15 Settembre, 2002
Il filosofo della politica, voce dal fronte pacifista
Walzer: «Non basta dire no alla guerra» (da La Stampa)
Il filosofo della politica, voce dal fronte pacifista
Walzer: «Non basta dire no alla guerra»
da La Stampa - 8 marzo 2003
(intervista di Maurizio Viroli)
Professo Walzer, la maggioranza dell'opinione pubblica americana
è favorevole alla guerra su larga scala in Iraq, e la stessa sinistra
americana, come dimostra il dibattito sulla rivista Dissent che lei dirige,
è divisa. Alcuni sono favorevoli, altri, pur contrari o dubbiosi, sono molto
critici nei confronti del movimento contro la guerra.
«Dissent, purtroppo o per fortuna, non rappresenta tutta la sinistra americana. Esistono anche altre componenti che non hanno alcun dubbio che la guerra contro l'Iraq è ingiusta o sbagliata e si impegnano senza esitazioni a costruire il
movimento di opposizione alla guerra. La diversità di opinioni nasce in
primo luogo dal fatto che nelle nostre file ci sono intellettuali democratici iracheni che ora vivono negli Stati Uniti. Essi sono favorevoli alla guerra perché sperano in questo modo di liberarsi dalla tirannia di Saddam Hussein e di istituire, con l'aiuto degli Stati Uniti, un regime democratico. Siamo tutti d'accordo che la fine di Saddam Hussein e del suo regime sarebbe un gran bene per il popolo iracheno e per l'umanità. Alcuni di noi, ed io con loro, non credono che l'intervento militare americano pienamente dispiegato sia il modo migliore, il modo più prudente per
raggiungere il fine. Non abbiamo divergenze sui principi, ma solo modi diversi di valutare, realisticamente, i mezzi».
Si può realisticamente pensare di dar vita ad un forte movimento contro la
guerra negli Stati Uniti dicendo semplicemente “no alla guerra” perché è
guerra??
«Un movimento contro la guerra deve essere in grado di spiegare in modo
convincente perché questa guerra è sbagliata. Il pacifismo, che pure è una
componente importante della sinistra non può essere la voce predominante o
esclusiva. Chi si oppone a questa guerra deve al tempo stesso riconoscere
che Saddam Hussein è una minaccia reale per l'umanità. Ha già dimostrato in
passato di essere pronto ad usare armi di distruzione di massa contro civili
innocenti. Quando si dà vita a un movimento politico bisogna porsi
seriamente l'obiettivo di vincere, di conseguire il fine voluto. La domanda
vera che devono porsi i leaders di un movimento contro la guerra è “siamo
sicuri che la vittoria del nostro movimento non rafforza il regime di Saddam
Hussein?” L’obiettivo di un movimento contro la guerra oggi deve essere
duplice: impedire la guerra su larga scala e indebolire e sconfiggere Saddam
Hussein. Mi rendo conto che gridare “no alla guerra” o “scaricate Bush non
bombe” è più facile che dire “rafforziamo l'embargo” o “rendiamo più
efficaci le ispezioni”. Ma non è impossibile costruire un nuovo movimento
che che sostenga posizioni più mature che non il semplice “no alla guerra”».
Molti, fra coloro che sono favorevoli alla guerra, sostengono che gli Stati
Uniti nella Guerra del Golfo hanno contratto un obbligo morale con i popoli
dell'Iraq, quando hanno incoraggiato Curdi e Sciiti a ribellarsi e poi li
hanno abbandonati al loro destino. È una ragione sufficiente per muovere
guerra??
«Gli Stati Uniti hanno incoraggiato Curdi e Sciiti a ribellarsi nel 1991.
Ora bisogna ragionare sulla realtà attuale delle cose. Il divieto imposto a
Saddam di fare alzare in volo aerei militari nel Nord e nel Sud dell'Iraq ha
di fatto permesso la nascita di una zona quasi autonoma controllata dai
Curdi e ha impedito le operazioni di pulizia etnica e i massacri che
avvennero in passato. Un'efficace politica di contenimento del regime di
Saddam Hussein, sostenuta dalla comunità internazionale, aiuterebbe i popoli
dell'Iraq più di una guerra vera e propria combattuta con grandi spiegamenti
di truppe e con l'impiego massiccio dei bombardamenti». Quali sono i
pericoli di una guerra su larga scala? «In primo luogo il rischio di gravi
perdite umane da una parte e dall'altra, e fra i civili. In secondo luogo la
possibilità che Saddam usi armi chimiche o biologiche contro le forze
americane o contro altri paesi. In terzo luogo il rafforzamento
dell'estremismo islamico che provocherebbe la crisi dei regimi arabi
moderati e dunque nuove guerre. Sono rischi gravi».
Eppure, intellettuali importanti della sinistra sostengono che il regime di
Saddam è una forma particolarmente odiosa e crudele di fascismo e che
l'antifascismo deve essere più importante di ogni altra considerazione.
«Il regime di Saddam Hussein è un regime brutale che può essere a ragione
definito un regime fascista. Ma questa non è una considerazione sufficiente
a giustificare una guerra combattuta dagli Stati Uniti. Bisognerebbe
dimostrare che una guerra su larga scala combattuta dagli Stati Uniti è
davvero il modo migliore per distruggere il regime di Saddam Hussein». Non
sono sufficienti a giustificare la guerra neppure i crimini che Saddam ha
perpetrato? Chi può punire Saddam se non gli Stati Uniti, ovvero, come
dicono in molti, la sola potenza che ha la volontà e la forza di farlo?
«Punire Saddam Hussein per i suoi crimini può voler dire soltanto portarlo
davanti alla Corte Internazionale di Giustizia. Non può voler dire fare
giustizia sommaria. È vero che gli Stati Uniti hanno la forza per portare
Saddam Hussein davanti alla Corte Internazionale di Giustizia per la
punizione dei crimini contro l'umanità e dei crimini di guerra. Ma è anche
vero che gli Stati Uniti non hanno sottoscritto l'accordo per l'istituzione
della Corte Internazionale di Giustizia. Per questa ragione non credo che
gli Stati Uniti possano assumersi il compito di punire Saddam».
Saddam Hussein ha violato tutti gli accordi che ha sottoscritto. Con un uomo
di cui non ci si può assolutamente fidare, e rappresenta una minaccia reale,
quale altra via è possibile se non la guerra??
«Le iniziative di contenimento come l'embargo, il divieto di volo e le
ispezioni non presuppongono in alcun modo la fiducia in Saddam Hussein. Sono
sanzioni vere e proprie per renderlo inoffensivo e indebolirlo. Per questa
ragione giudico sbagliata la posizione della Francia che parla dell'uso
della forza solo "in ultima istanza". Ogni giorno, da anni, gli Stati Uniti
stanno usando la forza contro Saddam».
Ill riferimento alla Francia solleva il problema dei rapporti fra Stati
Uniti ed Europa. Poche volte in passato il solco intellettuale e politico è
stato così serio. Gli Stati Uniti accusano gli Europei, in particolare
Francia e Germania, di essere indecisi, codardi e inaffidabili. Gli Europei
rispondono che l'America vuole agire sullo scenario internazionale come sola
superpotenza incurante delle posizioni delle Nazioni Unite e degli alleati.
«C'è molto da dire in favore degli uni e degli altri. Come ho avuto altre
volte occasione di spiegare, non condivido affatto la politica di Bush
sull'Iraq. Ma l'aspetto del dibattito che più mi preoccupa è il fatto che in
Europa non si discute su “che cosa dobbiamo fare con l'Iraq”, ma “che cosa
devono fare gli Stati Uniti con l'Iraq”. È un modo di pensare irritante. Gli
Stati Uniti hanno bisogno di alleati, non di complici. Ma per essere veri
alleati bisogna sapersi assumere responsabilità comuni. I Francesi si sono
ritirati dalle operazioni di pattugliamento aereo per imporre a Saddam il
divieto di volo agli aerei militari. Quando i Francesi affermano di essere
disposti a sostenere l'uso della forza militare solo in ultima istanza
affermano in effetti che se Saddam compirà altri attacchi criminali, allora
essi sono disposti a permettere che gli Americani usino la forza. Di fronte
ad un atteggiamento del genere è facile per l'Amministrazione Bush ribattere
che se dobbiamo in ogni caso fare tutto da soli vogliamo scegliere da soli
come e quando intervenire militarmente. Dal punto di vista militare non fa
alcuna differenza che ci siano o non ci siano le forze armate dei paesi
europei. Esiste tuttavia un serio problema di equilibrio politico di potere.
Il problema Saddam non è soltanto un problema americano e per quanto sia
sbagliata la politica di Bush per una guerra su larga scala è da criticare
anche la posizione dei paesi europei che considerano Saddam un problema che
non li riguarda».
Quali conseguenze potrebbe avere la guerra per Israele e per il problema
palestinese??
«La destra israeliana è favorevole alla guerra contro l'Iraq perché ritiene
che la sconfitta di Saddam Hussein rafforzerebbe le sue posizioni e
renderebbe più difficile la soluzione dei due stati. Non dobbiamo tuttavia
dimenticare che la vittoria degli alleati nella Guerra del Golfo aprì
migliori prospettive per i negoziati fra israeliani e palestinesi che
portarono agli accordi di Oslo. Se invece la guerra sarà lunga e difficile,
come la guerra nel Vietnam, i regimi arabi moderati sarebbero gravemente
indeboliti e di conseguenza diventerebbe più difficile riaprire negoziati
che portino ad una soluzione equilibrata del conflitto. Per quanto riguarda
la sicurezza d'Israele non credo che esistano gravi pericoli. Gli israeliani
sono convinti che Saddam Hussein abbia oggi una capacità di colpire molto
minore di quella che aveva all'epoca della Guerra del Golfo. Nonostante
abbia funzionato solo in parte, l'embargo ha impedito a Saddam di acquistare
nuove armi e di mantenere in efficienza quella che già aveva».
La voce più autorevole contro la guerra è quella del Papa. Milioni di
persone, anche non credenti, hanno accolto il suo appello ad un digiuno
contro la guerra. Come giudica la presa di posizione del Pontefice??
«La teoria della guerra giusta ha le sue radici nel pensiero cattolico. Uno
dei principi di questa teoria è che la guerra è giusta se i suoi effetti
sono proporzionati rispetto al fine. Se il fine di proteggere se stessi e
gli altri dalla minaccia di Saddam Hussein è giusto, la guerra non è più
giusta se le conseguenze sono sproporzionate. Questo argomento è forte, e
non è un argomento pacifista. Ma dire no alla guerra non basta. È una
posizione moralmente nobile, ma politicamente debole. Il Papa non ha alcun
obbligo di parlare come leader politico e di affrontare il problema dal
punto di vista politico. Resta tuttavia il fatto che Saddam Hussein è un
pericolo reale e che bisogna individuare una soluzione politica».
Quale potrebbe essere un'alternativa ad una guerra vera e propria??
«Una guerra contro l'Iraq è già in corso, da anni. Per imporre il rispetto
della no flying zone, che Saddam Hussein non ha mai accettato, l'aviazione
americana e inglese deve attaccare ogni settimana le postazioni della
contraerea irachena. Per imporre il rispetto dell'embargo le unità navali
devono bloccare convogli in mare aperto. É una piccola guerra ma è una
guerra. L'alternativa alla guerra vera e propria con il dispiegamento di
ingenti truppe di terra e bombardamenti sistematici al fine di rimuovere
Saddam Hussein è proprio la piccola guerra, o la guerra parziale, resa più
efficace con opportuni accorgimenti. Si potrebbe, in primo luogo, estendere
il divieto a Saddam Hussein di alzare in volo aerei militari per tutto il
territorio dell'Iraq, come già avviene per ampie zone. Per realizzare questo
obbiettivo bisognerebbe imporre un continuo controllo aereo su tutto l'Iraq.
Sarebbe inoltre necessario rafforzare il sistema delle ispezioni dando agli
ispettori la possibilità di intervenire, senza alcun preavviso, affiancati
da truppe Onu che potrebbero rimanere a presidiare gli impianti e i luoghi
considerati sospetti. Infine si potrebbe rendere più efficace l'embargo con
l'aiuto effettivo della comunità internazionale. A suo tempo gli Stati Uniti
proposero un piano di rafforzamento dell'embargo per rendere ancora più
difficile per Saddam rifornirsi di materiale bellico e per rendere invece
più facile l'ingresso in Iraq di beni necessari alla popolazione civile. Se
queste misure fossero messe in atto, Saddam Hussein perderebbe gran parte
della sua capacità di minacciare il suo popolo e altri popoli, e di
conseguenza il suo regime sarebbe gravemente indebolito. Con il tempo
crollerebbe. La vera alternativa alla guerra su larga scala è dunque la
piccola guerra che già esiste».
 
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