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 Politica

15 Settembre, 2002
Il bipolarismo e le scelte del PD. Il convitato di pietra
Intervento di Michele Salvati su Il Corriere della Sera del 5 luglio 2009

Magari le questioni sulle quali il prossimo congresso del Pd si dividerà fossero quelle descritte da Panebianco nel suo editoriale di martedì scorso! Di queste - la crisi della sinistra europea, l'incapacità di quella italiana di fare i conti col suo passato, l'amalgama non riuscito tra ex comunisti ed ex democristiani, i rapporti col sindacato, gli innesti liberali in un corpo non liberale... - si discuterà di certo, e con accenti differenti, ma non saranno le vere ragioni del contendere. È anzi probabile che saranno usate come pretesti per esprimere un dissenso profondo che serpeggia nel partito e ha a che fare con una questione del tutto diversa. Il dissenso tra chi ritiene che il bipolarismo coatto che abbiamo avuto nella Seconda Repubblica, imposto mediante leggi elettorali maggioritarie, sia stata e sia una iattura per il centrosinistra e per il Paese. E tra chi ritiene invece che sarebbe una iattura l'adozione di un sistema proporzionale senza premi di maggioranza: gli elettori non sarebbero più in grado di scegliere il governo e si ritornerebbe ai problemi della Prima Repubblica, ai governi fatti e disfatti in Parlamento. Non è un mistero per nessuno che nel Pd ci sono molti che la pensano come Casini e Tabacci: che il bipolarismo non è adatto e non fa bene al nostro Paese, ma soprattutto al centrosinistra. Ce ne sono sia sul lato ex democristiano, sia su quello ex comunista del partito. Nel caso si tornasse al proporzionale, i destini poi si dividerebbero: i primi probabilmente si avvicinerebbero all'Udc e, insieme a non pochi transfughi dal Pdl, a coloro che oggi soffrono sotto la leadership di Berlusconi, cercherebbero di dar vita a un robusto partito centrista. I secondi resterebbero nel Pd, che a questo punto diventerebbe una cosa del tutto diversa dal suo progetto originario, dal tentativo di fusione del riformismo laico e cattolico. Diventerebbe un partito a prevalente intonazione laica e socialdemocratica, e, proprio per questo, lì sarebbero raggiunti da non pochi che vivono malamente nell'estrema sinistra e con Di Pietro. Dopo di che si svilupperebbe il gioco dei due forni: un partito di centro sempre al governo, che ora si allea con i partiti di destra, ora con quelli di sinistra. Un gioco che nella Prima Repubblica non si era mai potuto giocare perché Pci e Msi erano partiti antisistema, ed era impensabile governare con loro.

Ci sono tre motivi che ostacolano l'emersione di questo conflitto profondo nel prossimo congresso. Il primo è che non si gestisce un evento simbolico di questa importanza mettendo in primo piano una spaccatura su un problema di leggi elettorali, alleanze, assetti istituzionali: spaccature difficilmente componibili, com'è questa, fanno male al morale, e il congresso come grande rito unitario è radicato nella cultura politica del partito.

Il secondo motivo è che coloro i quali la pensano come Tabacci e Casini non hanno alcun interesse ad uscire allo scoperto, a dire a tutto il partito: «Oops, ci siamo sbagliati, torniamo indietro». Dall'Ulivo in poi tutta la retorica è stata bipolare, noi contro loro, e questa visione è predominante tra gli iscritti e gli elettori: a chi ha cambiato idea non conviene attaccarla frontalmente. Il terzo motivo è che si tratta di un disegno - il ritorno al proporzionale - che non ha alcuna possibilità di attuarsi nel futuro prevedibile, perché il Pdl è fortemente avvantaggiato dal premio di maggioranza e non ha certo l'intenzione di mollarlo. In politica non si discute di questioni virtuali, di possibilità lontane. La possibilità vicina è al massimo quella di alleanze locali con l'Udc, che però non ha alcuna intenzione, a livello nazionale, di farsi coinvolgere in un rapporto organico col centrosinistra. C'è però un motivo che va in direzione contraria, che spinge per uno scontro aperto. Se i difensori del modello bipolare e del Partito Democratico come incontro-fusione delle culture riformiste laiche e cattoliche non danno battaglia, se non denunciano apertamente quella che per loro è una marcia indietro verso la Prima Repubblica, hanno già perso il congresso. Per loro si presenta un dilemma. Conflitto aperto, col rischio di traumi seri per il partito: questo non garantisce certo una vittoria, ma la rende possibile. Oppure quieto vivere e sconfitta sicura. Vedremo presto quale corno verrà scelto.

 


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