15 Settembre, 2002
Verso il voto europeo di Massimo Negri
Ll recente cambio di rotta nella politica estera della Casa Bianca, dall’unilateralismo di George W. Bush al multilateralismo di Barack Obama, pone l’Unione Europea dinanzi a un bivio...
Verso il voto europeo Cari amici di Welfare
Cremona,
il recente cambio di rotta nella politica
estera della Casa Bianca, dall’unilateralismo
di George W. Bush al multilateralismo di
Barack Obama, pone l’Unione Europea dinanzi
a un bivio. O riprende la strada del rafforzamento
delle proprie istituzioni, per recitare sullo
scenario internazionale un ruolo da protagonista,
o si rassegna a compiti minori, un po’ in
ordine sparso, a fianco degli Stati Uniti,
nel delinearsi dei nuovi equilibri mondiali.
L’Europa, non più solo spazio economico comune
ma pure soggetto politico in fieri, è chiamata
ad assumersi responsabilità proporzionate
al suo peso. Sarà in grado di farlo se definirà
meglio il suo profilo. Del resto,
pure in un’ottica meno globale, è un’esperienza
per noi quotidiana misurarsi con la dimensione
spesso europea dei problemi e avvertire il
bisogno di una capacità di risposta di pari
livello, senza con ciò diminuire l’importanza
del buon governo dei singoli Stati. Ci vorrà
tempo ma, per fortuna,
non siamo all’anno zero. Il modello civile,
sociale e politico dell’Ue è già stato preso
ad esempio dai Paesi passati via via dalla
dittatura alla libertà e alla democrazia.
La stessa richiesta di adesione della Turchia
è una prova dei progressi compiuti, ben al
di là dei confini delle sei nazioni fondatrici,
negli anni ’50 della Comunità. Ad ogni fase
i suoi obiettivi. Realizzato l’allargamento
è vitale ora completare il disegno con una
Costituzione che preveda un governo europeo
solido ed efficiente, all’altezza delle sfide
contemporanee.
I mass-media, puntualmente, informano sulle
battute d’arresto e le riprese nel compimento
del progetto che, non va dimenticato, è per
sua natura aperto ai cambiamenti culturali
e politici sottostanti. Attualmente si registra
uno stallo tra chi si accontenta dell’”Europa
che c’è” e chi si impegna per “l’Europa che
manca”. E’ un’impasse che non promette facili
vie d’uscita.
Per recuperare un po’ di fiducia è forse
bene ripescare le “idealità non passeggere”,
come suggerisce il Presidente della Repubblica
Giorgio Napolitano nel suo libro Altiero
Spinelli e l’Europa (ed. Il Mulino). Si può
tornare nella piccola isola di Ventotene,
al largo di Gaeta (LT), dove ora riposa e
dove nel 1940-41, mentre era al confino e
fuori stava per scoppiare la seconda guerra
mondiale avviata di nuovo nel cuore d’Europa,
Altiero Spinelli capì che soltanto mettendo
dei limiti alla sovranità dei singoli Stati
si sarebbero potute controllare le pulsioni
nazionaliste ed evitare il ripetersi di simili
tragedie. Fu in quella temperie che maturò
il Manifesto di Ventotene, base del movimento
federalista cui Spinelli, riottenuta la libertà,
diede vita con Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni
nel settembre 1943 a Milano e nucleo ideale
del Trattato istitutivo dell’Ue votato dall’Assemblea
di Strasburgo il 14 febbraio 1984. L’ispirazione
di questi uomini di pensiero e di azione
si legava alla tesi enunciata da Robert Schuman
di un equilibrio tra “le due sovranità, l’una
sovranazionale, l’altra nazionale”, armonizzate
in uno Stato federale europeo, garanzia di
“pace”, parola-chiave per Jean Monnet. Il
richiamo ai padri fondatori vuole sottolineare
pure il metodo scelto nella costruzione dell’Europa
politica. Nel dopoguerra, anche grazie al
realismo di Capi di governo quali Alcide
De Gasperi e Konrad Adenauer, si decise di
procedere per gradi, iniziando dalla integrazione
degli interessi economici, per avvicinare
le popolazioni mediante vincoli e opportunità
comuni. La libera circolazione delle persone
(sistema di Schengen), il mercato unico dei
beni, dei servizi e dei capitali, e l’euro,
sono dei risultati tangibili di quella impostazione.
Sulla via dell’unità politica del Vecchio
Continente, ricordo, inoltre, la battaglia
di Altiero Spinelli affinché il Parlamento
europeo non fosse più composto da delegazioni
dei Parlamenti nazionali ma fosse eletto
direttamente dai cittadini. Quando avvenne
per la prima volta, nel 1979, egli disse:
“Forse in questo giorno è nato il popolo
europeo!”. Essere consapevoli della legittimità
democratica del Parlamento europeo e, dunque,
del valore dell’elezione che avrà presto
luogo nei 27 Stati membri, può favorire un
più diffuso sentimento di appartenenza alla
casa europea che già abitiamo.
Passando, in chiusura, al nostro Paese, nelle
liste in campo per il voto del 6-7 giugno
2009, saltano all’occhio alcuni specchietti
per le allodole. Come in passato, vi sono
delle candidature di bandiera di esponenti
di primo piano che, se eletti, non andranno
a Strasburgo per incompatibilità con le cariche
rivestite in Italia, perpetuando l’abitudine
a considerare gli incarichi europei come
una seconda scelta rispetto a quelli nazionali.
Il rimedio, forse, è non votare per quei
partiti oppure votarli esprimendo la preferenza
per altri candidati. Da verificare, infine,
se i 72 neo-eletti ridurranno alla media
europea i loro compensi, aumentando, rispetto
a chi li ha preceduti,
la frequenza della partecipazione alle sedute
parlamentari e ai lavori in commissione.
Spetta all’opinione pubblica vigilare.
Cordiali saluti
Massimo Negri – Casalmaggiore (CR)
 
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