15 Settembre, 2002
Costituzione,italiani al voto 60 anni dopo. di Gian Carlo Storti
Manca meno di un mese al referendum sulla riforma della Costituzione (25-26 giugno), ma ancora tutto tace.
Costituzione, italiani al voto 60 anni dopo
Informarsi prima di votare..( 1° parte).
Manca meno di un mese al referendum sulla
riforma della Costituzione (25-26 giugno),
ma ancora tutto tace. Eppure si annuncia
come un passaggio cruciale per il nostro
Paese. È vero che già nel 2001 si è votato
sulla riforma del «Titolo V». Ma quelle modifiche,
volute dall’allora maggioranza di centro-sinistra,
dopo il fallimento della «Bicamerale», erano
davvero roba di poco conto in confronto a
questa legge di riforma, portata avanti dal
centro-destra. Fine del «bicameralismo perfetto»,
rafforzamento dei poteri del premier, ridefinizione
delle competenze regionali e della Corte
Costituzionale, ridimensionamento dei poteri
del presidente della Repubblica. Questa volta,
seppure a tappe – perché alcune norme entreranno
in vigore addirittura dal 2016 – cambierà
il volto delle istituzioni.
Ecco una breve scheda sulla Riforma della
Costituzione approvata dal parlamento dalla
sola maggioranza " berlusconiana"
e che sarà sottoposta al Referendum confermativo.
Secondo la Costituzione (art. 138) le «leggi
di revisione della Costituzione e le altre
leggi costituzionali» devono essere approvate
da ciascuna Camera con due successive delibere
ad intervallo non inferiore di tre mesi.
Ma questo non basta, perché è previsto di
sottoporle ad un «referendum popolare» se
«entro tre mesi dalla loro pubblicazione»
lo richiedono un quinto dei parlamentari
di una Camera, o cinquecentomila elettori
o cinque consigli regionali.
Quello fissato per il 25 e 26 giugno prossimi,
sulla legge costituzionale recante «Modifiche
alla Parte II della Costituzione» (pubblicata
sulla Gazzetta Ufficiale n. 269 del 18 novembre
2005), è il primo caso di referendum richiesto
da tutti e tre i soggetti: parlamentari,
cittadini e consigli regionali.
A differenza dei referendum abrogativi delle
leggi ordinarie, questa volta non è previsto
un «quorum» da raggiungere. La riforma sarà
approvata se otterrà la «maggioranza dei
voti validi».
I punti della riforma
Il Senato federale
Il Senato cambia nome in Senato federale
della Repubblica. Sarà composto da 252 senatori
eletti su base regionale, contestualmente
all’elezione dei Consigli regionali (oggi
sono 315 più quelli a vita). Si occuperà
delle leggi che riguardano le materie su
cui Stato e Regioni hanno competenze comuni
mentre perde il potere di sfiduciare il premier.
L’età minima richiesta per essere eletti
passa dagli attuali 40 a 25 anni. Scompare
la «spola» di un provvedimento che passa
dalla Camera al Senato o viceversa, tranne
però che per alcune leggi. Al Senato spetteranno
le leggi previste dal terzo comma dell’art
117, ma il governo può chiedere al capo dello
stato il trasferimento alla Camera, considerando
la legge assolutamente necessaria all’attuazione
del programma.
La Camera
Il nuovo Parlamento sarà composto dalla Camera
dei deputati e dal Senato federale della
Repubblica. La Camera passa dagli attuali
630 a 518 deputati, 18 dei quali saranno
eletti nella circoscrizione riservata agli
italiani all’estero. Viene introdotta una
nuova figura, i «deputati a vita», in numero
di tre (scompaiono i «senatori a vita»).
La Camera esamina le leggi riguardanti le
materie riservate allo Stato (comma 2 dell’articolo
117). La Camera può sfiduciare il primo ministro,
che a sua volta però può chiederne lo scioglimento.
L’età minima per essere eletti deputati passa
da 25 a 21 anni.
Il Capo dello Stato
Se da una parte acquista nuovi poteri, ovvero
la nomina dei presidenti delle Authority
e la designazione del vicepresidente del
Consiglio superiore della magistratura, dall’altra
il presidente della Repubblica perde il potere
di autorizzare la presentazione alle Camere
dei disegni di legge di iniziativa del governo
e soprattutto perde il potere di nominare
i ministri e di sciogliere le Camere. Cambia
anche l’età minima richiesta per accedere
al Quirinale: quarant’anni rispetto ai cinquanta
previsti dalla vigente legge.
Il premier
Quello che finora era il presidente del Consiglio
dei ministri cambia nome in primo ministro
e acquisisce numerosi poteri. Da qui anche
la definizione di «premierato». La nomina
del primo ministro avverrà direttamente dai
risultati elettorali. Il suo nome sarà infatti
indicato dalle coalizioni. Il presidente
della Repubblica si limiterà a ratificare
la nomina, mentre l’insediamento non richiederà
più il voto di fiducia. Al primo ministro
competerà la nomina e la revoca dei ministri
e persino lo scioglimento delle Camere.
Le competenze
La riforma costituzionale prevede la divisione
di competenze tra Stato e Regioni. Quest’ultime
avranno potestà legislativa esclusiva su
assistenza e organizzazione sanitaria; organizzazione
scolastica, gestione degli istituti scolastici
e di formazione, salva l’autonomia delle
istituzioni scolastiche; definizione della
parte dei programmi scolastici e formativi
di interesse specifico della Regione; polizia
amministrativa regionale e locale; ogni altra
materia non espressamente riservata alla
legislazione dello Stato. Ma la distinzione
tra le materie è tutt’altro che chiara a
partire ad esempio dalla sanità perché alle
Regioni compete l’assistenza e l’organizzazione
sanitaria ma allo Stato rimane la tutela
della salute. Viene anche reintrodotto «l’interesse
nazionale», che nessuna legge regionale potrà
ledere, pena la richiesta di modifica e addirittura
l’eliminazione.
La Corte costituzionale
Rimane composta da 15 membri, ma solo 4 (invece
di 5) di nomina del presidente della repubblica,
altri 4 (invece di 5) eletti dalle supreme
magistrature e 7 (invece di 5) vengono eletti
dal Parlamento: 3 dalla Camera e 4 dal Senato
integrato dai presidenti delle giunte delle
regioni e delle province autonome.
storti@welfareitalia.it
( fine 1° parte)
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