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15 Settembre, 2002
il 25 aprile 45 a Cremona: giorni di vita vissuta
Due capitoli che raccontano episodi inediti (da un libro in preparazione) di Kiro Fogliazza

Due capitoli relativi al periodo del 25 aprile '45 , che parlano di due episodi di vita vera e vissuta da Kiro Fogliazza, che li racconta in prima persona.
Sono due capitoli di un libro in corso di preparazione, che non ha ancora titolo, ma che racconterà soprattutto le vicende cremonesi negli anni caldi dal 1945 al 1955 (il dopoguerra, la Costituzione, le dure lotte contadine nel cremonese, il traumatico passaggio da un'Italia agricola ed un'Italia industriale).


****

Visita fuggevole a casa dopo l'insurrezione di Torino

All'indomani del 25 aprile 1945, dopo aver partecipato alla liberazione di Torino, un gruppo di partigiani cremonesi del distaccamento Faleschini della nostra Brigata decide una visita per il 3-4 maggio a Cremona. Assieme a Lupo, Dante, Franco, Pineugia, Ravara, Pierin di Suzzara e Ghis, si parte, percorrendo strade impervie e ponti di fortuna, con macchine scassatissime.

Il viaggio è rocambolesco ma, nonostante tutto, giungiamo a Cavatigozzi, alla periferia i Cremona. Ci attende un folto gruppo di partigiani garibaldini già nostri combattenti in val Susa costretti - a fine gennaio, con l'aiuto di Don Lavagno – al rientro per pericoli di assideramento in atto. Sono Micio e il fratellino Beppe, Bomba, Culata, Ermes, Buta, Topo, ed altri.

Baci ed abbracci. Qualche necessario scambio di informazioni. E poi via, su cinque o sei macchine, attraverso via Milano, via Ghinaglia (allora Via Carlo Alberto), via Dante, porta Venezia. Qualcuno si ferma in città. Una parte prosegue per S. Felice – S. Savino.

La gente informata del nostro arrivo forma capannelli, ci si scambia saluti, si danno e si ricevono notizie.

Arrivo finalmente alla frazione Gazzuolo di S. Savino, dove abita la mia famiglia.

C'é mia moglie Maria, che mi guarda un po' smarrita. La ricordo come un fiorellino variopinto, lindo, ritto sul gambo, dignitoso e fiero, "raccolto" nel basso spiazzo - un po' cesso, un po' area da giochi - di via Giardino, nei pressi della Nuova Chiesa di S. Ambrogio. Porta in braccio la mia piccola Rosalba di due anni e mezzo. C'é mia mamma Teresa, felice ma tanto stanca. Il lavoro, la guerra, quattro figli alle armi, si può chiedere di più!!? .C'é papà Giovanni, che si morde la lingua per non commuoversi. Ci sono i fratelli, le sorelle, i nipoti. Tanto amore.. Ci sono anche tanti amici, contadini e no, giunti dalla cascine vicine. La mia piccola è spaventata. Non riconosce il suo papà per come è vestito, per l'arma che porta alla cintura, la gamba ingessata. E per la stanchezza. Tanta stanchezza. Intanto Franco, Dante e Ravara fanno la stessa cosa con le famiglie e i cittadini a S. Felice.

Veniamo circondati dalla Marenguna, da Braghin e la sua Maria, l'anziana Rebeccana con nonno Steven, la cara nonna Marazzi che piange un figlio, Ottorino, morto in Germania dopo che era stato fatto prigioniero a Cefalonia. Ci parla di tutti i suoi dieci figli, di Pinella e di Aldo, amici d' infanzia. Si avvicina anche Maria Fiora, piangente, che ci racconta della scarica di mitraglia con la quale Pippo ha ammazzato il papà fattore dell'azienda e con lui anche il cavallo che trainava un carretto carico di attrezzi agricoli. Il fatto drammatico, soprattutto per i quattro figli che sarebbe tornati dopo anni di guerra, é accaduto da pochissimo tempo, proprio la mattina del 25 aprile 1945!

Altri evviva, pacche, strette di mano, abbracci e molte lacrime dalle sorelle Chiappani, ancora in attesa del rientro del fratello Giano e del fidanzato Gualtiero.

Anche il dr. Gualtiero Demicheli - proprietario dell'azienda - ci viene a salutare felice per la fine della guerra.

Chiede, si informa, vuole capire. E poi mi domanda – tra il bonario ed il preoccupato “E adesso cosa intendete fare?” La risposta, anche se un po' titubante, mi viene immediata "... mah, non sappiamo niente ... per il momento godiamoci la fine della guerra e del fascismo!”. Ma poi un'idea mi urge, spontanea. Dico “Ah, no. Un momento” e poi gli chiedo “Siamo ai primi di maggio. Sarà già in distribuzione il seme per il baco da seta?”. “Certo” mi risponde. “Bene, allora la prego di voler accettare questa nostra proposta. Per festeggiare la fine della guerra, i bachi da seta, a cominciare da quest'anno, anziché allevarli nelle case dei contadini costringendoli a dormire sui fienili, li alleveremo in quel barchessale, che è quasi nuovo e nel quale lei farà il piacere di sistemarci i bachi”

La gente lì attorno applaude la mia proposta. Lui sembra perplesso, ma non può fare a meno di accettare.

La gente è contenta. Si inizia a parlare di allevamento collettivo! Da allora, per qualche anno, quella decisione sarà rispettata. Dovrà arrivare il 18 aprile 1948, con la vittoria schiacciante della Democrazia Cristiana alle elezioni politiche generali, perché il “padrone” possa decidere di tornare a fare.....come prima, cioè l'allevamento dei bachi da seta ancora dentro le case dei contadini.

Il Direttore della Banca Popolare di Cremona mi invita a salutare i colleghi

Verso la fine dell'incontro, si avvicina l'amico carissimo Gino Tambani, lì sfollato, cassiere alla Banca Popolare dove anch'io sono impiegato. Mi dice che il Direttore generale Dr. Demetrio Martini lo ha incaricato di chiedermi se intendo fare visita ai colleghi e quando. Considerato il fatto che il 6 maggio é prevista, a Torino, la sfilata generale del Corpo Volontari della Libertà, alla quale non posso né voglio mancare, gli propongo la mattina successiva, il 4 maggio

Accompagnato da Franco e Dante, nel momento in cui sto per entrare nel portone della Banca in via Cesare Battisti, mi torna alla mente il primo giorno della mia assunzione, qualche anno prima, con la qualifica di contabile operatore al centralino telefonico. Ricordo la grande gioia di poter finalmente contare su un lavoro dignitoso e stabile. Ricordo la soddisfazione con la quale avevo ricevuto l'apprezzamento del Direttore, per la particolare capacità che sembrava avessi di individuare con tempestività, al telefono, la voce del richiedente. Cosa che poteva rendere molto più celere il passaggio delle telefonate.

Devo ricacciare quel ricordo perché, adesso, si sta aprendo il portone in ferro ed ottone che conduce allo scalone che porta al primo piano.

Mi accoglie un fragoroso applauso. Rivedo subito il rag. Feraboli, Foscolo Bargoni, il capo cassiere e poi Tambani, Papadia, Foroni, e poi tutti gli altri.

“Complimenti per la scelta, auguri per il futuro, grazie per quel che avete fatto!”. Strette di mano e qualche abbraccio. Un bacio da Bruna Panizzieri. In verità mi sento in un profondo imbarazzo. Tutto ciò non fa parte del mio carattere. Non sono un"guerrigliero", in genere le armi non mi piacciono. Ma in questo momento sto rappresentando la Resistenza, il CVL e ciò mi impone comportamenti consoni alla circostanza.

Tra le ali di dipendenti venuti anche dalle filiali, mi vengono incontro il Direttore, il Vice e i vari dirigenti. Diversi di loro, compreso il Direttore, portano un magnifico garofano rosso all'occhiello della giacca donando alla sala e all'ambiente un'atmosfera di festa e gioia per la fine della guerra. Quel brulichio di rosso un po' mi sorprende. Ed un po' ne sorrido. Ma le strette di mano, i saluti amichevoli di Giorgio Fouqué, il più giovane dei fratelli, con la giovane moglie Mariella, mi fanno particolare piacere.

Il Direttore pronuncia un brevissimo discorso di saluto, reverente ed amichevole, “al collega” – così dice ! - “che ha fatto con coraggio le scelta della guerra di liberazione, per cui anche la nostra Banca si sente partecipe di questa epopea storica della nostra Patria. Un ringraziamento” sottolinea “che rivolgo a nome di tutti”.

Ci abbracciamo. Poi tocca a me. Ma non sono gran che abituato ai discorsi. Non posso non ricordare la tristezza per i compagni caduti, in particolare per i cremonesi. E spiegando brevemente la dura battaglia, i lutti, le case desolate, le famiglie distrutte mi nasce spontaneo l'invito a continuare nell'impegno perché la pace, la libertà, la democrazia diventino conquiste stabili e durature. Termino ringraziando per il caloroso incontro, con l'impegno a tornare presto al mio posto di lavoro presso la Banca.

Questo é il clima vero del tempo! Che i bachi da seta debbano uscire dalla nostre case; e che la vita della banca possa riprendere nella normalità: questa é quanto chiediamo. Quali vendette!? Quali rivalse?! Quali obiettivi nascosti?! Quale rivoluzione bolscevica, caro Gianpaolo Pansa?!

E' davvero particolarmente dura, oggi, dover assistere alla grancassa revisionistica. Al tentativo, nemmeno troppo celato, di travisare – con veleni di ogni tipo – la realtà vera della lotta di Resistenza.

Tornare alla normalità, in un'Italia nuova, libera, democratica. E' per costruire questa nuova normalità che occorre impegnarsi, fino in fondo. Portare la rivoluzione, certo! Ma nella tua vita, nelle tue certezze, nei tuoi valori personali.

Matura in me il convincimento, infatti, che la "manica" del bancario inizia ad andarmi stretta. Quello che mi era apparso come un sogno - avere il posto fisso in banca – si presenta ora sempre più come una soluzione assolutamente rispettabile, ma che non mi si addice più, che non va più bene per la mia nuova vita, la mia nuova esperienza, per quello che voglio e posso dare per la nuova Italia. Proseguire nella vita di “prima” può essere anche una soluzione individuale rispettabile, che in tanti assumono, ma che a me sembra avara, non più sufficiente. In montagna ho imparato che prima si risolvono i problemi del “gruppo”, poi del “distaccamento”, poi della “brigata”. E solo dopo viene la soluzione dei problemi personali. L'Italia post fascista del dopoguerra, la nuova Italia va cambiata, e per cambiarla c'é bisogno delle volontà, degli entusiasmi, delle intelligenze, delle gambe e dei cuori di uomini convinti.

Ecco: se la prima volta ho abbandonato la Banca clandestinamente, nel maggio 1944, per andare - dopo un travaglio di fondo e senza una grandissima consapevolezza - tra i partigiani in Valle di Susa; oggi, pur con analogo travaglio dovuto anche alla presenza di Nella, la seconda figlia nata nel 1946, é una richiesta scritta di dimissioni di mio pugno che mi porta lontano dal “posto sicuro”. Nel luglio del 1947, infatti, accolgo la proposta che mi viene fatta dal Sindacato e assumo l'incarico di Segretario della Confederterra - CGIL di Cremona. Lascio uno stipendio buono, che potrebbe diventare buonissimo nel prossimo futuro. Lascio un posto fisso e sicuro, per iniziare un'attività che di sicuro non ha nulla: né lo stipendio, comunque ben più scarso, né le certezze. Che di sicuro ha solo il grandissimo impegno, la lotta, i sacrifici. Ma un sogno è un sogno. Ed ai sogni, si sa, non si comanda!

Siamo in tanti, in quei frangenti, in tutta Italia, a compiere scelte così drastiche. Ad inseguire un ideale, un sogno. Ma è anche grazie a quei sognatori che l'Italia, poi, ha potuto diventare un grande e felice Paese. Ed è probabilmente a dispetto anche di quei sogni e di quei sognatori – oggi non più giovanissimi – che qualcuno sta cercando di rovinarla di nuovo, questa povera Italia!

Kiro Fogliazza

 


       



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