Nella notte del 3 luglio scorso ignoti pensavano bene di imbrattare con frasi
e disegni osceni la lapide posta in via D’Amelio in ricordo di mio padre e dei
suoi agenti di scorta; qualche giorno dopo, a Ciaculli, all’interno di un
terreno confiscato alla famiglia mafiosa del luogo e affidato dal Comune all’Unione
Nazionale dei Cronisti e all’ANM, di tutte le targhe commemorative ivi poste
solo una, quella di mio padre, sarebbe stata trovata divelta e lasciata per
terra.
La circostanza che tali episodi siano accaduti pochi giorni prima di questo
tredicesimo anniversario non è casuale e - sicuramente - l’autore o gli
autori di quei gesti hanno cercato, e ottenuto, una certa visibilità.
Indipendentemente dalla facile considerazione che il nome Borsellino possa
ancora dare fastidio - quali vittime della mafia non danno fastidio anche da
morti? - nell’immediatezza dei fatti sono rimasto senza parole pensando all’eventualità
che i suoi autori potessero essere stati persone della mia età, oppure, ma il
fatto non era da reputare meno grave, degli adolescenti in cerca di bravate.
Nell’uno e nell’altro caso il segnale come dovrebbe essere interpretato?
Vorrebbe dire che in questa città, parte della mia generazione, quella dei
trentenni, e molti giovanissimi, non sarebbero stati raggiunti da alcun
messaggio in questi anni post stragi nonostante l’incessante impegno di coloro
che, spendendo tutte le risorse di cui dispongono, hanno lottato dentro e fuori
le scuole, all’interno e all’esterno delle istituzioni, per affermare i
valori della legalità e della giustizia?
Oggi, soprattutto tra le fasce più giovani, ho l’impressione che non
circolino falsi valori o valori sbagliati, credo piuttosto che a volte i valori
manchino del tutto, molti ragazzi sono privi di quegli strumenti che aiutano a
discernere cosa è male e cosa è bene, quale condotta può reputarsi lecita e
quale invece illecita o, comunque, moralmente riprovevole.
Tuttavia è soprattutto la generazione di cui io stesso faccio parte a
determinare i cambiamenti del nostro paese e, più in piccolo, della nostra
amatissima e bellissima terra, dall’onestà e la trasparenza con cui dobbiamo
svolgere qualsiasi lavoro o professione al momento in cui siamo chiamati a
scegliere coloro che riteniamo meritevoli di governarci.
Eppure dopo tredici anni da quelle stragi che segnarono un punto di non
ritorno, dopo le quali tanti si affrettarono a dire che nulla e nessuno sarebbe
stato come prima, sembra non essere trascorso tutto questo tempo.
Sui giornali continuiamo a leggere di politici, imprenditori, medici, liberi
professionisti, a volte rappresentanti della magistratura e delle forze dell’ordine,
se non addirittura di sacerdoti finti confessori spirituali, gravemente
indiziati degli stessi, identici delitti per i quali persone diverse ma delle
medesime posizioni sociali e responsabilità, erano oggetto di inchiesta da
parte dei Borsellino e dei Falcone.
Leggiamo di uno dei figli di un ex sindaco di Palermo, cui - come ha scritto
ultimamente un noto giornalista - bastarono 16 giorni per cambiare il volto
della nostra città, sfregiandolo irrimediabilmente, che negli ultimi anni,
indisturbato, faceva la bella vita tra Roma, Palermo e Cortina, accolto nei
migliori salotti della città, avvalendosi di prestanome per continuare a
gestire l’immenso patrimonio del padre.
Paolo Borsellino, che amava non prendersi sul serio, probabilmente avrebbe
preso sul serio a modo suo la vile offesa perpetrata sulla lapide di via D’Amelio,
tanto più che vedeva la sua persona come protagonista; era noto in famiglia
quanto amasse scherzare con il proprio destino immaginando mia madre rivestire
il ruolo di vedova antimafia e noi figli assistiti e riveriti dallo Stato
(ritengo non ci credesse neppure lui!).
Tuttavia un episodio come quello di via D’Amelio o altri fatti di cronaca
recenti che è superfluo richiamare, non l’avrebbero affatto lasciato
indifferente, lo avrebbero portato ad intensificare ancora di più il suo
impegno quotidiano per rendere migliore e più vivibile la sua città e si
sarebbe interrogato, come tutti dovrebbero oggi interrogarsi, in che cosa si è
sbagliato? perché certi messaggi non sono pervenuti? coloro che ricoprono ruoli
di vertice nell’ambito delle nostre istituzioni, hanno sempre offerto quell’
esempio di trasparenza e rettitudine, soprattutto morale, che era ed è lecito
aspettarsi da chi gestisce un potere conferitogli da noi elettori?
Abbiamo tutti il dovere di fare la nostra parte, c’è ancora tanta strada
da percorrere insieme, il sacrificio di molti servitori dello Stato non potrà
mai essere sufficiente a riscattare questa terra bellissima ma anche disgraziata
come la definì mio padre, se non si fa in modo che ad esso seguano veri e
radicali cambiamenti.
Se, nonostante l’esplosione di strade ed autostrade, continuiamo a
commettere gli stessi errori, ossequiando e riverendo il potente di turno per
trarne favori personali non dovuti, avvicinando o facendoci avvicinare da
personaggi equivoci per il sol fatto che possono essere utili alla nostra causa,
piegandoci sempre e comunque alla logica perversa e tutta italiana delle
raccomandazioni, avendo come unico scopo nella vita quello di accumulare denaro
ricorrendo a tutti i mezzi, anche i più disgustosi, allora non ci dobbiamo e
possiamo stupire di una lapide imbrattata, del figlio di un mafioso che fa
affari in città e all’estero con il patrimonio sporco di sangue del padre,
né che accadano in futuro episodi del genere.