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15 Settembre, 2002
I gay, la genetica e la fecondità
Uno scambio di opinioni da Il Riformista - Come Anna Meldolesi, Livia Profeti e Gilberto Corbellini leggono la provocazione di Mara Carfagna

Da Il Riformista, 7 marzo 2007

QUESTIONE DI CELLULE - ANNA MELDOLESI

Gay portatori di fecondità

Non basterà per convincere Paola Binetti e gli altri paladini della famiglia tradizionale. Ma secondo la biologia evoluzionistica i gay potrebbero avere una marcia in più e sarebbe ora di rendergliene pubblicamente merito. Se non avessero delle doti nascoste, infatti, i geni che predispongono all'amore omosex sarebbero stati spazzati via dalla selezione naturale da un bel pezzo. Si tratta di un paradosso assai noto, che recita più o meno così: com'è possibile che l'omosessualità continui a esistere generazione dopo generazione, se gli omosessuali sono per definizione meno interessati a procreare?
Ci scuseranno le lesbiche, ma la letteratura scientifica maschile è più ricca e lo spazio a disposizione è troppo breve per inquadrare in prospettiva saffica le possibili risposte al paradosso. La prima nasce da una ricerca italiana. Camperio Ciani ha scoperto che le donne imparentate con uomini gay spesso hanno abbondante prole e questo compenserebbe il basso numero di figli di questi ultimi. Gli stessi geni, insomma, potrebbero essere implicati nell'omosessualità maschile e nell'iperfecondità femminile. La benedizione delle famiglie numerose e il peccato omosex, dunque, sarebbero geneticamente inestricabili. Ma è stato ipotizzato anche un altro meccanismo. I geni gay si sarebbero conservati nel corso dell'evoluzione perché quando sono in singola copia conferiscono un vantaggio riproduttivo. In breve un maschio con due copie sarebbe omosessuale, mentre chi ne ha una sola sarebbe uno sciupafemmine, magari capace di produrre spermatozoi super rispetto a chi non ha neppure una copia. Recentemente Mara Carfagna ha detto che i gay sono «costituzionalmente sterili», chissà che effetto le farà l'idea dei geni iperfecondi. Resta l'ultima ipotesi, quella secondo cui un gay può aiutare la diffusione dei propri geni sostenendo e accudendo i propri familiari etero, che condividono con lui almeno parte del genoma. I gay, insomma, presterebbero una sorta di assistenza sociale a vantaggio della famiglia tradizionale. E in questo senso potrebbero persino rientrare nel dodecalogo di Prodi. Lo scorso dicembre una coppia di biologi evoluzionisti e matematici americani ha provato a modellizzare le tre ipotesi arrivando alla conclusione che, in teoria, le varianti omosex potrebbero addirittura invadere il pool genico di una popolazione. Visti i tempi che corrono, però, è meglio che non si sappia troppo in giro.

Il Riformista, 10 marzo 2007

SCIENZA. SI RISCHIA DI CADERE NELLA TRAPPOLA CARFAGNA - DI LIVIA PROFETI

La genetica non è la garanzia dei diritti dei gay

Replicando alla provocatoria dichiarazione di Mara Carfagna sulla «sterilità costituzione degli omosessuali», Anna Meldolesi, nel suo Gay portatori di fecondità sul Riformista di mercoledì scorso, dichiara che «secondo la biologia evoluzionista i gay potrebbero avere una marcia in più (...) Se non avessero delle doti nascoste, infatti, i geni che predispongono all'amore omosex sarebbero stati spazzati via dalla selezione naturale da un bel pezzo. Si tratta di un paradosso assai noto, che recita più o meno così: come è possibile che l'omosessualità continui a esistere generazione dopo generazione, se gli omosessuali sono per definizione meno interessati a procreare?».
A mio parere l'argomento della Meldolesi rischia di cadere nel tranello teso dall'esuberante parlamentare forzista. Provo a spiegarmi, consapevole della delicatezza della questione.
L'attribuzione delle preferenze sessuali a una caratteristica genetica immutabile comporta rischi altissimi, perché implica la tesi che la diversità sia un fatto solo biologico: se gli esseri umani nascono diversi dagli altri, non potranno mai essere anche uguali. Il riduzionismo biologico presta il fianco a posizioni razziste se non peggio, fu infatti su argomenti simili che i nazisti fondarono lo sterminio di milioni di persone, omosessuali compresi.
Se, come ha sostenuto Hannah Arendt, dopo gli orrori dello scorso secolo l'umanità «ha bisogno di una nuova garanzia», è pur vero che la contemporanea presenza di uguaglianza e diversità tra gli esseri umani è un vero enigma per la nostra tradizione di pensiero fondata sul principio di non contraddizione. Infatti, a partire dalla diversità sessuale che divide il globo umano in due, la biologia presenta più differenze che uguaglianze. Sebbene la realtà psichica a prima vista sembrerebbe anche peggio - visto che essa è per ciascuno unica e irripetibile - almeno si può dire che sia patrimonio comune sia degli uomini che delle donne (anche se con vistose eccezioni che confermano la regola, che però si distribuiscono equamente tra i sessi, come ad esempio Carfagna e Bondi).
Nel pensiero umano potrebbe quindi trovarsi la chiave per risolvere l'ossimoro di uguaglianza e diversità, ma se non si vuole cadere nell'annullamento del corpo di certa filosofia e religione, solo la «fusione nucleare» tra fisico e psichico potrebbe trovare quell'uguaglianza che la sinistra, verrebbe da dire utopicamente, cerca da sempre. Il terreno è scivoloso e il percorso accidentato, però si tratta di una ricerca che distingue inequivocabilmente la sinistra dalla destra, forse più di ogni altro aspetto sociale o economico.
Un'ipotesi che, paradossalmente, viene delle parole di Benedetto XVI che, nelle vesti ancora di cardinale, nel 2004 in Senza radici scrisse di socialismo e marxismo. Mostrandosi benevolo verso il primo, vicino, a suo dire, alla dottrina sociale cattolica, egli condannò irriducibilmente il marxismo per una colpa specifica: l'idea che lo «spirito sia prodotto dalla materia», un catastrofico «nodo irrisolto» che continua ad esistere anche «dopo il crollo dell'Unione sovietica».
Oltre che una chiave per comprendere meglio la totale chiusura della Chiesa sui temi della vita e dei rapporti umani, le affermazioni di Ratzinger suggeriscono qualcosa di sorprendente, ovvero che l'unica idea esclusivamente e indigeribilmente di sinistra - per giunta sopravvissuta anche al crollo del comunismo - potrebbe essere la ricerca di una dimensione psichica, conoscibile, che si crea a partire dalla nostra biologia, senza necessari interventi di demiurghi divini. Che sia questo il tratto più profondamente identitario della sinistra?
Ipotesi non peregrina se si pensa, oltre che al vecchio Feuerbach, anche al giovane Marx che nella lettera al padre del 1837 cercava la «natura spirituale altrettanto necessaria concreta e dai contorni altrettanto sicuri quanto la natura fisica». Una ricerca presto abbandonata dal filosofo de Il capitale che però, evidentemente, sopravvive a sinistra.
Se dunque le parole del papa ci suggeriscono il terreno sul quale la nostra cultura potrebbe forse ritrovare la sua identità, la tesi della «differenza biologica» sicuramente non aiuta la causa dei gay, mentre espone a rischio tutti, anche chi gay non è. E non è nemmeno necessaria, perché il paradosso citato dalla Meldolesi può avere anche un'altra, plausibile, risposta: l'omosessualità resiste alla scarsa procreazione perché non è una caratteristica biologica, bensì una modalità di rapporto interumano che, come tutti gli altri rapporti interumani, implicando non solo il corpo ma anche il pensiero cosciente e non cosciente, non obbedisce alle leggi della biologia evoluzionista.

Il Riformista, 14 marzo 2007

OMOSEX. RISPOSTA A LIVIA PROFETI - DI GILBERTO CORBELLINI

Tra "normalità sessuale" e genetica la sinistra non fa i conti con Darwin

Una cosa giusta Bertinotti l'ha detta: la sinistra italiana è preda di un drammatico vuoto culturale. E, si può aggiungere, le poche idee che circolano sono confuse o sbagliate. Non che la destra (sempre quella italiana) sia messa meglio. Ma ha scelto di cavalcare alcune idee che la tradizione del pensiero cristiano-cattolico coltiva dogmaticamente da un paio di millenni. Idee altrettanto sbagliate, ma che intercettano purtroppo meglio talune istanze innate del senso morale e della socialità umana. Un saggio del ritardo culturale della sinistra italiana è la replica di Livia Profeti all'intervento di Anna Meldolesi sulle basi biologico-evolutive dell'omosessualità. Le critiche della Profeti sono dei veri e propri riflessi condizionati culturali della sinistra "storica", che riecheggiano addirittura argomenti tristemente noti di materialisti dialettici stalinisti che, nel nome di Lysenko condannarono ideologicamente le conquiste scientifiche della genetica mendeliana e morganiana. Condanna che costò la vita a dei genetisti e a milioni di contadini sotto Stalin. Tra queste critiche spicca un luogo comune del tutto inverosimile, non a caso oggi cavalcato soprattutto da ex-comunisti schierati per convenienza sulle posizioni della destra religiosa e integralista, come Ferrara o Galli della Loggia, secondo cui gli attuali studi e applicazioni della biologia e della genetica all'uomo coincidono con l'eugenica nazista. La Profeti suggerisce altresì, cadendo nell'astuta trappola del "Ratzinger pensiero", che siccome alcuni teologi cattolici, peraltro interpretando bene l'impianto trascendentalista della teologia ratzingeriana, cercano di fondare sulla biologia, la presunta «normalità» naturale, allora dobbiamo neutralizzare proprio la biologia. In realtà, è facile dimostrare che i neointegralisti cattolici e gli atei devoti cercano in modi diversi di falsificare o censurare le scienze biologiche perché se fossero davvero comprese e insegnate minerebbero alla radice le credenze superstiziose attraverso cui influenzano le persone più provvedute. Andiamo in ordine.
L'omosessualità è diffusa nel mondo animale, come dimostrano centinaia di studi etologici, ed esistono incontrovertibili prove che alcuni geni sono coinvolti, insieme a fattori ambientali, nel controllo dell'orientamento sessuale. In alcuni animali è stato possibile produrre sperimentalmente un orientamento omosessuale.
Siccome la specie umana è il prodotto dell'evoluzione, è ragionevole domandarsi, come fanno gli studiosi di biologia del comportamento, quali fattori selettivi abbiano favorito la conservazione di tratti comportamentali che precludono la riproduzione dell'individuo: come è appunto l'omosessualità. Lasciamo da parte la questione se i geni dell'omosessualità danno una marcia in più. Il problema è quali pressioni selettive possono aver favorito i polimorfismi nei geni coinvolti nell'orientamento sessuale dell'uomo. Peraltro, gli aggettivi superiore o inferiore, migliore o peggiore in biologia non hanno senso: se un tratto è adattativo o meno dipende comunque dal contesto ambientale. Stante che l'omosessualità ha una base genetica, dire che qualcosa è geneticamente condizionata, ovvero che esiste a diversi livelli una componente genetica nella determinazione di ciò che siamo come persone, significa sostenere una tesi razzista e nazista? O sfociare nell'eugenica? Assolutamente no! Liquidiamo subito la questione dell'eugenica: solo per ottusità o malafede è ancora possibile, alla luce di tonnellate di letteratura prodotta sull'argomento, confondere quelle che oggi sono libere scelte riproduttive delle coppie con le politiche statali illiberali volte a migliorare una "razza". L'eugenica era quest'ultima cosa.
L'alleanza della genetica con il razzismo prima della seconda guerra mondiale fu il frutto di fraintendimenti concettuali elaborati da alcuni scienziati per avallare pregiudizi culturali ispirati da istanze xenofobe. La principale manipolazione degli eugenisti storici fu l'assunto che anche i tratti complessi, come i comportamenti, inclusi gli orientamenti sessuali, le capacità cognitive e le abilità pratiche, fossero sotto il controllo di singoli geni. Che l'ambiente si limitava a selezionare. L'eugenica razzista era quindi basata su assunzioni scientifiche del tutto false. È stata la moderna genetica evoluzionistica e molecolare, non le critiche psicoanalitiche, filosofiche o sociologiche del determinismo biologico, a dimostrare che le razze non esistono e che le caratteristiche complesse sono sotto il controllo di numerosi geni, che interagiscono tra loro e con il contesto ambientale. Per cui, più i tratti sono complessi e più numerosi sono i geni coinvolti. E' questa la soluzione trovata dall'evoluzione per amplificare esponenzialmente i gradi di libertà nei comportamenti degli animali superiori, ovvero per costruire condizioni di sempre maggiore indeterminatezza che permettono all'ambiente di giocare un ruolo più rilevante nella costruzione delle risposte adattative individuali. Rilevante, ma mai esclusivo. Geni e ambienti non sono pensabili, sul piano operativo, separatamente. Una consistente letteratura in lingua anglosassone si chiede da anni come mai gli intellettuali di sinistra sono incapaci di capire che assumere una biologia della natura umana non implica cadere nel determinismo genetico. L'atteggiamento di pregiudiziale sospetto della sinistra verso il darwinismo e la biologia sono stati stigmatizzati dal filosofo Peter Singer in un famoso pamphlet intitolato "Una sinistra darwiniana", che è caduto nel vuoto dell'impreparazione del pensiero politico di sinistra, e in generale
purtroppo del pensiero laico, di cogliere le valenze euristiche positive di un approccio naturalistico alle dinamiche dei comportamenti sociali umani. Vale oggi ancora più di qualche anno fa l'invito di Singer: «È tempo per la sinistra di capire che noi siamo degli animali evoluti, e che portiamo la prova di questa eredità nel nostro comportamento».

 


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