15 Settembre, 2002
Un saluto a Marco Follini ( di Giuseppe Torchio)
Ma l’innovazione non può prescindere dal “deposito di fatiche” (Carlo Cattaneo) che l’esperienza democratica del Paese ha costruito
Un saluto a Marco Follini ( di Giuseppe Torchio)
Ma l’innovazione non può prescindere dal
“deposito di fatiche” (Carlo Cattaneo) che
l’esperienza democratica del Paese ha costruito
Il Centro Culturale “Giovanni Marcora” saluta
il sen. Marco Follini, autore del Volume
“Elogio della Pazienza: perchè la lentezza
fa bene alla Democrazia” (edizioni Mondadori).
Saranno con lui due ospiti di grande profilo,
gli onorevoli Mino Martinazzoli e Bruno Tabacci,
testimoni significativi di un percorso tormentato
e complesso della vita politica italiana
degli ultimi decenni, aperti ad un confronto
costruttivo sul deficit di riforme, spesso
annunciate ma, per molti aspetti, ancora
da costruire.
Non si tratta di un nostalgico “amarcord”
della prima Repubblica quanto un tentativo
di riempire di contenuti la parola d’ordine,
spesso usata a sproposito, dell’innovazione.
Poichè tutti ne parlano si può incorrere
nel gattopardesco “tutto cambi perchè nulla
cambi”. E, tuttavia, a pagare lo scotto di
questa politica dell’annuncio sarà tutto
il nostro sistema che ha accumulato grandi
ritardi.
Ma l’innovazione non può prescindere dal
“deposito di fatiche” (Carlo Cattaneo) che
l’esperienza democratica del Paese ha costruito
in termini di conquiste di libertà, da una
stratificazione di stagioni democratiche
che hanno contribuito a diffondere un clima
di civiltà, di cittadinanza, di ampliamento
della democrazia, si diceva un tempo all’allargamento
della base democratica dello Stato.
Scrive Milan Kundera, nel suo romanzo La
Lentezza: “C’è un legame segreto fra lentezza
e memoria, fra velocità e oblio. Prendiamo
una situazione fra le più banali: un uomo
cammina per la strada. A un tratto cerca
di ricordare qualcosa, che però gli sfugge.
Allora, istintivamente, rallenta il passo.
Chi invece vuole dimenticare un evento penoso
appena vissuto accelera inconsapevolmente
la sua andatura, come per allontanarsi da
qualcosa che sente ancora troppo vicino a
sé nel tempo. Nella matematica esistenziale
il grado di lentezza è direttamente proporzionale
all’intensità della memoria; il grado di
velocità è direttamente proporzionale all’intensità
dell’oblio”. Il grande scrittore ceco, nel
parlare del suo libro, prosegue: “Da tale
equazione si possono dedurre diversi corollari,
per esempio il seguente: la nostra epoca
si abbandona al demone della velocità ed
è per questo motivo che dimentica tanto facilmente
se stessa. Ma io preferisco rovesciare questa
affermazione: la nostra epoca è ossessionata
dal desiderio di dimenticare, ed è per realizzare
tale desiderio che si abbandona al demone
della velocità; se accelera il passo è perché
vuole farci capire che oramai non aspira
più ad essere ricordata; che è stanca di
se stessa, disgustata da se stessa; che vuole
spegnere la tremula fiammella della memoria”.
Queste parole di Kundera si collegano benissimo
al nucleo centrale della riflessione di Marco
Follini: oggi la retorica del “fare” e della
velocità del fare finisce per indebolire
la memoria collettiva della nostra storia
recente; o forse, come suggerirebbe lo scrittore,
questo Paese nasconde il desiderio di dimenticare
se stesso e le ragioni della sua coesione
con il velo di una velocità assurta ormai
a mito della politica. Le pagine di Marco
Follini a questo servono: a suggerire, a
chi sa comprendere, di rallentare e rileggere
la nostra storia, e farne tesoro. Ora che
anche la “seconda Repubblica” sembra volgere
al lumicino, conosciamo, è vero, i limiti
e i difetti della “prima”: ma dovremo ricordarne
anche le qualità.
La prima delle qualità della “prima Repubblica”
era proprio la pazienza: la capacità di ascoltare,
convincere, rassicurare, e poi assumere la
decisione più condivisa. I leader di partito
di quegli anni sapevano raffreddare le emozioni
più estreme del proprio elettorato anziché
fomentarle, sapevano tenere a freno le pulsioni
più radicali della propria base anziché cavalcarle;
riuscivano così a dare spazio alle ragioni
di tutti e a realizzare quelle indispensabili
mediazioni che hanno consentito al Paese
di crescere e maturare.
Giuseppe Torchio
Centro Culturale “G.Marcora”
 
|