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15 Settembre, 2002
La stalla da un racconto di Giannino Aletti
Eppure, ogni volta, si ricominciava da capo; con l’entusiasmo e la fi ducia di sempre affrontavamo la vita nella stalla.

La stalla da un racconto di Giannino Aletti
Eppure, ogni volta, si ricominciava da capo; con l’entusiasmo e la fi ducia di sempre affrontavamo la vita nella stalla.

All’arrivo della bella stagione, quando il verde dell’erba era tenero
e le zolle di terra morbide e facili da rivoltare, preferivo alla
stalla il lavoro nei campi, perciò, spesso, riuscivo a scambiarmi
con mio padre: lui nella stalla e io libero sotto il sole, solo con la terra e
il mio trattore. Lavoravo sodo e mi concedevo un breve sonno a mezzogiorno,
riparandomi dalle mosche e dagli insetti con la stessa erba che
avevo preparato per il pasto delle mucche. Tuttavia, era la stalla il luogo
dove si svolgeva la maggior parte del mio lavoro. C’erano ben quaranta
mucche tutte da mungere a mano, pazientemente, per essere soddisfatto
dei ventidue – ventitre litri di latte che quotidianamente ciascun
animale forniva. Fra loro ce n’era uno speciale: era la Mercàanta*, con
il suo mantello chiaro, quasi bianco. Erano i suoi i vitelli più belli, era lei
che dava ventisei litri di latte al giorno ed io ricompensavo la sua generosità.
Nella stalla, prima di avvicinarmi a lei, la chiamavo e, quando la
portavo al pascolo, cercavo l’erba più bella e più tenera: quella era per
la Mercàanta. Confesso che soffrii, quando quella mucca fu portata al
macello perché un maledetto prolasso uterino ve l’aveva condannata.
Eppure, avevo fatto tutto il possibile per aiutarla, per alleviarle le sofferenze
che quel disastro le procurava, ma nulla era servito, neanche la
“letéera”* alta e morbida che per lei avevo preparato in fondo alla stalla,
in un angolo buio, tranquillo e appartato. I muggiti della Mercàanta, che
avrei riconosciuto tra mille, mi mancarono per giorni.
Ripensandoci, anche il lavoro con le mucche mi piaceva, perché amavo i
vitellini e mi facevano tenerezza quando mi mordevano le dita non appena
li staccavo dalla mamma per insegnare loro a bere il latte dal secchio.
Molto spesso li avevo aiutati a nascere, tribolando con un braccio infi -
lato nell’utero della mucca: erano quegli animali così piccoli, indifesi e
tiepidi che mi commuovevano, così come mi intenerivano le rondini che
vedevo dalla grande fi nestra della stalla, mentre insegnavano a volare ai
loro rondinotti. E nella stalla i grandi insegnavano ai piccoli, gli animali
nascevano, vivevano, morivano, come nella cascina gli uomini. C’erano
parti normali ed altri diffi cili, come quello di una mucca per cui, dopo vari
tentativi, fu necessario ricorrere al veterinario.
Da Vescovato, arrivò il dottor Ramella con la sua borsa di attrezzi, deciso
ad un intervento drastico. In un ultimo, disperato tentativo, io e mio padre
riuscimmo a prendere per le narici la vitellina e a pilotarne l’uscita.
Mezza cascina si era radunata nella stalla, stavano tutti lì in attesa, come
se si fosse trattato di un essere umano. Come al solito, presi la piccola
vitella tra le mani, subito le soffi ai in bocca, le spruzzai acqua fredda
nelle orecchie per farla reagire ed, infi ne, la misi vicino alla mamma: era
pronta per succhiarne il latte. Tutti, compreso il veterinario, tirarono un
sospiro di sollievo.
Non era poi tanto monotona la vita nella stalla: alla routine si alternavano
momenti di ansia, di gioia, di trepidazione, come in ogni microcosmo
che fa parte del mondo. Ci furono momenti che misero alla prova la
pazienza, il coraggio, la sopportazione di chiunque ci lavorasse.
Nella stalla si doveva sempre stare allerta. Successe anche quella volta
che mi presi una violenta cornata da una mucca. Avevo intenzione di
legarla, ma l’animale un po’ indispettito per questo, in parte infastidito
dalle mosche che gli ronzavano intorno, si sfogò con me. Per alcuni
attimi mi mancò il fi ato, credetti di morire ed, in quei momenti, anche
mio padre se la vide brutta per me. Eppure, ogni volta, si ricominciava
da capo; con l’entusiasmo e la fi ducia di sempre affrontavamo la vita
nella stalla.
da un racconto di Giannino Aletti
Cremona, 6 dicembre 2005

 


       



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