15 Settembre, 2002
Ho sposato il figlio dei miei vicini di casa di Luigia Ferrari
Puntualmente, all’ora di pranzo, arrivava in cucina a controllare la cottura della polenta
Ho sposato il figlio dei miei vicini di casa
di Luigia Ferrari
Puntualmente, all’ora di pranzo, arrivava
in cucina a controllare la cottura della
polenta
Ho sposato il fi glio dei miei vicini di
casa e, dopo cinque anni di matrimonio, arrivò
anche per noi due il momento di andare a
vivere da soli, in un appartamento solo per
noi.
Lasciammo la cascina di Aspice dove eravamo
in tanti e dove tre spose si affaccendavano
in una sola cucina, ciascuna dando suggerimenti
all’altra e tutte soggette alla supervisione
di mio suocero. Puntualmente, all’ora di
pranzo, arrivava in cucina a controllare
la cottura della polenta che doveva essere
rigirata almeno un’ora: solo così sarebbe
diventata tenera e si sarebbe mollemente
adagiata sul grande tagliere di famiglia.
Non lasciavamo quella cascina a mani vuote:
traslocavamo con la nostra camera da letto
e con cinque bottiglioni di vino pigiato
da mio suocero.
Sarebbero stati una discreta riserva per
noi, se uno non fosse scoppiato e se non
avessimo dovuto dare gli altri quattro in
cambio di piccoli favori ricevuti.
É proprio il vino di mio suocero che mi richiama
alla memoria quello che faceva mio padre,
in particolare quel “birello” così gustoso
che il figlio dei nostri vicini veniva a
prendere in casa mia, non dimenticando mai
di darmi un bacetto che mi faceva arrossire.
Avevo solo quindici anni, ma ero una ragazzona
ben piantata, quando lui tornò dal servizio
militare. Nelle sere d’inverno, tutti si
riunivano nella stalla per scaldarsi. Mentre
i grandi chiacchieravano, mi sentivo i suoi
occhi addosso, ma non scambiavamo una parola.
Poi si presentò un’occasione favorevole:
verso Natale, un toro scappò dalla stalla.
Bisognava
riportarcelo e tutti accorsero per dare una
mano. Andai anch’io.
Mi ritrovai nel crocchio che commentava la
fuga del toro, la fatica e la pericolosità
del riportarlo al riparo e scambiai due parole
con lui.
Da quel giorno, ogni sera ci intrattenevamo
a chiacchierare, fi no a quando mio padre
non mi richiamava in casa. Una di quelle
sere, mi baciò.
Quel bacio rimase sulla mia bocca e mi pareva
visibile a tutti, perciò mi pulivo con così
tanta insistenza le labbra che mio padre
ebbe il dubbio che mi facesse male la bocca.
Diventammo inseparabili.
da un racconto di Luigia Ferrari
Cremona, 22 novembre 2005
 
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