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 Il Punto

15 Settembre, 2002
La lapide oltraggiata di mio padre
Manfredi Borsellino, nell’anniversario della strage di via D’Amelio

Nella notte del 3 luglio scorso ignoti pensavano bene di imbrattare con frasi e disegni osceni la lapide posta in via D’Amelio in ricordo di mio padre e dei suoi agenti di scorta; qualche giorno dopo, a Ciaculli, all’interno di un terreno confiscato alla famiglia mafiosa del luogo e affidato dal Comune all’Unione Nazionale dei Cronisti e all’ANM, di tutte le targhe commemorative ivi poste solo una, quella di mio padre, sarebbe stata trovata divelta e lasciata per terra.

La circostanza che tali episodi siano accaduti pochi giorni prima di questo tredicesimo anniversario non è casuale e - sicuramente - l’autore o gli autori di quei gesti hanno cercato, e ottenuto, una certa visibilità.

Indipendentemente dalla facile considerazione che il nome Borsellino possa ancora dare fastidio - quali vittime della mafia non danno fastidio anche da morti? - nell’immediatezza dei fatti sono rimasto senza parole pensando all’eventualità che i suoi autori potessero essere stati persone della mia età, oppure, ma il fatto non era da reputare meno grave, degli adolescenti in cerca di bravate.

Nell’uno e nell’altro caso il segnale come dovrebbe essere interpretato? Vorrebbe dire che in questa città, parte della mia generazione, quella dei trentenni, e molti giovanissimi, non sarebbero stati raggiunti da alcun messaggio in questi anni post stragi nonostante l’incessante impegno di coloro che, spendendo tutte le risorse di cui dispongono, hanno lottato dentro e fuori le scuole, all’interno e all’esterno delle istituzioni, per affermare i valori della legalità e della giustizia?

Oggi, soprattutto tra le fasce più giovani, ho l’impressione che non circolino falsi valori o valori sbagliati, credo piuttosto che a volte i valori manchino del tutto, molti ragazzi sono privi di quegli strumenti che aiutano a discernere cosa è male e cosa è bene, quale condotta può reputarsi lecita e quale invece illecita o, comunque, moralmente riprovevole.

Tuttavia è soprattutto la generazione di cui io stesso faccio parte a determinare i cambiamenti del nostro paese e, più in piccolo, della nostra amatissima e bellissima terra, dall’onestà e la trasparenza con cui dobbiamo svolgere qualsiasi lavoro o professione al momento in cui siamo chiamati a scegliere coloro che riteniamo meritevoli di governarci.

Eppure dopo tredici anni da quelle stragi che segnarono un punto di non ritorno, dopo le quali tanti si affrettarono a dire che nulla e nessuno sarebbe stato come prima, sembra non essere trascorso tutto questo tempo.

Sui giornali continuiamo a leggere di politici, imprenditori, medici, liberi professionisti, a volte rappresentanti della magistratura e delle forze dell’ordine, se non addirittura di sacerdoti finti confessori spirituali, gravemente indiziati degli stessi, identici delitti per i quali persone diverse ma delle medesime posizioni sociali e responsabilità, erano oggetto di inchiesta da parte dei Borsellino e dei Falcone.

Leggiamo di uno dei figli di un ex sindaco di Palermo, cui - come ha scritto ultimamente un noto giornalista - bastarono 16 giorni per cambiare il volto della nostra città, sfregiandolo irrimediabilmente, che negli ultimi anni, indisturbato, faceva la bella vita tra Roma, Palermo e Cortina, accolto nei migliori salotti della città, avvalendosi di prestanome per continuare a gestire l’immenso patrimonio del padre.

Paolo Borsellino, che amava non prendersi sul serio, probabilmente avrebbe preso sul serio a modo suo la vile offesa perpetrata sulla lapide di via D’Amelio, tanto più che vedeva la sua persona come protagonista; era noto in famiglia quanto amasse scherzare con il proprio destino immaginando mia madre rivestire il ruolo di vedova antimafia e noi figli assistiti e riveriti dallo Stato (ritengo non ci credesse neppure lui!).

Tuttavia un episodio come quello di via D’Amelio o altri fatti di cronaca recenti che è superfluo richiamare, non l’avrebbero affatto lasciato indifferente, lo avrebbero portato ad intensificare ancora di più il suo impegno quotidiano per rendere migliore e più vivibile la sua città e si sarebbe interrogato, come tutti dovrebbero oggi interrogarsi, in che cosa si è sbagliato? perché certi messaggi non sono pervenuti? coloro che ricoprono ruoli di vertice nell’ambito delle nostre istituzioni, hanno sempre offerto quell’ esempio di trasparenza e rettitudine, soprattutto morale, che era ed è lecito aspettarsi da chi gestisce un potere conferitogli da noi elettori?

Abbiamo tutti il dovere di fare la nostra parte, c’è ancora tanta strada da percorrere insieme, il sacrificio di molti servitori dello Stato non potrà mai essere sufficiente a riscattare questa terra bellissima ma anche disgraziata come la definì mio padre, se non si fa in modo che ad esso seguano veri e radicali cambiamenti.

Se, nonostante l’esplosione di strade ed autostrade, continuiamo a commettere gli stessi errori, ossequiando e riverendo il potente di turno per trarne favori personali non dovuti, avvicinando o facendoci avvicinare da personaggi equivoci per il sol fatto che possono essere utili alla nostra causa, piegandoci sempre e comunque alla logica perversa e tutta italiana delle raccomandazioni, avendo come unico scopo nella vita quello di accumulare denaro ricorrendo a tutti i mezzi, anche i più disgustosi, allora non ci dobbiamo e possiamo stupire di una lapide imbrattata, del figlio di un mafioso che fa affari in città e all’estero con il patrimonio sporco di sangue del padre, né che accadano in futuro episodi del genere.

 


       CommentoFonte: L'Unità



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