15 Settembre, 2002
A 60 anni dallo sciopero sulla giusta causa in agricoltura
Un ricordo di Enrico Fogliazza, allora segretario provinciale della Confederterra CGIL di Cremona
Il 28 maggio 1948, 60 anni fa, veniva dichiarato dalla Confederterra cremonese, nel quadro dello sciopero Regionale Lombardo in atto sulla fienagione fin dal 18, la estensione dello sciopero anche agli addetti alle stalle – mungitura compresa.
Le organizzazioni sindacali della regione lombarda avevano deciso di porre con fermezza tra i punti di trattativa per il rinnovo annuale del “patto colonico” il problema della “ giusta causa “ nelle disdette.
I salariati agricoli – in Lombardia erano oltre 80 mila nuclei con circa mezzo milione di abitanti famigliari compresi.
Il rapporto di salariato aveva una durata annuale con diritto alla casa – rapporto tacitamente rinnovabile – altrimenti agiva la libera disdetta da intimarsi entra il 31 luglio con relativo licenziamento dal lavoro e liberare l’11 di novembre.successivo .
I cremonesi ricorderanno la tristezza, di quelle giornate tetre, nebbiose e umide di carri pieni di vecchio mobilio, di tutoli, di attrezzi, di pentole, di graticci e altri attrezzi caserecci .che giravano a centinaia per le strade seguiti dalle madri e i figli i a piedi scalzi o con vecchi zoccoli e i più piccoli infagottati tra le braccia delle nonne in qualche modo sistemate sui carri barcollanti
Lo sciopero era stato dichiarato per cancella re tale vergogna e regolamentare l’uso elle disdette sulla base della “giusta causa” perché spesso venivano usate per motivi di rappresaglia anche di ordine politico.o personale.
Si voleva cancellare un rapporto di precarietà, come si direbbe oggi, e trasformare il lavoratore agricolo da obbligato o zappaterra in contadino moderno in una cascina moderna con tutti servizi, in una agricoltura rinnovata nei vari rapporti di proprietà e di affitto o mezzadria e di lavoro, con rapporti nuovi con l’industria in attività da e per l’agricoltura,. Una Federconsorzi trasformata e di servizio, strutture finanziarie e statali orientate per lo sviluppo di tale politica.
Aprire la strada a grandi zone omogenee su terra ubertosa come è la valle padana irrigata, bonificata o da bonificare, in presenza di capitali sufficienti con agricoltori capaci e lavoratori professionalmente preparati tenaci,stabilmente insediati in un ambiente certamente modificato, per giungere a grandi aree di produzioni altamente specializzate in zootecnia, in foraggiere, in ortaggi o frutteti .Tutto ciò integrato in centri industriali della trasformazione, conservazione e commercializzazione del prodotto agricolo trasformato di alto pregio, qualità e prezzo. Organizzare la produzione a costi e prezzi certamente vincenti nei confronti di qualsiasi liberalizzazione dei mercati.
Non si avrebbero i continui “ mal di pancia” di questi periodi per le quote latte o quant’altro.
Bisognava avere senso dello Stato, una visione generale e non egoistica dei problemi,bisognava avere una politica audace e forte.
Quello sciopero ebbe scontri duri e difficili, con feriti, carcerati, sangue e morte, per i lavoratori, per mantenere viva nella sostanza una agricoltura sempre traballante, debole, incapace di affrontare con successo un libero mercato.
Che il diritto di libera disdetta fosse ancora valido.in assenza di una nuova legge, è anche vero, ma è vero anche che vi era stato il 25 aprile 1945, la Repubblica, la Costituzione che prevedeva modifiche nel senso indicato dai lavorator. I sindacati dei lavoratori chiedevano una affermazione di principio anche in sede sindacale, in attesa delle leggi che si sa hanno tempi e procedure lunghi.
. La presenza alle trattative del sottosegretario al Lavoro On. Giorgio La Pira – malgrado le promesse – pur perorando concessioni salariali utili - sul problema centrale fu innamovibile anche perché doveva pagare il debito delle migliaia di voti raccolti il 18 aprile dal mondo agrario.
Ben 11 mila le disdette dirette ai lavoratori in specie ai Sindaci, ai sindacalisti, ai capi lega, ai responsabili dei partiti di sinistra; il fine rompere un rapporto di democrazia con le forze politiche che la Costituzione prevede e protegge.in astratto come così è purtroppo per il mondo del precariato oggi in tutti i settori.
Lo dicemmo sin da allora e lo ripetiamo che il lavoratore instabile, precario sottoposto a rinnovi contrattuali a termine non è libero, è sottoposto a pressioni o ricatti di ogni genere la sua dignità viene offesa.
L’agraria padana e cremonese, chiusa in interessi particolari, con una la politica dominante miope e incapace di rompere col passa to feudale, come invece indicava in quegli stessi giorni il Vescovo Mons. Giovanni Cazzani, si è lasciata guidare da chi aveva interessi dello sviluppo all’industrializzazione caotica, delle autostrade, uscendo da una politica equilibrata, sacrificando su di essa l’agricoltura con le conseguenze di trovarci oggi in città invivibili, ove si paga il tiket per entrarvi, le autostrade zone di morte, e l’agricoltura raggruppata in aziende, ben isolate in se stesse, lontane dai ricordi, dai canti, dai suoni, dalla vivacità dei bimbi e della nostra gente di un tempo, in assenza anche di un padrone “ un po’ prepotente” ma fiero del suo mestiere. E’ diventata questa zona senza vita, manca persino il fischio gioioso del merlo o dell’usignolo.
Quella battaglia fu persa non solo per i lavoratori ma anche per l’avvenire della nostra Società così almeno come l’avremmo voluta noi, meno egoista, meno prepotente e quasi razzista, una Società più felice, solidale.
On. Enrico Fogliazza
allora Segretario provinciale Confederterra CGIL Cremona
 
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