15 Settembre, 2002
Relazione introduttiva di Anna Maria Abbate al Cittadono del PD Cremona 1 luglio 2009
Forse dieci giorni non bastano per riaversi dallo sconforto di una sconfitta di questa portata.
Relazione introduttiva di Anna Maria Abbate
al Cittadono del PD Cremona 1 luglio 2009
Forse dieci giorni non bastano per riaversi
dallo sconforto di una sconfitta di questa
portata.
A botta calda, i tempi della riflessione
razionale vengono sempre sopravanzati dalla
reazione emotiva, e ciascuno, pur di lenire
la sofferenza di una frustrazione così cocente,
è tentato di aggrapparsi alla spiegazione
più immediata e consolatoria, anche se parziale.
Poi viene il tempo della lucidità razionale
e del desiderio di ripartenza, condizioni
indispensabili indispensabili per condurre
analisi oneste, coraggiose e, soprattutto,
costruttive.
Oggi siamo qui riuniti per ripartire, perché
nonostante la sconfitta, siamo fermamente
convinti della superiorità della nostra proposta
di governo, rispetto a quella della destra.
Ripartire però è possibile solo se sapremo
condurre un’analisi onesta della sconfitta,
le cui cause sono numerose, più o meno remote,
più o meno politicamente pesanti. Pur nel
rispetto della complessità del tema e rifuggendo
da facili semplificazioni, il primo elemento
che salta agli occhi macroscopicamente è
il traino negativo della politica nazionale
e la spinta del nuovo sentimento di destra
che percorre l’intera Europa.
Quindi, prima di addentrarci nelle cause
eminentemente locali che pur hanno pesato
significativamente, è doveroso un riferimento
al quadro nazionale, senza la cui cornice
la nostra situazione cremonese sembrerebbe
fluttuare nel nulla.
Ad un anno dalla sconfitta alle politiche,
il risultato di queste elezioni, europee
e amministrative, ha purtroppo confermato
il radicamento della destra e le evidenti
difficoltà della nostra prospettiva democratica
e progressista.
Questa destra nostrana, un mix di populismo,
clericalismo e tecnocrazia cui non mancano
spiccati accenti di razzismo e xenofobia,
interpreta oggi un paese che Berlusconi ha
costruito a propria immagine nell’arco dell’ultimo
ventennio, con strumenti e strategie che
la politica, la nostra politica, non ha saputo
contrastare.
La nostra “storia”, i nostri valori, la nostra
visione di società, non ci sono bastati per
reggere l’urto del mutamento antropologico
che l’egemonia culturale di questa destra
ha saputo imporre.
E’ saltato il nostro rapporto con interi
pezzi di società; abbiamo perso la capacità
di interpretare e rappresentare interi mondi;
vecchi e nuovi bisogni ci hanno parlato con
lingue che non siamo stati capaci di comprendere
e perciò non li abbiamo ascoltati.
Il massiccio travaso di voti da un estremo
all’altro dei due schieramenti a favore della
Lega ci dimostra che siamo ora di fronte
ad un salto di qualità di quest’ultima, salto
che la spinge oltre il localismo. Fin ora
la Lega si era posta come “sindacato del
territorio”. Ora si propone come sindacato
della sicurezza e della protezione tout court
e riesce così a dilagare anche in regioni
dove non ha di fatto nessun radicamento.
Il Pdl è il primo partito in gran parte dell’Italia
e minaccia il primato del Pd anche in regioni
che tradizionalmente incarnavano il nostro
modello di buon governo locale.
Il centrosinistra, dunque, non è più percepito
come capace di esprimere il buon governo,
né a livello locale, né a livello nazionale.
Non funziona più l’assioma, un tantino manicheo,
che attribuiva solamente al Pd la cultura
di governo e le competenze necessarie ad
organizzare e gestire città, province, territori.
Nonostante ciò, non è stato raccolto l’appello
di Berlusconi al plebiscito, il 45% tanto
invocato è rimasto ben al di là della realtà,
nel mondo delle sue spacconate assieme ai
suoi fantomatici sondaggi.
Ma suonano troppo trionfalistici i commenti
che vedono in questo segnali un incipiente
declino della destra previa implosione dello
schema vincente PDL-Lega.
Quel che è certo è che il PD, malgrado le
tante profezie di un’imminente dissoluzione,
ha retto e si dimostra un progetto vitale
sebbene ancora tutto da strutturare.
In questi 20 mesi abbiamo attraversato di
tutto camminando sempre in salita: caduta
prematura del governo Prodi, sconfitta alle
politiche, voto in Sardegna, fino a quest’ultima
difficile tornata elettorale. Eppure il PD
è in piedi, provato ma in piedi, e gode di
un buon patrimonio di valori, idee, progetti
e persone per un sicuro rilancio. Ma questo
PD porta anche in sé elementi perniciosi
che sarà bene individuare e neutralizzare
immediatamente con coraggio.
La fase congressuale che si è aperta con
la Direzione Nazionale del 26 giugno scorso
è il luogo dove finalmente avremo modo di
definire l’identità del nostro partito. Dovrà
essere un congresso vero, non un concorso
di bellezza o simpatia. Avremo finalmente
quel confronto tra più candidati con piattaforme
ben distinte a cui fin ora ci si è sottratti,
ma che avrebbe dovuto svolgersi già all’indomani
della sconfitta politica del 2008.
Non essere stati forgiati da un congresso,
non aver ragionato né fatto sintesi politica
intorno ai temi portanti della ragione del
nostro esistere come partito, ci ha tenuti
a bagnomaria, ci ha resi timidi. Abbiamo
parlato spesso a più voci quasi sempre in
maniera dissonante. Così siamo apparsi subalterni
e incapaci di risposte credibili. Dopo le
dimissioni di Veltroni, bisogna dare atto
a Franceschini di essersi battuto generosamente
e con energia sconosciuta alla stagione veltroniana
per contrastare il governo, pur tuttavia
non siamo riusciti ad impedire un’emorragia
di voti in tutte le direzioni, anche verso
Lega e PDL.
E per la prima volta, il voto amministrativo
non si è distinto rispetto ala nazionale.
Dappertutto c’è stato una sorta di filotto
sul simbolo e il buon governo locale non
ha saputo rovesciare questa logica.
E così è stato a Cremona.
Alle elezioni europee il PD in città ha sfiorato
il 30% dei consensi, con un calo contenuto
rispetto alle elezioni politiche dello scorso
anno, (quando si presentava insieme ai radicali),
alquanto inferiore al calo subito a livello
nazionale.
I 12.369 voti che il PD in città ha preso
alle elezioni europee si confermano nelle
comunali (12.556) e calano leggermente nelle
provinciali (10.791).
A conferma che la tradizionale differenza
di consensi tra“amministrative” e “politiche”
a favore delle prime non si è purtroppo confermata
neanche qui da noi.
Per quanto riguarda il voto comunale, il
risultato complessivo della coalizione che
ha sostenuto Corada, 16.369 voti, si è dimostrato
basato sulla colonna portante del PD primo
partito in città con il 31,8%, e un apporto
alquanto scarso delle altre liste della coalizione.
Un elemento di riflessione merita anche il
forte calo di partecipazione al voto e il
generalizzato orientamento a destra del voto
giovanile che non si possono ascrivere a
dinamiche esclusivamente locali.
Complessivamente le cause che hanno determinato
lo scivolamento a destra dell’elettorato,
sono da far risalire alcune alla coalizione,
altre alla responsabilità dell'amministrazione
uscente e allo stesso candidato, altre ancora
al nostro partito.
Dopo la sparizione dal parlamento, le forze
della sinistra radicale hanno avuto la legittima
necessità di mantenere e accentuare visibilità
sui territori. Le loro scelte, via via sempre
più dettate da questa necessità, le hanno
portate a concludere l’esperienza amministrativa
chiudendo ogni ipotesi di convergenze future.
Indicativi il loro voto del PGT.
Saltato il quadro delle alleanze pregresse
per separazione consensuale, la nuova coalizione,
nata sulla centralità del programma di Corada,
non è riuscita ad ampliare il consenso in
nessuna direzione, e in particolare ha fallito
sul fronte del civismo. Le esperienze civiche
non hanno saputo coinvolgere a sufficienza
la società civile al di fuori dei partiti
e non hanno saputo parlare ai mondi vitali
a cui la proposta Corada si rivolgeva.
Nonostante il buon governo, soprattutto in
determinati settori( servizi sociali, politiche
per l’infanzia e gli anziani, politiche abitative)alcune
scelte dell’amministrazione uscente, particolarmente
appariscenti e dall’impatto immediato alquanto
disagevole per i cittadini, sono state percepite
come pervicacemente imposte, avulse dai reali
bisogni della città e non abbastanza condivise
e partecipate. In un contesto evidente di
malumore crescente, ha prevalso l’immagine
di una giunta sorda e autoreferenziale, soprattutto
in quelle fasce dell’elettorato dove era
stato smarrito ogni senso di appartenenza,
nel dilagare di un individualismo opportunista
che vede nelle istituzioni, anche locali,
un risolutore dei propri personalissimi problemi
a prescindere da quelli della comunità.
Ogni amministrazione uscente è naturaliter
identificata con la continuità e la conservazione,
mentre la controparte è sempre e necessariamente
letta in un’ovvia dinamica di novità.
Alla domanda insistente di cambiamento emergente
in tutto l’elettorato, sia di destra che
di sinistra, noi non abbiamo saputo dare
né una chiara interpretazione né un’adeguata
risposta. Derubricare questa domanda ad elemento
escliusivamente umorale non ci ha aiutato.
Bisogna essere capaci di uno sguardo sinottico
dei fenomeni collettivi prepolitici per comprendere
che purtroppo spesso non conta quello che
fai, ma la percezione di quello che sei.
E noi eravamo quelli al comando da troppo
tempo per permetterci il lusso di sottovalutare
questo aspetto.
E così, pur essendo portatori di una visione
di rinnovamento e di rilancio della città,
non abbiamo saputo farci riconoscere come
“innovatori”. Al contrario siamo stati percepiti
in difesa della conservazione.
La nostra analisi potrebbe continuare riflettendo
sull’impostazione della scaletta delle priorità
tematiche del candidato, sull’efficacia del
tipo di comunicazione adottato, sull’ insufficiente
presenza nei luoghi di lavoro e di vita,
recuperata essenzialmente solo a ridosso
della campagna della campagna elettorale.
Siamo qui stasera per questo.
Sappiamo solo che la sconfitta non era segnata
nelle stelle e che con una diversa coincidenza
di fattori avremmo potuto farcela
Ora siamo all’opposizione e se questa sarà
una parentesi di breve o lungo periodo non
dipenderà da dinamiche nazionali.
Svolgeremo il nostro ruolo in totale autonomia
e senza commistioni di sorta. A loro l’onere
del governo, a noi quello del controllo della
critica, della denuncia e della proposta
alternativa. Non ci metteremo mai di traverso
in maniera pregiudiziale, ma non gli faremo
mancare per un solo istante il nostro fiato
sul collo.
Nel governare gli enti locali, avevamo tenuto
intrecciate l’attività politica e quella
amministrativa, sacrificando a volte la prima.
Essere ora all’opposizione ci impone un cambio
di paradigma radicale sul nostro modo di
costruire e governare i processi politici;
esige una rigenerazione delle modalità di
partecipazione alla vita interna del partito
che vogliamo più partecipata, trasparente
e ampiamente democratica;
richiede la scelta di pratiche di costruzione
del consenso più autentiche e rispettose
dei reali bisogni dei cittadini, non solo
attraverso l’ascolto, che è doveroso, ma
soprattutto facendoci promotori della crescita
di una cittadinanza attiva, partecipe ed
esigente.
Intanto con l’apertura del percorso congressuale
è arrivato il tempo di decidere sul ruolo
del nostro partito, sulla sua identità, sul
suo progetto di società.
Quale legge elettorale vogliamo? Quali riforme
istituzionali? Come intendiamo riformare
il Welfare?
E’ necessario rimettere al centro i grandi
temi della sinistra: la dignità del lavoro,
la mobilità sociale, l'uguaglianza, la valorizzazione
delle nuove generazioni e delle donne, la
difesa dei diritti.
Dobbiamo ribadire la necessità di una politica
laica, ispirata certo a un dichiarato sistema
di valori, ma di valori politici, non metafisici
o religiosi.
Dobbiamo riproporre con forza la questione
morale e il problema della qualità della
democrazia.
Dobbiamo, in definitiva, costruire un partito
che sia, e così venga riconosciuto, come
nitidamente alternativo a questa destra affinché
abbia la piena credibilità di una forza di
governo.
E infine, dobbiamo costruire il Pd con i
giovani e per i giovani, ma senza per questo
cadere nel peccato del nuovismo. Le novità
che valgono non si costruiscono in laboratorio.
Il vero rinnovamento non si ottiene certo
con la cooptazione, ma emerge solo dalla
battaglia politica, altrimenti resta solo
inutile operazione gattopardesca.
Siamo chiamati ad avviare un percorso di
innovazione culturale e politica di portata
storica. Ce lo impone una situazione di crisi
generale in atto che costituisce di fatto
uno spartiacque. Sono venuti meno alcuni
assunti ritenuti finora per saldissimi: sotto
il profilo economico-finanziario, quello
della logica speculativa volta a moltiplicare
artificialmente una ricchezza che in termini
reali non cresce; sotto il profilo istituzionale,
quello delle deregolamentazioni e delle privatizzazioni
a senso unico; sotto il profilo culturale,
quello della persona umana concepita soltanto
come individuo consumatore.
Ciò che sottende a queste trasformazioni
è la debolezza della politica, la sua subalternità
ai poteri economici e finanziari la sua progressiva
rinuncia delle proprie responsabilità.
Il vuoto lasciato dalla politica è stato
riempito dalla demagogia dell'antipolitica
che ha aperto la strada alle proposte illiberali
di questa destra, foriere di soluzioni post-democratiche
che puntano a indebolire e smantellare il
nostro sistema di garanzie costituzionali
sia sul versante delle libertà civili che
dei diritti sociali.
Il lavoro che abbiamo davanti è tanto ed
estremamente appassionante. Spero che lo
faremo assieme, camminando fianco a fianco.
Annamaria Abbate
Segretario cittadino PD Cremona
Cremona 1 luglio 2009
 
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