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15 Settembre, 2002
Il passato come ponte per il futuro
Gianvittorio Lazzarini: «La ricerca di qualcosa chiamato bene comune… di cui la Costituzione fosse documento e garanzia»

Il futuro ha una memoria, certo, ma non c’è passato senza futuro

Specie nelle grandi ricorrenze, come il 60° della Resistenza, si ripete che non c’è un futuro senza un radicamento nel passato.

Che senza memoria si smarrisca la propria identità, è un’idea che vale sia per i singoli individui sia per i popoli. Se io non avessi memoria della mia famiglia, dei miei luoghi in cui sono nato e vissuto, delle vicende e dei percorsi della mia formazione e della mia crescita, non saprei chi sono io.

Oggi più che mai il problema dell’identità si pone per nazioni e per comunità storico-politiche. Il grandioso fenomeno della “globalizzazione” (che può anche venir descritto come la comparsa di una forma di dominazione economica, politica, militare, ma anche culturale, unificata) impone modelli di vita identici in tutto il mondo: ne è prova il consumo di merci uguali ovunque e la costruzione mediatica (televisione, cinema, pubblicità) di ideali di esistenza funzionali a questo consumo.

Non mancano per fortuna resistenze a questo processo, ma i pericoli sono evidenti: il mondo mediatico cancella sempre più le identità “reali” e costruisce false libertà immediatamente legate al tempo e al luogo dello spettacolo. Non solo: trasforma il cittadino, specie quello giovane, in consumatore passivo di merci omologanti, dal cellulare alle Nike…

Di fronte a questi processi, bisogna richiamarsi alle specificità di una tradizione culturale e di un’identità data dalle memorie.

Ma questo radicarsi alle radici, personali e collettive, non è privo di rischi.

Il primo è costituito dall’avere un rapporto passivo con la memoria. In nessun caso, la tradizione può essere considerata come qualcosa di fisso, un patrimonio che abbiamo ereditato una volta per sempre e che dobbiamo tenere in cassaforte. Insomma, anche quando parliamo di Resistenza, di Costituzione, di Movimento dei lavoratori…, non dobbiamo accontentarci di poter dire “tutto questo mi appartiene”, oppure “io appartengo a questo patrimonio”. Questa visuale può infatti creare una risposta errata e pericolosa all’esigenza di ancorarci alle cosiddette “radici” identitarie. Come ben dice il filosofo Mario Veggetti in un suo recente saggio, la concezione patrimoniale della tradizione “dà luogo a una concezione dell’identità riferita non a quello che vorremmo essere, ma a quello che siamo stati, e in parte siamo ancora, come se questo costituisse immediatamente un valore da opporre ad altri, e non come una forma di autoconsapevolezza sì necessaria, ma non necessariamente valorizzabile. È chiaro che una simile idea “patrimoniale” della tradizione e dell’identità può facilmente assumere l’aspetto di una regressione verso forme difensive arcaiche di esclusione e di demonizzazione della diversità”.

I guasti prodotti dalla regressione a questo tipo di strutture identitarie, spesso di tipo etnico, religioso, razziale, sono tremendi: pensiamo solo a che cosa questa regressione ha prodotto nei popoli della ex Jugoslavia, così in tanti popoli dell’Africa, del Medio Oriente, oggi nello stesso Iraq.

In altre parole, anche verso il passato occorre usare il filtro della riflessione e della critica. Occorre riappropriarsi in modo selettivo e attivo del passato, affinché diventi un ponte per il futuro.

Pertanto, se è vero che il presente e il futuro hanno una memoria, è altrettanto vero che non c’è passato senza futuro: è proprio il progetto che noi vogliamo realizzare nel futuro, a dirci quali valori, quali eventi, quali comportamenti - insomma, quali memorie - sono da selezionare, valorizzare, riproporre in termini nuovi e originali.

Queste considerazioni sono assai complesse e avrebbero bisogno di ben altri approfondimenti. Ma già bastano per tornare con un’ottica nuova anche al tema della Liberazione.

Noi sappiamo che senza questo patrimonio memoriale ci mancherebbero le radici a cui ancorarci e le ragioni da cui trarre identità e progetto per il futuro. Ma la Resistenza è per noi un prezioso fattore di auto-costruzione di identità proprio perché non è un valore che teniamo nella cassaforte, qualcosa di buono e di bello, ma immobile, fossilizzato: noi dobbiamo rileggere la Resistenza in modo critico, aperto, perché vogliamo giocare questo patrimonio non solo per riattivare quello che siamo stati, ma soprattutto quello che vogliamo essere: in fatto di rifiuto della sopraffazione e della dittatura, della guerra, dell’odio razziale e del genocidio.

Noi dobbiamo, usando la lente del nostro progetto per il presente e per il futuro, far fruttificare la Resistenza soprattutto perché ha visto generazioni, classi sociali, culture e forze politiche diverse lottare contro l’annientamento materiale, spirituale e politico, ma anche perché ha visto queste forze confrontarsi e unirsi in una straordinaria assunzione di responsabilità, per costruire la democrazia, la libertà, la convivenza civile, la legalità, le tutele e i diritti universali, la tolleranza e la ricerca di qualcosa che, chiamato bene comune, costituisse per tutti e per sempre il riconoscimento valoriale e identitario, di cui la Costituzione fosse documento e garanzia suprema.

Gianvittorio Lazzarini

(Questo contributo uscirà su “Spi-Insieme”)

 


       



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