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 Il Punto

15 Settembre, 2002
2,7 milioni i contratti a termine in Italia. di Gian Carlo Storti
9 lavoratori su 10 accettano contratti a termine perché non hanno trovato di meglio.

2,7 milioni i contratti a termine in Italia. di Gian Carlo Storti
9 lavoratori su 10 accettano contratti a termine perché non hanno trovato di meglio.
Sono 2.719.000 i lavoratori a termine in Italia nel 2006, pari all'11,8% degli occupati, di cui 1.985.000 a tempo determinato in settori non agricoli e 237.000 in settori agricoli, mentre le collaborazioni coordinate ammontano a 404.000, i prestatori occasionali sono 93.000, cui si aggiungono 3 milioni di lavoratori in nero.

Tra i lavoratori a termine è più alta, rispetto alla media, la percentuale di occupati part-time: 11% tra gli agricoli, 23% tra i dipendenti a termine, 39% tra i collaboratori e 63% tra prestatori d'opera occasionale, contro il 13% per il complesso degli occupati.

Sono alcuni dei dati del dossier realizzato dal ministero del Lavoro e Previdenza sociale Occupazione e forme di lavoro precario. Sono dati del 2006 e fotografano una situazione che abbiamo ereditato.

Le politiche del centrodestra, hanno alimentato l'illusione che l'aumento delle politiche di flessibilità aumentino la crescita occupazionale. Ma la crescita statistica non si sposa con la crescita qualitativa. Il governo sta procedendo a un approfondimento del mercato del lavoro sulla base di un'analisi dei dati e l'individuazione dei punti deboli, che sono i giovani, i nostri figli, che incontrano il lavoro flessibile e ci restano troppo a lungo, oppure che incontrano il lavoro nero.

Ma un altro punto debole del mercato del lavoro sono le giovani donne. Non c'è più una relazione tra il titolo di studio e la qualità del lavoro e per questo abbiamo puntato sul lavoro a tempo indeterminato e lo dimostra, ad esempio, il cuneo fiscale.

Tra i motivi per cui si lavora a tempo determinato, i più segnalati sono il lavoro stagionale (agricoli), il lavoro occasionale e il periodo di formazione o apprendistato. Le durate dei contratti appaiono molto differenziate in base alla tipologia lavorativa, più lunghe nel caso del lavoro dipendente a termine non agricolo e delle collaborazioni, particolarmente brevi tra le prestazioni d'opera occasionale e nel settore agricolo.

Qual è il motivo che spinge i lavoratori ad accettare una professione a termine? Ben 9 dipendenti a termine su 10, secondo i dati del ministero, lo hanno fatto perchè non hanno trovato di meglio, la volontarietà è invece più alta tra i collaboratori e tra i lavoratori occasionali.

Una discreta quota di lavoratori a termine dichiara di essere alla ricerca di un altro lavoro (18% contro il 6,2% del complesso degli occupati), con percentuali più alte tra i collaboratori e soprattutto tra i prestatori d'opera occasionale. In circa la metà dei casi si cerca un altro lavoro proprio perchè quello attuale è a termine o viene considerato occasionale, ma vi è anche l'esigenza di un maggiore guadagno (agricoli) e la ricerca di un'occupazione più qualificante o con migliori opportunità di carriera (prestatori d'opera occasionale).

Nel confronto europeo l'Italia è sotto la media Ue, e vicina alla Germania e alla Francia. Nel 2006, l'incidenza di dipendenti a termine sul totale dei dipendenti segna il 13,1% contro il 14,7% della media Ue e il 12,6% nel primo trimestre 2007 contro il 14,3% nella media Ue. Nel Regno Unito il dato del primo trimestre 2007 segna il 5,8%, mentre quello del primo trimestre 2006 il 5,6%. In Spagna il dato registra rispettivamente il 32% e il 33,3%, che si confronta con il 13,1% della Francia per il primo trimestre 2007 e il 12,9% per il primo trimestre 2006.

Questi dati dimostrano sicuramente  che il mercato del lavoro flessibile e precario che è stato creato in  questi anni dalle politiche della destra  hanno creato ai giovani  interezza  ed angoscia sociale.

Non è un caso che oggi , come spiega il ministro del Lavoro Cesare Damiano “sono i giovani e le donne gli anelli deboli del mercato del lavoro italiano. Per questo dobbiamo portare avanti, come stiamo facendo, delle politiche mirate sia per avere una flessibilità buona, sia per combattere il lavoro nero” .

L’alternativa non è l’assunzione a tempo indeterminato nella pubblica amministrazione ma la definizione di percorsi che portino ad un graduale ma significativo  aumento di posti di lavoro stabili. Questo darebbe certezza ai giovani e diminuirebbe il senso di precarietà che pervade la società.

 storti@welfareitalia.it

Cremona 14 novembre 2007. 

 


       



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