15 Settembre, 2002
Ricordando *Maurizio* (inviato da Paolo Merlo)
Paolo Murialdi incontra, subito dopo la sua nomina, Ferruccio Parri, Presidente del Consiglio all'indomani della Liberazione
...all'indomani della Liberazione, il governo Bonomi sarà sostituito da una coalizione che rappresenta l'insieme del CLN e ha alla sua testa il personaggio-simbolo della Resistenza, Ferruccio Parri. Paolo Murialdi lo incontra subito dopo la sua nomina:
"Ai primi di luglio, nel suo primo ritorno a Milano, viene alla Fondazione (si tratta della Fondazione di solidarietà creata dal Corpo Volontari della Libertà) a salutarci (...). Arriva senza scorta e con un solo accompagnatore, il segretario. Quando esce ci affacciamo per salutarlo ancora. Sale sull'auto che, però, non va in moto. Scende e si mette a spingere la vecchia vettura. Una scena emblematica: di un capo molto modesto e di un paese in rovina".
...sembra evocare i limiti di un antifascismo in qualche modo estraneo al paese, lontano dalle trasformazioni reali che lo hanno plasmato tra gli anni venti e trenta. Un antifascismo costretto a "vecchie parole piene di nobiltà e di ricordi". Inadeguato a un compito comunque difficile, quasi impossibile: mettere in discussione assetti e culture che il ventennio ha consolidato. E'...Carlo Levi a descriverci lo scenario in cui si sono svolte le dimissioni di Parri, al palazzo del Viminale, e a consegnarci l'immagine di una sconfitta annunciata:
"Gli uscieri che mi accolsero all'ingresso e che mi accompagnarono per scale, scalette e interminabili corridoi, avevano un'aria stranamente allegra: come se la riunione che si stava svolgendo fosse un veglione o una festa da ballo in loro onore. Avevano le facce distese di chi si è tolto un gran peso dal cuore: sentivano che era l'ultimo giorno nel quale degli sconosciuti senza titolo, con facce e vestiti che parevano di un'altra razza, penetravano in quella loro casa; che essa non sarebbe più stata profanata; che quel palazzo, che aveva resistito imperturbabile a tante bufere, sarebbe finalmente ritornato in loro possesso (...). Non avrebbero più dovuto trepidare al pensiero di folli riforme, di insensati cambiamenti, di crudeli epurazioni, di ridicole pretese di efficienza (...). Del resto, questi barbari non avevano fatto grandi rovine: le avevano solo, timidamente, minacciate. Il Palazzo era rimasto quello che era sempre stato, fin dai giorni lontani della sua costruzione".
Il brano ci riconsegna con una metafora il declinare di un'utopia, chiude con malinconia la stagione della speranza. C'è da chiedersi, naturalmente, se quella speranza fosse fondata.
Guido Crainz
L'OMBRA DELLA GUERRA
Ed. Donzelli
Pagg. 35, 140, 141
 
|