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 Storia Cremonese

15 Settembre, 2002
Deo Tonani, Pucci Rapuzzi e l*eccidio del Col del Lys
Li ammazzarono come cani, e loro, invece, ebbero la fortuna di morire nei loro letti. Ed ora cianciano di guerra civile....

ANPI CREMONA
Le battaglie dei giovani cremonesi nella lotta partigiana in Piemonte e in Valle di Susa
Intervento di Enrico Fogliazza
Cremona, Convegno in ricordo di Deo Tonani e Pucci Rapuzzi svoltosi in Palazzo Comunale il 28 marzo 2009

*****

Carissimi tutti,

l’ANPI di Cremona ringrazia tutti per aver organizzato questo incontro da noi tanto auspicato. Grazie a voi che avete accettato l’invito.

Un particolare saluto agli amici del Piemonte e delle altre provincie. Grazie alle autorità civili e militari che con la loro presenza testimoniano i valori di unità nazionale rappresentati dalla Lotta di Liberazione e la validità degli incontri avvenuti lo scorso anno alla Caserma Manfredini, tra associazionismo della società civile e militari, per un futuro di democrazia sempre più e ampia e solida.

Ricordare Deo e Pucci richiama alla nostra attenzione i 500 giovani cremonesi che hanno combattuto nelle Valli Piemontesi, i 30 caduti cremonesi, come i fratelli Antonio ed Alfredo Di Dio, entrambi Medaglia d’Oro al V.M.; Sergio Murdaca di 18 anni e Cesare Goi entrambi decrati di medaglia d’argentoal V.M combattenti nelle formazioni Moscatelli; i 14 Caduti del valle di Susa con Deo e Pucci Medaglie d’argento e Barbarossa e Leo medaglie di Bronzo; il gruppo dei combattenti nella formazioni di Barbato o Comollo al Montoso, o quanti nel cuneese, nelle langhe hanno lasciato la vita come Tadioli, Fanti, Dadda, ed altri. Vogliamo ricordare assieme a loro tutti i Martiri e i combattenti della guerra di liberazione ed i loro famigliari.

Deo e Pucci, nell’ anniversario della morte sono al centro di questa iniziativa di ricordi ma anche di riflessione.

La Resistenza è stato periodo difficile, pericoloso ma esaltante perchè ha chiesto ad ognuno di noi volontà e sentimenti ed ha trasformato dei ragazzi - che il fascismo aveva reso inermi, incolti, bloccati, subalterni - in gruppi capaci di superare ogni ostacolo per giungere a vivere insieme in solidarietà, in baite senza coperte, al freddo con tanta fame, disarmati, ed insieme sviluppare la creazione di distaccamenti, brigate, divisioni, discretamente armate ma soprattutto capaci di sviluppare rapporti di grande rispetto e solidarietà con le popolazioni senza le quali sarebbe stato proibitivo porsi l'obiettivo di vincere quelle battaglie.

La politica revisionista messa in atto soprattutto negli ultimi anni ha gettato un'ombra sulla cruda realtà della guerra partigiana. Ha creato ombre, dubbi, confusioni sino a giungere al punto di mettere in dubbio se la guerra di liberazione vi sia stata o no, specialmente tra le generazioni che non hanno potuto conoscere - per volontà politiche precise - la vera storia che ha portato alla fine di ogni guerra in Europa e, in Italia, alla Repubblica e alla Costituzione che va rispettata ed applicata.

E’ mio dovere rendere esplicita questa vergogna e spiegare la nostra lotta e la nostra battaglia. In una testimonianza che non vuole limitarsi a ricordare fatti ed accadimenti personali, ma che da essi vuole trarre insegnamento ed indicazioni generali.

Arrivammo in Valle di Susa reclutati, si suppone, attraverso un'azione messa in campo dal Gen. Perotti, comandante del CMRP, con l'obiettivo di organizzare un incessante martellamento della linea ferroviaria Torino- Modane che i tedeschi usavano senza risparmi perché unica linea vicina ed agibile. La linea di Domodossola infatti era inservibile mentre la Brennero era molto lontana.

Nell’autunno del 1943 l'Ing. Bellone, Comandante della Brigata Carlo Carli, Don Foglia, (Don Dinamite), Alessio e il giovane Vittorio avevano fatto saltare la Galleria del Freyus e il ponte sull'Arnodera con notevoli successi. Ciò nonostante, i potenti carri attrezzi tedeschi riuscivano ad intervenire sollecitamente e a ripristinare condizioni favorevoli alle forze nemiche.

Rendere inservibile la linea ed organizzare brigate partigiane nelle valli per ostacolare i forti rastrellamenti che si sarebbero sviluppati era il compito del CMRP nel quadro strategico generale della guerra. Da qui la necessità di una campagna di reclutamento anche fuori dal Piemonte.

In questo quadro importante si dimostra l'azione dell'operaio cremonese Paolo Ghilardotti, che lavora a Rivoli e faceva già parte del movimento antifascista. Grazie ai rapporti con il territorio cremonese – esattamente con Biselli a Porta Po, Zavatti a Porta Venezia e Binaschi porta Milano, rioni che vedevano la presenza delle “ceramiche” Frazzi, Lucchini, Caveada e Ferrari, centri di azione operaia antifascista - “Pola” riesce a mettere insieme circa 130 giovani cremonesi che, a gruppi di 10-15, giungono a Montecomposto indi la Frassa - Rubiana - centro di raccolta per utilizzare i resti della 4 Armata Alpina. Queste almeno erano le speranze che animavano i reclutati, indotte anche dal “miraggio” fatto balenare dai reclutatori.

Alla partenza da Cremona alle 6 in treno trovo altri giovani che parlando, abbastanza allegri, mi dicono che stanno andando a trovare la morosa in risaia a Santhià.

Chi mi aveva reclutato, in completa clandestinità, mi aveva anche suggerito che, una volta giunto a Torino-Porta Nuova, avrei dovuto cercare un giovane con in tasca ben in vista una copia del giornale “La Stampa” ed avrei dovuto seguirlo, senza di nulla, per essere condotto a destinazione.

Era forse la terza volta in vita mia che andavo in treno. Ed una delle primissime volte che vedevo la montagna. Quel giovane era Ghilardotti che ci portava così a Porta Susa, per Avigliana.

Con la coda degli occhi vedo anche altri, che avrebbero dovuto andare in risaia dalla morosa, seguire di nascosto quel giovane. Dunque non sono solo. La cosa mi rincuora. Scopriremo più avanti che, in quel viaggio, eravamo in 17, tutti destinati alla Frassa.

Arrivati a destinazione, dopo aver ricevuto il saluto a Rubiana da parte di Majorca, Commissario Politico, ci incontriamo con decine e decine di altri cremonesi. Tra loro anche alcuni che si sapeva alla TODT. a Varazze. In questa occasione incontro Franco Scala, con il quale eravamo stati insieme sotto le armi a Casalbuttano: é un caro amico. Un po' sorpresi ci abbracciamo.

Dei resti della 4° armata nemmeno l’ombra. Nessuno ti riceve. Un volontario cuciniere fa bollire acqua e pochissimo riso, vecchie scatole, gavette, cucchiai di legno ricavati da scorza di pianta, vestiti estivi, scarpe estive di città ormai ridotte a poco più di cartone.

Tutti attendono il ritorno di Deo che era andato alla ricerca di vettovaglie e di qualche responsabile. Deo, di fatto, é già il Comandante del gruppo per il ruolo che oggettivamente sa giocare e svolge. Guida alpina, gran camminatore, altruista, sempre pronto- E' il ragazzo che ci voleva, sussurrano tutti.

Siamo rimasti soli, come pulcini perché ambiente, gente , gli stessi pochi partigiani erano indifferenti, si pensava addirittura che fossimo un gruppo di spionaggio tedesco.

Ci si incontra con Alessio Comandante di Brigata che rimprovera chi ci ha mandati lassù e così in tanti. Dice che non è in grado di soddisfare le nostre esigenze. Ci facciamo sentire e entra nella buca- magazzino e ci offre scarpe, riso, burro: cose che ci permettono di tirare avanti qualche giorno completando il tutto con ciliegie crude e cotte.

Cosa era accaduto tra la fase del reclutamento ed il nostro arrivo ?

Il 5 aprile 44 era stato arrestato e fucilato al Martinetto di Torino tutto il Comando militare, compreso il Gen. Perotti. Si era così rotta la catena dell’organizzazione per cui i partigiani, la popolazione di lassù non sapevano dell’arrivo di tanti aspiranti partigiani, da Cremona in particolare.

Vi è chi si spaventa e sparisce. Non ci sono libri matricola o permessi, ognuno è libero di fare quel che vuole, compreso chi, tornato a casa, si è probabilmente premurato di fare avere a Farinacci l’elenco dei “ribelli” Farinacci aveva già provveduto a far inviare la Leonessa di Brescia nonché un Presidio della GNR , brigate nere più fidate e violente di Cremona, ad Avigliana col compito di colpire a fondo quelli che per il regime erano da considerarsi pericolosi traditori. Farinacci era particolarmente segnato ed innervosito per tutto quello che stava succedendo sul fronte militare e sul fronte interno. Un “trofeo partigiano ” di guerra proveniente dal Col del Lys sarebbe stato un dono prezioso e ricostituente per i fascisti demoralizzati.

Il Comando di Hitler in quei giorni aveva disposto che dal 1 luglio le armate tedesche e italiane - SS e GNR comprese, che già si trovavano sul posto - non dovevano programmare la loro presenza al fronte, ma avevano l'ordine di assestare un colpo decisivo alle formazioni partigiane della Valle di Susa, a partire dalla 17° Brigata Garibaldi.

Dal 1 luglio una postazione di artiglieria tedesca si sposta ad Almese, sulla via che porta al Col del Lys, e spara 120 colpi su presunti obiettivi partigiani di media e bassa valle. Preparano il rastrellamento che avverrà il giorno dopo, il 2 luglio 1944, su al Colle, zona dove eravamo noi disarmati, affamati, ignoranti di sentieri, mulattiere e di montagne.

Avvisati dall’allarme alle 7 del mattino del 2 luglio, nascosto il possibile nella Baita Marino, divisi in due gruppi, ci si abbraccia e ci si dà l'arrivederci sul Civrari e, con ansia, un gruppo prende un sentiero, il secondo ne imbocca un altro.

Rivedrò qualche tempo dopo 26 giovani massacrati. Riconosco tra essi Scala, Conca, Faleschini, Boccalini e Zaniboni – 5 giovani cremonesi – i corpi ridotti a larve, tra grumi di sangue misto a terra, insetti, occhi sbarrati dal terrore, pugnalati e trucidati. Questo è il trofeo che voleva Farnacci: ragazzi ventenni, affamati, disarmati, stanchi, catturati e non resi prigionieri, ma massacrati da belve ubriache di alcool o droga.

Vergogna ! Ancora vergogna e sempre vergogna!

A questo proposito non va dimenticata la figura e la funzione di Aldo Protti che, fresco degli insegnamenti appresi alla scuola anti-partigiana di Firenze, rientra a Cremona a fine giugno per ricevere ordini precisi da Farinacci, capo del fascismo cremonese e suo mentore anche nei suoi primi approcci al mondo del “bel canto”. Ricevuti evidentemente ordini precisi, Protti riparte subito da Cremona per giungere ad Avigliana la notte del 1 luglio, armatissimo e scortato, portando a destinazione, al proprio reparto, le tecniche imparate per combattere i partigiani.

Non vi sono più dubbi ormai: la GNR di Cremona era presente sia a Favella che al Colle del Lys il 2 luglio del 1944.

Sono notizie ricavate dal libro di Corbatti e Nava “Sentire - Pensare – Volere: Storia della Legione SS italiana”. Nel quale si dice anche che i cinque cremonesi furono fucilati perchè disertori della GNR cremonese. Grossa bufala, perché quei “fucilati” (che non furono fucilati, ma vigliaccamente massacrati) erano venuti in montagna con noi e noi li conoscevamo bene. Nulla avevano a spartire con la GNR di Cremona. Errore, dunque, ma errore molto significativo. Perché chi avrebbe potuto propalare l'idea che i 5 cremonesi fossero disertori della GNR cremonese, se non proprio fascisti cremonesi inviati lassù allo scopo di “vendicare l'onore” della fascistissima Cremona e del suo Ras?

Io e Franco Scala eravamo stati insieme sino all’8 settembre 43, nove mesi prima dal massacro del 2 luglio 44 del Colle del Lys, in servizio militare a Casalbuttano, dove avevamo avuto l'occasione di conoscere bene l'allora sergente Aldo Protti, e di constatare soprattutto la sua furia fascista. E lui aveva avuto l'occasione di conoscere noi.

Nessuno potrà mai provarlo, perché da quella giornata tragica e funesta non scamparono testimoni partigiani, non vennero girati filmati. Le poche testimonianze dei montanari nascosti nei paraggi parlano di episodi di violenza inaudita, di urla e raffiche, di bestie inumane con i volti anneriti e resi irriconoscibili.

Dov'era, in quella occasione il gruppo della GNR di Cremona? Ad Avigliana? E perché mai? Quale motivo avrebbe potuto indurre il manipolo dei fascistissimi di Cremona, emissari diretti del fascistissimo Farinacci, a non prendere parte all'azione di rastrellamento così minuziosamente ed attentamente preparata? Un'azione decisa e voluta, come scrivono Corbatti e Nava, dal Comando tedesco nei confronti del quale il ras di Cremona Roberto Farinacci -il più fascista tra i fascisti, come amava essere rircordato - svolgeva una funzione esplicitamente subalterna di succube esecuzione.

Essi scivono: “Dal 1 luglio 1944 l’SS-Ogruf. Wolf autorizzò lo Stato Maggiore LOTTA ALLE BANDE dell’SS-und Polizeifurher Oberitalien West a impiegare senza limitazioni i volontari SS italiani in operazione antiguerriglia, operazione che videro l’impiego di appositi gruppi di combattimento costituiti di reparti diversi della brigata SS”. Più avanti si precisa: “... i legionari della GNR puntarono su Favella divisi un due colonne: una partita da Condove, la seconda proveniente da Valle della Torre.”…e ancora: “..le due colonne raggiunsero il 3 luglio ( in effetti era il 2 luglio n.d.r. ) il Colle del Lys. dove vennero catturati numerosi (26) appartenenti alla 17a Brigata Garibaldi tra cui anche un gruppo di disertori appartenenti ad un reparto della GNR di Cremona …….. che vennero subito passati per le armi”.

I massacrati, e non fucilati, erano, come detto più sopra: Franco Scala, di 24 anni, Gianpaolo Conca pure, Sauro Faleschini di 18 anni, Edoardo Boccalini di 35 e Alfredo Zaniboni di 41 anni. Erano tra i 130 cremonesi, venuti in montagna purtroppo ancora tutti disarmati ed affamati. Un’ora prima di essere trucidati ci eravamo abbracciati alle Miande Marino dandoci l'arrivederci sul Civrari!

Il bagno di sangue fu perpetrato. Gli assassini tornarono alla loro base. Si sa che quei cremonesi moriranno nei loro letti, per via delle vendette partigiane!

Noi sopravvissuti ci ritirammo in una buca del monte Rognoso, chiamata il “non si vede” e Mario con i suoi in un'altra chiamata “non si trova”. Assumemmo una decisione ferma e determinata: la lotta deve continuare, quelle belve hanno dimostrato quanto il sogno di Hitler di fare della valle Padana un bagno di sangue sarebbe stato possibile dopo quel che si è visto al Col del Lys.

Nella legittimità del dubbio, si spalanchino gli armadi del dolore e della vergogna della Villa Merli, della sede degli uffici investigativi di Via Sacchi, della ex caserma Mutti, del Palazzo della Rivoluzione di Farinacci, del Palazzo Trecchi, sede del Kommandatur e delle SS.

E venga chiarita anche la fine fatta dal partigiano Giovanni Parizzi (Balota): inviato in missione dalla Valle di Susa a Cremona, egli sparì nel nulla nella zona Acquanegra, Grumello, Pizzighettone.

***

Superato lo shock, dopo l'eccidio del Col del Lys del 2 luglio 1944, nell’incontro successivo con i Comandi superiori chiediamo più armi perché col fucile 91 non si può far la guerra ai tedeschi. Mettiamo intanto a fuoco come, per la nostra sopravvivenza e per la nostra organizzazione, non si possa più pesare sul contadino e sulla sua famiglia, magari rubandogli le uova, la galline o le patate.

Il contadino rischia, se si continua così, di diventarti nemico, se gli rubi il pane guadagnato con tanta fatica su quella terra arida ed avara.

Problemi che gli stessi, ne erano ben consapevoli. tanto che avevano dato vita alla costituzione del Gruppo dell’Intendenza, che studia ed organizza colpi nella zona industriale e verso il grande commercio di Torino. Ecco la preparazione del colpo all'Aereonautica d'Italia, il 18 agosto, nel quale vengono prelevate 170 mitragliere di diverso calibro e relative munizioni. Deo e Pucci saranno tra protagonisti di questa operazione come quella del 4 settembre alle casermette di Caselette.

Dal linificio arrivano cappotti, tela bianca per mimetizzarsi, e altra stoffa. La Venchi Unica ci invia i panettoni destinati alle brigate nere, per la grande gioia dei bambini delle borgate. Dalla Mandria del Re di Venaria Reale preleviamo le mucche che scambiamo con quelle vecchie e magre del contadino. Le nuove gli serviranno per mandare avanti la sua piccola impresa, le vecchie le macelleremo per sfamarci. Ed é così che si radica la stima delle famiglie montanare verso i ribelli delle Brigate partigiane. Ed é così che, insieme alla stima ed all'ammirazione, arriva anche la verdura e la frutta. Ed é così che la figlia diventa staffetta partigiana, la mamma ti dà la scodella di latte caldo e ti cura se hai la tosse. Il tabaccaio e i fumatori sono tranquilli perché il Monopolio di Stato, anche grazie a finte rapine messe in scena con l'accordo dei gestori, provvede alle esigenze di tutti.

Ed é così che prepariamo il Natale del '44: sei cabasse con pacchi di carne avvolti in nastri tricolore con un biglietto di auguri dei partigiani vengono recapitate alle famiglie contadine che la carne non la vedono mai. A Pasqua in bassa valle si procede a confezionare un pacco dono con una pelle conciata, un kg. di zucchero e di burro più diecimila lire per le famiglie dei Caduti, dei danneggiati dai rastrellamenti, per gli amici ed i collaboratori. Si ospita un distaccamento femminile di staffette “bruciate” a Torino, e si crea il distaccamento Anita Garibaldi. Si fanno processi contro le spie, i razziatori o i ladri, aperti al pubblico con Tribunale, pubblico ministero e avvocati di difesa con alla base un nostro codice basato sulle esigenze della guerra guerreggiata.

Si respirava aria nuova per questi nuovi rapporti ma anche perché arrivavano, anche se in forma sporadica, le notizie che riguardavano l’Armata Rossa, che al Nord picchiava forte sulle armate tedesche, tanto da sospingerle verso Berlino, mentre al Sud le Armate Alleate, sbarcate in Italia, liberata Roma, salivano verso il Nord, e lo sbarco vincente in Normandia faceva intuire anche ad un nano dove ormai si andava a parare con la guerra.

Questa fu la politica e l'azione voluta dai Comandanti e fatta propria da tutti per cui si riuscì ad organizzare tra l’agosto ed il dicembre - altre brigate ed altri distaccamenti. Con i giornali murali, l’ora di discussione, anche se non sempre informati, l’arrivo di nuovi renitenti, di militari fuggiaschi dell’aeronautica, universitari o di scuole elevate portavano un contributo di sapere e di cultura.

Ma il nemico non stava a guardare. Le esigenze del nemico tedesco sono pressanti per liberare la Valle dalla presenza partigiana e rendere pienamente disponibile la linea di transito da e per la Francia. Ad esse bisogna corrispondere. Per questo il gen. Graziani passa in rivista ad Avigliana 5 mila uomini armati - brigatisti neri e tedeschi - per assestare l’ulteriore ultimo colpo alle Brigate partigiane.

Il 10 gennaio 1945 viene scatenato un nuovo rastrellamento, nella convinzione che l’alto innevamento avrebbe chiuso in una sacca le formazioni partigiane, pronte per essere annientate. La popolazione e gli sfollati sono molto allarmati. La paura é forte.

Emergono nuove proposte, concordate tra noi del Comando di Brigata. In seguito a discussioni anche aspre e forti, si decide di svallare, scendere alla periferia di Torino, nasconderci nella cascine, come era avvenuto l’otto settembre del '43, e fare il vuoto in valle. Fatti saltare i ponti per far credere al nemico la nostra presenza e la nostra determinazione a difenderci, le notti del 6 e 7 gennaio, a piccoli gruppi, scendiamo verso Torino.

I tedeschi cercano i partigiani, non ne trovano. Su in montagna é rimasto solo il distaccamento civetta dei cremonesi che spara per fiaccare il nemico già stanco, attirandolo su verso l'alto. E' l'operazione che passerà alla storia come “la grande beffa”.

Tedeschi e fascisti arrivano a Monpelato, occupano la Casa Parrocchiale perché più sicura. In quella casa, per puro caso, sono ospitate la mamma di Deo e mia moglie Maria, giunte da Cremona guidate da Binaschi, del tutto inconsapevoli di ciò che sta avvenendo. Il silenzio per loro é obbligo assoluto, perché la sola pronuncia e cadenza cremonese può far scattare il fermo, l’arresto, i massacri della popolazione e del paese. Era già capitato a Boves, nel cuneese.

Per fortuna il nemico non si accorge di nulla e tutto va per il verso giusto.

L’ 11 mattino si deve tenere la riunione nello scantinato della Basilica di San. Pancrazio a Pianezza dei comandanti dei distaccamenti, alla presenza del comandante Deo, per esaminare l’andamento delle operazione e il da farsi. Ma Deo ha uno scontro alla Madonna della Bassa con una pattuglia tedesca e rimane ferito al muscolo di una coscia. Dopo peripezie inenarrabili, curandosi la ferita con lembi di camicia, dopo una notte di tribolazioni, giunge a Monpelato, all'oscuro del fatto che la Casa parrocchiale fosse occupata dai fascisti tutti fuori alla caccia dei partigiani e a bruciare baite Entra nella casa e trova la madre, mia moglie e la mamma del parroco. E’ pallido, dissanguato, non ha voce. E' stanco.

Sua madre, facendo violenza al proprio cuore di mamma, con il cuore in gola, all'abbraccio del figlio lo implora con forza di andarsene subito perchè fascisti e tedeschi lo stanno cercando e se lo trovassero lì, sarebbe stato immediatamente ammazzato, e con lui tutti gli abitanti del paese.

Lo troveremo con Ettore Bertolo, un contadino sempre presente, in una baita, assai triste. Lo portiamo a Nevarussa dove i Bertolo avevano procurato di preparare un buco- infermeria. Curato, guarirà nel volgere di circa un mese.

Vado in bassa valle al posto suo. La prima cosa da affrontare é di sfatare la voce, fatta circolare ad arte, che lassù in alta valle tutto era andato distrutto ed i Comandanti partigiani tutti ammazzati. La mia presenza chiarisce la situazione e con lena riprendiamo le fila dei contatti per rimettere in piedi le nostre forze.

Il carattere della guerra dà ormai vincente la democrazia. Il nemico aumenta l’aggressività. Continua la ferocia dei rastrellamenti e delle puntate nemiche. Ci salvano i contadini, la loro amicizia, la loro alleanza. Senza di loro, senza le loro famiglie oggi non saremmo qui a parlarne.

Tedeschi e fascisti hanno sempre più impellente l'esigenza di liberarsi dalle formazioni partigiane. Da mesi li costringiamo a rimanere in forze qui nelle valli piemontesi. nel quadro della strategia generale della guerra Da mesi diamo in questo modo il nostro diretto contributo alla guerra per la libertà della nostra Patria. Da qui cade la vergogna del revisionismo più volgare circa la guerra civile!

Nello stesso tempo tedeschi e fascisti hanno forte l'impegno di colpire Deo e la 17esima. Vogliono prendere e stroncare il “ragazzo di ferro”, così lo hanno definito. Tentano il 19 marzo e subito dopo, il 22. Ma tornano scornati. Il 29 marzo ottocento tedeschi e fascisti, di prima ora, con la nebbia, superano le ronde e le guardie e arrivano alla baita comando. La sentinella spara, Pucci esce e viene subito colpito, Deo si scaraventa su di lui per portarlo in salvo, ma viene colpito da una pallottola esplosiva. Cade. Gim, il magazziniere, lo nasconde sotto della fascine per trasportarlo, poi, alla baita Raimondo. Il giorno dopo, il 30 marzo, alla presenza di partigiani e contadini, del Prof, Chiò, di Don Lavagno e del sig, Badone, arrivo in tempo, accompagnato da Saetta, per vederlo ancora vivo ma con l’occhio spento. Farfuglia alcune cose: “mamma… garibaldini”.

Così muore Deo, Comandante della 17esima Brigata Garibaldi. Così, il giorno prima, era caduto Pucci, vice comandante. Combattendo armi in pugno per la libertà del proprio Popolo e della propria Patria.

“Guerra civile” si osa dire oggi! Di quale guerra civile si va cianciando?

Noi partigiani di quelli valli combattemmo per la libertà e la dignità dell'Italia.



Combattemmo una guerra guerreggiata, inquadrati nelle forze armate del Corpo Volontari della Libertà, agli ordini del Comitato di Liberazione Nazionale, in piena sintonia con il governo di unità nazionale dell'Italia liberata e con gli Alleati Ed in questo quadro tenemmo inchiodati per mesi e mesi, sulle montagne piemontesi e di tutto l’arco alpino, degli appennini, tedeschi e fascisti, indebolendo la loro presenza al fronte, facilitando così lo sfondamento alleato verso la pianura padana per evitare il bagno di sangue che Hitler sognava, così come aveva sperato di “rendere polvere” Napoli insorta!

Obiettivi militari di grande interesse nazionale, per questo combatterono le Brigate partigiane. Di quale guerra civile cianciano questi moderni pennivendoli?

La storia non si cambia per qualche copia venduta in più di questo o quel libro. Nessuno potrà cancellare le evidente realtà che qui abbiamo ricordato.

Basta! Venga finalmente rispettato il sacrificio di quei giovani combattenti, che seppero conquistare la libertà per tutti, anche per chi – se avesse vinto – l'avrebbe al contrario conculcata e negata.

Quel giorno, quel 30 marzo, era il venerdì Santo del 1945: un giorno tanto triste e cupo, proprio mentre la natura si svegliava alla nuova primavera. Questi giovani avrebbero voluto viverla con tanta passione!! In libertà e in Pace!! Ed invece lasciarono la propria vita su quei monti.

In tutte le case della Valle venne poi esposta l’immagine di questo ragazzo “di ferro”, audace, buono. Nel nome di Deo e di Pucci, ogni anno, i cremonesi ritornano al Col del Lys per ricordare tutti i Caduti e riabbracciare i vivi e i fratelli valligiani, con i quali non potrà mai più essere cancellato il legame di vera amicizia suggellato con il sangue di tanti.

QUESTI GIOVANI HANNO SAPUTO TENERE ALTE LE MIGLIORI TRADIZIONI DI PATRIOTTISMO DEL POPOLO CREMONESE!!!

VIVA LA RESISTENZA !!!! VIVA L’ITALIA !!!!!

On. Enrico Fogliazza
Presidente ANPI Cremona
già Commissario Politico della17 Brigata Gribaldi “F.Cima” operante in bassa Valle di Susa

 


       



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