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15 Settembre, 2002
Giornata del Ricordo: incontro con il prof. Paoul Pupo
L’unico modo che la storia terribile del ‘900 ha saputo escogitare per fermare i conflitti nazionali in Europa è stato quello di distruggere la complessità, la pluralità di lingue e di culture che costituivano una delle grandi ricchezze dell’Europa

“L’unico modo che la storia terribile del ‘900 ha saputo escogitare per fermare i conflitti nazionali in Europa è stato quello di distruggere la complessità, la pluralità di lingue e di culture che costituivano una delle grandi ricchezze dell’Europa centrale”.
Questa è l’amara conclusione cui giunge il professor Raoul Pupo, docente di Storia contemporanea all’università di Trieste, chiamato a Cremona dal Comitato provinciale per la difesa e lo sviluppo della democrazia a parlare, nel Giorno del Ricordo, del confine orientale italiano e del dramma delle foibe e dell’esodo di migliaia di italiani giuliani nell’immediato dopoguerra.
Davanti a un’aula magna dell’Itis Torriani gremita di studenti e di cittadini, dopo l’introduzione della coordinatrice del Comitato Ilde Bottoli e della dirigente scolastica Maria Paola Negri, il docente ha analizzato le ragioni storiche, gli antefatti, le ragioni politiche, etniche, economiche, di rivendicazioni territoriali che portarono il nuovo potere yugoslvo, preso dai partigiani titini, a scatenare un’ondata di violenze, persecuzioni, uccisioni, deportazioni ed espulsioni nei confronti degli italiani dell’Istria e della Dalmazia, ma anche nei confronti di tutti coloro che non accettavano il nuovo regime, fossero italiani o croati o sloveni. Un’analisi che non ha indugiato su alcuna emozione o preconcetto, lasciando parlare la lucida freddezza dei fatti.
Negli ultimi decenni dell’Ottocento, sotto l’impero asburgico, il potere detenuto dagli italiani a Trieste e in Istria venne progressivamente eroso dalla nuova classe dirigente slava, fortemente nazionalista. Questo favorì il fenomeno dell’irredentismo italiano. L’avvento del fascismo produsse il tentativo di “italianizzare” quelle terre negando la possibilità di esistenza della cultura slava. Così, dopo l’armistizio del 1943 quella parte della popolazione insorse in armi chiedendo l’annessione alla Yugoslavia, reprimendo duramente tutti coloro che non solo avevano affiancato il fascismo, ma anche chi lo aveva combattuto ma non sotto le bandiere del movimento di liberazione titino. Sugli italiani vennero fatte pressioni fortissime, tanto da provocare un esodo di massa: un vero processo di espulsione di un intero gruppo nazionale autoctono. Le foibe, nel cui nome si comprendono tutte le uccisioni avvenute a partire dal 1943, furono uno degli strumenti di tale pressione, il più terribile, oltre che di vendetta nei confronti di fascisti e collaborazionisti.
Se la tragedia delle stragi e dell’esodo, il dramma della distruzione della complessità che in quelle terre “meticce” esisteva da secoli, furono la conclusione di un lungo processo storico, il professor Pupo ha mostrato di non lasciarsi andare al pessimismo. Se indietro non si può tornare, ha concluso infatti, è altrettanto vero che lungo quelle che ormai, con l’allargamento dell’Unione Europea, stanno cessando di essere frontiere, sopravvivono ancora spiragli di pluralità, in Italia come in Istria e Dalmazia, e sopravvivono anche nella realtà riscoperta, dopo un lungo oblio, degli esuli. Se dunque “vogliamo dimostrare che la storia del ‘900 è davvero finita, esiste l’opportunità di considerare quei residui di pluralità non come i resti di un nemico da cui continuare a difendersi, ma come occasioni da sviluppare”.

 


       



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