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15 Settembre, 2002
Babele (Furio Colombo su L'Unità)
C'è il rischio che la forza di pace in Libano, nobile e urgente e voluta soprattutto dall'Italia, in nome delle Nazioni Unite, sia vista da molti come una camicia di forza intorno a Israele ...

C'è il rischio che la forza di pace in Libano, nobile e urgente e voluta soprattutto dall'Italia, in nome delle Nazioni Unite, sia vista da molti come una camicia di forza intorno a Israele, considerato colpevole di aggressione mentre, da solo - anche con errori che dichiara e discute - cerca di sopravvivere alla più violenta aggressione mai subita. Al confronto una accurata propaganda anche sui giornali americani, ci presenta Hezbollah (l'"esercito di Dio" che ha lanciato sui civili e le case di Israele migliaia di missili) come un benevolo ente di protezione civile che qualche smemorato italiano chiama "resistenza", usando la stessa parola che ha definito chi ha combattuto contro fascismo.
Strano nome per una formazione militare vasta, libera di operare, bene armata, ben finanziata, salutata con tutti gli onori dal presidente della Repubblica libanese, con due ministri al governo di un Paese considerato democratico.
Una simile confusione di percezione e di termini ha due percorsi. Uno è la guerra totale proclamata da Bush. Non c'è, per fortuna. Il Paese di Bush - cittadini e Parlamento - la sconfessa e la ignora. Ma la confusione, anche sul che fare strategico, è grande. Dal combattere subito, dovunque, all'invocare le Nazioni Unite. L'altro percorso avviene a sinistra, dove poderosi rigurgiti di guerra fredda spingono ancora molti contro Israele e dunque contro il popolo che la Resistenza ha salvato dal fascismo, creando una confusione di amici, nemici e linguaggi simile a quella di Bush. Vediamo come tutto ciò è potuto succedere e sta accadendo ogni giorno, in una babele di valori, concetti e parole.

***

Non c'è stata la fine del mondo preannunciata per il 22 agosto da Bernard Lewis con un uso impressionante, quasi cartomantico di segnali e coincidenze coraniche. Non c'è stata, ma si tratta di un modesto sollievo. Lo stato del mondo resta grave perché, come in una di quelle rare e sinistre combinazioni nella posizione degli astri indicate di tanto in tanto con allarme dagli esperti, alcune circostanze negative continuano a verificarsi insieme, nella stessa epoca, negli stessi Paesi e intorno agli stessi problemi, principalmente pace e guerra.
La prima circostanza negativa, che coinvolge tutti i punti-chiave del mondo, è la mancanza di guida. Problemi gravissimi attraversano come meteoriti il nostro orizzonte senza che siano visti con tempestività, analizzati con chiarezza e decifrati dallo sguardo intelligente di leaders che hanno il senso della storia e l'attenzione del mondo. Immaginate un presidente degli Stati Uniti che dice in pubblico, in televisione, cinque volte in sette giorni (questi ultimi sette giorni): «Noi siamo in guerra» (ricordate che "noi" vuole dire gli Stati Uniti, la maggior potenza del mondo) e la notizia - se così si può dire - non è mai in prima pagina, non è in apertura di telegiornali, non ferma l'operosa attività d'affari degli Stati Uniti o del mondo industriale, non interrompe viaggi e non sospende impegni e vacanze.
Una sorta di cecità selettiva accomuna un grande intellettuale come Bernard Lewis, esperto del fondamentalismo islamico e delle sue profezie di "luce abbagliante" e di distruzione finale, e Gorge W. Bush, uomo non colto, e anzi sperduto nel groviglio di problemi politici del momento. Messo alle strette, può produrre solo la visione del suo "Armageddon" il giorno dello scontro finale fra il male e il bene, predicato dal fondamentalismo cristiano. Difficile dire se si tratti di un espediente elettorale o di vera fede, ma certo oppone il suo credo (quello dei "born again", dei rinati nella fede) al fondamentalismo islamico brandito da Bernard Lewis come unica chiave di lettura del mondo. Il risultato è un buco nero di confusione su ciò che sta accadendo davvero.

***

Entra così in scena la seconda costellazione negativa che ingombra il cielo d'Occidente e lo rende indecifrabile: la guerra totale. Si tratta della evocazione di un concetto immenso che cade nel vuoto, confutato dal benessere e dalla normalità della vita dei Paesi ricchi turbati ogni tanto da episodi anche tremendi che però non cambiano vita e abitudini di quasi tutti. Persino lo spaventoso 11 settembre americano appare come un male riassorbito, nel film di Oliver Stone World Trade Center presentato a New York in decine di sale vuote, dove la più tremenda giornata della storia americana viene narrata come una tragedia di polizia e di vigili del fuoco, una tragedia senza storia e senza colpevoli, soltanto vittime, come in un terremoto.
Si capisce, guardando quel film, che la parola "guerra" («siamo in guerra») con cui George Bush tenta ancora di mobilitare il Paese (o meglio il suo elettorato) è un concetto tremendo ma astratto che non coincide con la realtà. La realtà è tremenda. Ma è un'altra. Non "la guerra" a cui nessun americano (salvo i soldati inchiodati in Iraq e tenuti lontani dai giornalisti) partecipa. Piuttosto alcune guerre. Come quella del Libano. Ma la coperta nera di Bush e la profezia della fine del mondo di Bernard Lewis e di Armageddon costringono, allo stesso tempo, a dire che tutto va bene («stiamo vincendo, non permettete ai disfattisti di legarci le mani») e che il peggio è imminente, perché, se non sei uno di noi, sei il nemico. E tutti, tranne noi, sono il nemico.
La prova sconcertante è che "la guerra" (ovvero l'invocazione e la celebrazione di un finale e risolutivo scontro di civiltà) copre veri conflitti, impedisce cioè di reagire in modo immediato e pragmatico a eventi pericolosi usando tutte le risorse della comunità internazionale. La pag. 7 (pagina dispari, completa, a colori) del New York Times (22 agosto) ospita a pagamento una lettera aperta al presidente Bush: le fotografie sono spaventose: bambini morti o mutilati o feriti in modo straziante. La lettera aperta accusa Israele di avere ucciso ciascuno di quei bambini. Chiede al presidente degli Stati Uniti di unirsi nel dichiarare «fascisti» i «criminali di Gerusalemme». Un aspetto da notare, di questa pagina, è che la lettera e le foto, che sono una violenta accusa contro Israele (una accusa che non può essere archiviata o superata perché il fascismo si deve soltanto distruggere) è firmata da "Al Kharafi Group", consorzio di imprese del Kuwait che ha rapporti d'affari - e di petrolio - con il mondo intero e, soprattutto, con gli Usa.
Ci sono contraddizioni gravi, come si vede, nella teoria di Armagedon. Bisogna tollerare che un Paese amico e alleato - il Kuwait - inciti pubblicamente il mondo all'odio contro Israele dalle pagine a colori del New York Times, il maggior quotidiano americano. Non dimentichiamo che il Kuwait è una delle più importanti basi militari per la guerra universale dichiarata e invocata da George W. Bush e dai suoi seguaci, in una paurosa confusione di ragioni, percorsi, mezzi e obiettivi che si risolve solo (vedi i discorsi di Bush) ripetendo sempre poche oscure frasi. Comprendono, in sequenze inspiegate, le parole "guerra" (intesa come conflitto globale) "nemico" (tutto il mondo islamico, benché una parte di esso sia alleato) "noi" (che vuol dire tutti i buoni, anche se si tratta di una catena incoerente e spezzata, come dimostra la dichiarazione di odio del cruciale e irrinunciabile alleato Kuwait contro il cruciale e irrinunciabile alleato Israele), e "vittoria finale" che è il concetto più pericoloso e più oscuro.
Come si arriverà alla vittoria? E come definirla? Che cosa dovrà accadere per poter dire «abbiamo vinto»?
Il fatto è che la complicata e concitata retorica del «siamo in guerra» tende a coinvolgere tutto un mondo che di questa guerra non si accorge - a cominciare dagli Stati Uniti - e disperde l'attenzione da fatti veri.
Israele è un fatto vero, la sopravvivenza di Israele è un fatto vero, come lo è il tormento delle popolazioni palestinese e libanese usate come materiale sprecabile per raggiungere il fine della «cancellazione di Israele» proclamata dal presidente iraniano Ahmadinejad e dai suoi (pagatissimi) dipendenti in Libano, il cosiddetto "esercito di Dio". È il primo caso di resistenza non clandestina, in un Paese non occupato, di resistenza a pagamento («i nostri fondi sono inesauribili», ha dichiarato senza timidezze il capo di Hezbollah Assad Nasrallah, distribuendo pubblicamente 10mila dollari a testa a militanti e affiliati).
Francamente, qui occorre ricordare di nuovo l'iniziativa dei Radicali. Pannella e Capezzone, con insistenza che infastidisce molti anche a causa del tormentone del digiuno, si ostinano a ripetere: «State lasciando solo Israele, che cerca di continuare ad esistere. Occorre creare un legame tra Israele e l'Europa». La visione della realtà come guerra totale condanna Israele a difendersi da solo. Oppure induce alla sollecitazione di rivolgersi all'Onu, mossa giudiziosa, ma in evidente contraddizione con la proclamazione della guerra totale.

***

Ma la frantumazione dell'opinione pubblica intorno a Israele, alle sue azioni, intenzioni, problemi (e anche errori) è ancora più complicata e più grave. Ripeto ciò che ho detto all'inizio. È nobile e grande e urgente la determinazione di essere forza di pace in nome e per conto delle Nazioni Unite. Fa onore all'Italia essersi candidata per prima e per il comando. Eppure se componete insieme frasi, dichiarazioni, giudizi, servizi televisivi, atti ministeriali (che magari risulteranno anche utili, in alcuni Paesi) vi rendete conto di un rischio: che la forza di pace in Libano sia vista come una camicia di forza intorno a Israele, che Israele sia considerato il colpevole, il Paese da tenere a distanza perché non si scateni («di nuovo» direbbero alcuni, e non solo le pagine islamiche a pagamento) contro i deboli e gli indifesi.
A confronto con Israele cattivo, il più delle volte sentite parlare di Hezbollah come di un benevolo CLN non tanto da disarmare quanto da apprezzare per il responsabile ruolo di guida assunto. Stupisce che chi si sente vicino a Israele non si renda conto del doppio rischio: più si proclama la guerra totale più gli assalitori di Israele possono fingersi partigiani di una resistenza a quella guerra, ottimo alibi per attaccare Israele e tentare di cancellarlo. La sinistra dovrebbe aprire gli occhi su ciò che non è resistenza, ma progetto bene organizzato, bene armato, bene finanziato e apertamente annunciato di cancellazione di un popolo. La destra dovrebbe avere il coraggio di denunciare il vero pericolo: non è in atto alcuna guerra di civiltà, non sta per venire la fine del mondo. Ma potrebbe venire la fine di Israele.

 


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