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15 Settembre, 2002
Ricordando El Che (di Deo Fogliazza)
42 anni fa moriva Ernesto Guevara. Assassinato sulle montagne boliviane dalle forze militari di quel paese. Il fallimento di un progetto che trasformerà la figura del Che in un mito per i giovani del mondo intero

"1965 -La Habana, Cuba. "Año de la Agricultura" Habana Fidel: Me recuerdo en esta hora de muchas cosas, de cuando te conocí en casa de María Antonia, de cuando me propusiste venir, de toda la tension de los preparativos... "

Comincia così la lettera di congedo che El Che scrive a Fidel Castro, nel momento in cui lascia Cuba, tutti gli incarichi pubblici che lì ricopriva, per seguire un progetto di liberazione mondiale che, per il Che, doveva ripartire dalla Bolivia.

Quel progetto fallirà ed il Che verrà assassinato il 9 ottobre 1967 dalle forze militari boliviane coadiuvate nell'occasione da "esperti" della CIA.

Il 15 ottobre Castro riconoscerà pubblicamente la morte di Guevara e proclamerà tre giorni di lutto nazionale. Dal palco che sovrasta la grande piazza de L'Avana nella quale si svolgono i solenni e grandiosi funerali di Stato e di popolo, Fidel Castro legge la commovente lettera di congedo che il Che gli aveva fatto avere nel 1965, prima di imbarcarsi, a quanto risulterà poi, per il Congo e poi per la Bolivia.

La morte del Che fu vista come un grave fallimento per i movimenti rivoluzionari d'impronta socialista operanti nell'America latina e nel resto del terzo mondo. Fu una notizia che colpì in maniera fortissima milioni di giovani, di uomini e di donne nel mondo intero.

Ma qui non voglio perdermi in valutazioni di carattere politico o storico.

Mi interessa ricordare la commozione e i sentimenti che mi attraversarono, giovane 17enne.

La voce di Fidel che legge quella lettera venne riportata su un 45 giri contenuto in una significativa copertina rossa. Se non ricordo male il disco uscì come allegato di "Vie Nuove", settimanale rotocalco di riferimento PCI, che conteneva, come inserto, anche una grande foto del Che, con basco e sigaro. Una foto scattata nel 1960 da Alberto Korda, diventata una delle immagini più famose del secolo, tanto da essere considerata la più riprodotta in assoluto della storia della fotografia.

Ascoltavo e riascoltavo, chiuso in camera, quel disco. E scoprivo sentimenti ed emozioni forti: l'umanità in lotta e la voglia di schierarsi e di partecipare; un'etica ferrea, quasi religiosa, di un uomo che si dichiara "fiero di non lasciare alcun bene materiale alla moglie ed ai figli". Una lettera con un incipit ed una chiusura che si fermerà per sempre nella mia mente e che ora - grazie ad internet ed a You Tube - riesco a risentire. Un ascolto che ancora muove in me ricordi e sentimenti forti. Sarà che invecchio, mi chiedo? O sarà anche perché - pur disillusi e pur in grande parte "traditi" - quegli ideali e quelle speranze di un mondo più giusto, più umano, più libero continuano ad avere un senso ed una ragione?

Qualche settimana dopo quegli avvenimenti, un sabato, decido di spostarmi a Piacenza per incrociare la "Marcia per la Pace nel Vietnam" partita due giorni prima da Milano (mentre l'altro "troncone" della marcia partiva dalla Sicilia), entrambe dirette poi verso Roma.

Era una della prime manifestazioni alle quali prendevo parte. Ricordo con una vividezza assoluta il mio arrivo alla stazione d Piacenza, la camminata in direzione del ponte sul Po e lì, all'imbocco del ponte, l'incontro con la testa del corteo ... e con la foto del Che che campeggiava su un cartello tenuto alto, molto in alto, da un gruppo di giovani in eskimo.

Mi confondo tra tutti quei ragazzi e quelle ragazze. Ascolto i cori e le canzoni. Memorizzo. Provo sensazioni forti. Insieme andiamo in Piazza Cavalli. Lì ci sono i discorsi, gli applausi, ancora i canti.

Torno a Cremona, ma quello che ho provato é troppo forte. Non riesco a liberarmene. Mi preparo svelto uno zainetto con dentro qualcosa e ritorno il giorno dopo. Lascio casa mia, la scuola e tutto quanto: vado a Roma con la Marcia. Camminerò insieme ai tanti ragazzi di Danilo Dolci e di Don Gaggero, di Ernesto Treccani, di padre Balducc, di Lidia Menapace e di Michele L, Straniero. Attraverseremo l'Emilia fino a Bologna. E poi Porretta Terme, Pistoia, Prato, Firenze, Perugia, Terni, giù giù fino a Roma. Per due settimane di vita intensa, fatta di nuovi rapporti, nuovi temi, nuove sensazioni. Fatta di fatica, di pasti frugali, di riunioni del "collettivo della marcia" dedicate all'analisi della giornata, alle valutazioni, alla preparazione delle tappe future, delle manifestazioni che tutte le sere terremo nelle tante piazze che arriveremo a toccare.

A Terni terrò il mio primo comizio. Di fronte ad una piazza straboccante di folla. Il mio incarico é: testimonianza di un giovane studente medio. Ma gli appunti mi vanno insieme, vado in confusione. Due grandi insegne pubblicitarie del Tempo e de La Nazione carpiscono la mia attenzione. Non riesco più a parlare della scuola. Attacco dunque la stampa "borghese" che non parla di noi e, quando ne parla, lo fa solo per dirne male. Applausi, congratulazioni.... ma anche il rimprovero di Don Gaggero che si aspettava da me almeno un accenno al tema della scuola.

Fu una bella esperienza, densa. Che sedimenterà in me e che mi porterà a fare alcune scelte che segneranno a fondo lo svolgersi della mia vicenda personale.

Oggi, 42 anni dopo, riscoprendo su You Tube Fidel che legge il Che ed ascoltando "Hasta siempre Comandante" sono tornato con la mente a quei giorni. E' passata una vita. Ma mi soddisfa il fatto di aver riprovato e ritrovato sentimenti e sensazioni che, tornando a galla, segnano certo il tempo trascorso, ma mi regalano anche un sentimento che resta, forse, "giovane" ed ancora, nonostante tutto, fiducioso.

Hasta Siempre Comandante-Buena Vista Social Club http://www.youtube.com/watch?v=po09lcDxXIA 


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