15 Settembre, 2002
L*addio di Veltroni: *E' colpa mia. Vado via, ma non tornate indietro*
L*ex segretario democratico: *Un grande progetto ha bisogno di tempo* - *Non giudicate il mio successore con l*orologio in mano*.
di MATTEO TONELLI da www.repubblica.it
E' la solitudine di un leader quella che salta agli occhi.
Quello che doveva fare il Pd e che invece ha visto il Pd fare a meno
di lui. Adesso che tutto è finito, che la poltrona da segretario è un
ricordo, adesso Walter Veltroni può scrivere il suo "testamento"
politico tra le colonne del Teatro di Pietra che l'avevano visto
trionfatore alle primarie. Lo fa con garbo, con il consueto
modo "caldo" di parlare di politica. Ma mandando alcuni precisi
segnali. Al gruppo dirigente, anzitutto. Ma anche al popolo del Pd,
quello del Circo Massimo e delle primarie.
"Il Pd è il sogno della mia vita ma non sono riuscito a farlo
avanzare, mi scuso e per questo lascio" è l'inizio del monologo.
Veltroni dunque lascia. Dice addio a quella poltrona di segretario
che, in sedici mesi, gli ha regalato qualche gioia e molti dolori.
Dice addio ringraziando lo staff, la scorta (che ha chiesto gli venga
tolta), Dario Franceschini. E non citando gran parte del gruppo
dirigente democratico.
Per il suo ultimo atto da segretario Veltroni sceglie il Teatro di
Pietra. Una decisione non casuale. Tra quelle stesse colonne celebrò
il trionfo delle primarie. Sembrano passati secoli. Oggi dice: "Il Pd
è stato il sogno politico della mia vita, lascio in serenità senza
sbattere la porta, adesso cerchero di dare una mano al partito". In
sala Soro si asciuga le lacrime, Fassino e la Finocchiaro sono
terrei. Achille Serra gli chiede di ripensarci. Bersani, cappotto in
mano, è immobile. Rutelli non c'è. D'Alema nemmeno. Dicono che non
abbia neanche telefonato.
Veltroni parla per circa 40 minuti. Cita Romano Prodi e l'Ulivo, la
vittoria del '96 e quel sogno interrotto. Parla del "sogno", il suo
sogno, di cambiare l'Italia. "Per questo è nato il Pd, per diventare
il partito del destino del nostro Paese". Cambiamento, certo. In
questo sta "la vocazione maggioritaria" del Pd e non nell'essere un
semplice vinavil, un mero collante. Riformismo, ci mancherebbe.
Quello che serve per cambiare un sistema di valori che Berlusconi "ha
sostituiti con i disvalori". Lavorare a testa bassa, conquistando
casamatta dopo casamatta, dice Veltroni, citando Gramsci. Ma per
farlo serve "pazienza e fiducia". Serve, continua Veltroni, un
partito che non trituri il leader dopo ogni sconfitta: "Non accade da
nessuna parte una cosa del genere, da noi è la regola" scandisce. E
si capisce che parla di lui. Della sua solitudine. Di un gruppo
dirigente da cui, in larga parte, non si è sentito appoggiato. Il suo
Pd, invece, l'ex segretario l'ha visto più volte: al Lingotto, a
Spello, in campagna elettorale, alla scuola di Cortona e al Circo
Massimo. E durante le primarie. E anche nelle divisioni interne.
Quelle chiare, però. "Abituiamoci al fatto che un grande partito non
può essere una caserma - dice tra gli applausi - I partiti moderni
sono così, ma alcuni di noi hanno l'imprinting dei partiti degli
anni '70. Sogno un partito che si chieda non da dove si viene ma dove
si va. Un partito che abbandoni una certa sinistra giustizialista,
salottiera e conservatrice. Un partito che abbia dirigenti che
facciano propria un'identità che gli elettori già hanno". Un partito
democratico, insomma. Come quello che si era materializzato tra le
bandiere del Circo Massimo.
Il futuro, dunque. Quello che vedrà Veltroni in una
posizione "riservata". Quello che avrà bisogno di "più solidarietà".
Quella, si capisce, che Veltroni non ha sentito. Coperta da manovre
di corridoio e veleni gettati ad arte. Eppoi le sconfitte. E i
processi interni che si aprivano un minuto dopo. Sul banco degli
imputati, sempre e solo il segretario.
E adesso che se ne va Veltroni chiede per chi lo sostituirà quello
che lui non ha avuto: "Non chiedetegli di ottenere risultati con
l'orologio in mano, gli sia concesso quello che non è stato concesso
a me, il tempo. Perché per grande progetto riformista servono più di
16 mesi". Veltroni si avvia a concludere. Ripone i fogli in tasca,
guarda Franceschini ("un amico leale") e conclude:"Non bisogna
tornare indietro, oggi ci sono le condizioni perché questo partito
possa farcela, amatelo di più, state uniti". Lavorando casamatta per
casamatta. Ma il compito toccherà ad altri. Lui, Walter, il
suo "sogno" continuerà ad accarezzarlo. Ma, par di capire, da
lontano.
 
Fonte La Repubblica
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