochet
Ugarte
Dopo aver formato il nuovo governo Allende
assiste, il 22 agosto, alle dimissioni di
Prats e di altri militari. Gli alti gradi
della Marina e dell'Aviazione stanno intanto
preparando il golpe. Sono loro a lanciare
l'ultimatum al capo di stato maggiore dell'esercito,
ovvero Pinochet: o con noi o contro. E Pinochet,
scaltro, alla fine decide di impegnarsi.
Quando l'11 settembre 1973 Allende prova
a mettersi in contatto con Pinochet, non
risponde nessuno. "Avranno già arrestato
Augusto" pare che abbia esclamato.
Pochi minuti dopo Salvador Allende Gossens
diValparaiso, dopo avere rifiutato di arrendersi
e aver combattuto fino alla fine, si toglie
la vita, proprio con quel fucile che gli
era stato regalato da Fidel Castro, nel palazzo
presidenziale che ha voluto difendere. "Restare
qui - disse -, a la Moneda, ha un significato
politico molto preciso. Sarebbe terribile
se, dopo tutto quel che è successo, il presidente
del Cile finisse per scappare come un topo,
a morire su una strada o farsi trattare da
codardo".
Fuori, intanto si consuma la tragedia delle
torture, delle esecuzioni di massa, dell'esilio
di un milione di persone (quasi un cileno
su dieci), che brucia ancora oggi alla coscienza
del mondo intero, come dimostra la recente
richiesta di estradizione del giudice spagnolo
Garzòn nei confronti di Pinochet con l'accusa
di genocidio.
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INTILLIMANI
Resi celebri dalle le loro canzoni di lotta
per la libertà dei popoli, e del Cile in
particolare, si propongono come gli artefici
di una musica che già molti anni fa precorreva
la world-music dei nostri giorni, e che condensa
in una cifra stilistica originalissima, maestremamente
rigorosa e rispettosa delle radici popolari,
gli elementi e gli influssi più disparati.
La musica degli Inti-Illimani racchiude sonorità
andine e ritmi afro-latini, influenze mediterranee
ed eredità della grande tradizione sudamericana
della canzone d'autore impegnata, suggestioni
"new age" ed accenni di improvvisazione
jazzistica.
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Il " Compromesso Storico"
La proposta di compromesso storico veniva
avanzata da Enrico Berlinguer in una serie
di tre articoli, pubblicati ai primi di ottobre
del 1973 sulla rivista Rinascita. La riflessione
partiva dalla drammatica esperienza cilena.
Nell'ultimo articolo si affermava che sarebbe
del tutto illusorio " pensare che anche
se i partiti e le forze di sinistra riuscissero
a raggiungere il 51% dei voti e della rappresentanza
parlamentare....questo fatto garantirebbe
la sopravvivenza e l'opera di un governo
che fosse l'espressione di tale 51%"..L'obiettivo
di una alternativa di sinistra,del resto
mai ufficialmente perseguita dal PCI,veniva
definitivamente scartato e vi si sostituiva
quello di una " laternativa democratica"
e cioè " della prospettiva di una collaborazione
e di una intesa delle forze popolari di ispirazione
comunista e socialista con le forze di ispirazione
cattolica,oltre che con formazioni di altro
orientamento democratico".
Con il compromesso storico il PCI si proponeva
come interlocutore diretto del partito di
maggioranza relativa, la Democrazia Cristiana: non era, secondo una ipotesi formulata
da certi osservatori,un tentativo di escludere
i socialisti dal dialogo con la DC e la sinistra,
masottolineava l'intenzione del PCI di assumersi
responsabilità proporzionali al suo prestigio
ed alla sua forza di secondo partito italiano
e di negoziare con la DC, direttamente in
prima persona, i termini del nuovo accordo
storico e del programma che doveva esserne
alla base.
Il governo di solidarietà nazionale
La campagna elettorale del giugno 1976 è
dominata dal tema del probabile sorpasso
dei comunisti ai danni della DC. Dopo il
successo delle forze di sinistra nelle amministrative
dell’anno prima, i democristiani issano nuovamente
la bandiera dell’anticomunismo sviscerato,
riproponendosi agli elettori come unico baluardo
contro il "pericolo rosso". I socialisti,
invece, continuano a presentarsi agli elettori
nella duplice veste di alleati di governo
del partito cattolico e al tempo stesso possibile
alternativa proprio ai democristiani. Il
PCI di Berlinguer, infine, continua a caldeggiare
l’ipotesi di un "compromesso storico",
cioè della rinascita della coalizione antifascista
e di un governo di "unità democratica",
per fronteggi il momento di crisi gravissima.
Fa la sua comparsa il Partito Radicale di
Marco Pannella, che è protagonista in quegli
anni delle principali battaglie sui diritti
civili, dal divorzio all'aborto.
Il risultato elettorale sancisce una netta
affermazione del PCI, che mai aveva ottenuto
tanti voto, e lo promuove unico partito di
opposizione, espressione non più della sola
classe operaia ma di un ampio bacino elettorale
che abbraccia anche frange più progressiste
del ceto medio. Il previsto sorpasso ai danni
della DC però non si realizza perché il partito
cattolico recupera larga parte dei consensi
che aveva perso alle amministrative del 1975.
Sconfitto invece il PSI, che raggiunge il
suo minimo storico, così come i piccoli partiti
alleati di governo della DC, ad eccezione
del PRI, che subiscono un drastico ridimensionamento.
Il sistema politico italiano, a questo punto,
raggiunge la sua massima bipolarizzazione
e la DC non può governare né alleandosi col
PSI, che dopo la batosta elettorale vive
un momento di crisi interna, né appoggiandosi
ai piccoli partiti suoi tradizionali alleati,
anch’essi ridimensionati dal risultato delle
urne. L’unica soluzione, dunque, è quella
di affidare la guida del Paese ad una vasta
alleanza, cioè ad un governo di solidarietà
nazionale. Ma non da subito, poiché l’ingresso
del PCI al governo sarebbe difficile da far
digerire dopo che l’intera campagna elettorale
è stata impostata all’insegna dell’anticomunismo.
Nasce così il governo monocolore guidato
da Andreotti, detto "governo della non-sfiducia",
grazie all’astensione del Pci. Per la prima
volta dai tempi del CLN, dunque, i comunisti
entrano nell’aria di governo, sia pure non
direttamente ma solo sul piano parlamentare.
E’ la fine della "conventio ad excludendum".
Il governo di solidarietà nazionale nasce,
in primo luogo, per fronteggiare la gravissima
situazione che il Paese sta vivendo sul fronte
dell’ordine pubblico a causa del terrorismo,
ma è anche funzionale alla strategia politica
dei due principali partiti. I dirigenti comunisti,
infatti, sanno bene – anche se non mancano
remore e dubbi interni - che il rilancio
della coalizione antifascista è l’unico modo
per rientrare al governo, poiché la natura
stessa del sistema politico italiano rende
assai improbabile la vittoria elettorale
di una coalizione di sinistra. La DC, dal
canto suo, deve fronteggiare la preoccupante
crescita dei comunisti frutto - come già
detto - non solo del voto dei diciottenni,
ma anche di simpatie sempre maggiori che
essi stanno conquistando nel ceto medio.
Compromesso storico o Terza fase?
La breve ed intensa stagione della solidarietà
nazionale è dominata da due grandissime figure
della politica italiana, Aldo Moro ed Enrico Berlinguer, e dalle loro rispettive
teorie o proposte politiche, rispettivamente
la "terza fase" ed il "compromesso
storico".
Il leader comunista teorizza un incontro
tra la morale cattolica e quella comunista
per salvare l’Italia dalla crisi economica
e dal terrorismo. L’obiettivo ultimo è quello
di introdurre elementi e soluzioni di tipo
socialista, per indirizzare il Paese verso
una fase nuova, cioè la creazione di un sistema
in cui al proletariato sarebbe spettato un
ruolo centrale nella vita politica ed economica.
La strategia di Moro, invece, prevede di
realizzare nei confronti del PCI quello che
era già avvenuto negli anni Sessanta col
PSI, e cioè di inglobarlo nell’aria di governo,
in maniera indolore, lentamente e senza traumi,
per smussarne l’opposizione alle scelte dell’esecutivo.
Per raggiungere l’obiettivo, però, condizione
essenziale è che il partito democristiano
superi ogni divisione interna e si presenti
all’appuntamento unito e compatto, in modo
da far valere la propria forza e imporsi
come gruppo egemone all’interno della nuova
coalizione di governo.
In termini più generali e di lungo periodo,
la strategia di Moro prevede una nuova fase
per la politica italiana, la cosiddetta "terza
fase", cioè quella della democrazia
dell’alternanza, riconoscendo in prospettiva
il diritto e la possibilità di altre forze
politiche a governare il paese. Il che non
equivale ad un indebolimento del potere democristiano,
poiché la politica di Moro mira proprio ad
un suo rafforzamento, cementandone la compattezza
interna in modo tale da essere preparato
a navigare nelle acque agitate della situazione
attuale e del futuro.
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Materiale raccolto ed elaborato da Gian Carlo Storti
Cremona 26 agosto 2008
Pubblicato su Cronaca Padana in data 11 settembre
2008
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