Il gesto di Marc André Zoro ha fatto riemergere con forza e veemenza un
problema che le Istituzioni sportive negli ultimi tempi avevano abbondantemente
trascurato e sottovalutato.
Il difensore del Messina ci ha urlato in faccia che il razzismo esiste ed è
ancora ben presente negli stadi e nella società italiana. Il suo è stato un
urlo disperato, di un giocatore ferito non per essere stato offeso dai tifosi
avversari - nel calcio, che piaccia o meno, gli insulti e gli sfottò ai
giocatori dell’altra squadra sono molto comuni - ma per essere stato umiliato
come uomo e considerato un essere inferiore per il colore della sua pelle,
secondo la ben triste e nota teoria della presunta superiorità della razza
ariana.
A noi non interessa sapere se i versi scimmieschi fatti nei suoi confronti
siano frutto di lucida consapevolezza o di superficiale goliardia, non ci
interessa perché, anche all’interno di uno stadio che tollera la libera
offesa e l’ingiuria rituale, essi assumono immediatamente un significato
politico ed ideologico estremo.
A noi la reazione di Zoro è piaciuta, ci è piaciuta meno la reazione di
tutti gli altri giocatori, allenatori e quaterna arbitrale compresa. L’hanno
lasciato solo, qualcuno ha cercato di calmarlo, altri hanno fatto finta di
niente, ma nessuno lo ha seguito nel suo gesto. Ci sarebbe piaciuto, invece,
vedere tutti i giocatori per cinque minuti incrociare le loro gambe dorate: gli
interisti andare a parlare con i propri tifosi, i messinesi magari dipingersi la
faccia di nero come anni fa fecero i giocatori del Treviso in solidarietà con
il loro compagno Omolade.
Già, Treviso… Ma quel bel gesto forte concreto e realmente solidale, è
anche, purtroppo, rimasto terribilmente isolato nel calcio italiano.
Per il resto siamo alla solita retorica: solidarietà a parole, spot patinati
ed ora, rincorrendo l’emergenza, la solita giornata di campionato contro il
razzismo indetta da Figc e Lega.
Per carità, tutte cose positive se fossero inserite nel solco di un
progetto, se avessero una qualche continuità, invece di nascere e morire in una
giornata, attente più all’immagine che alla sostanza.
Eppure noi crediamo che per limitare il razzismo si possa fare di più e di
meglio.
Molte tifoserie da anni stanno portando avanti questa battaglia organizzando
coreografie, cercando di coprire gli insulti razzisti con cori, portando avanti
progetti fuori dello stadio che coinvolgano anche le comunità di migranti. Ma
non basta, non è sufficiente, anche perché spesso le loro attività non
vengono prese in considerazione nella giusta misura dal mondo dei media.
Non basta perché il riconoscimento di questo problema deve essere di tutti,
come comune deve essere la discussione per trovare delle soluzioni: bianchi e
neri, giocatori e tifosi, manager e media.
Per questo noi vorremmo vedere i giocatori di calcio più attivi e presenti
sempre: perché loro sono sotto i riflettori; sono ascoltati soprattutto dal
mondo giovanile che li considera idoli e modelli. Un loro impegno concreto
potrebbe aprire un varco, indicare una piccola strada che poi andrebbe seguita
da attività di socializzazione e di educazione.
Noi vorremmo che le società di calcio facessero qualcosa di più che mettere
sui propri siti degli slogan contro il razzismo, magari partecipando attivamente
a delle iniziative antirazziste o promovendo loro stesse progetti contro il
razzismo rivolti ai loro sostenitori
Noi vorremmo, infine, che Federazione e Lega pensassero un po’ meno a
tribunali e diritti televisivi e cominciassero ad occuparsi seriamente di
progetti solidi, concreti e continuativi volti a favorire la convivenza e la
lotta ad ogni tipo di discriminazione nel mondo del calcio italiano.
Progetto Ultrà - UISP