15 Settembre, 2002
Impariamo a conoscerlo: Stefano Ceccanti, Docente di Diritto Costituzionale
Il prossimo 3 ottobre sarà a Cremona per un incontro sul tema *Primarie Perché* - In queste settimane pubblicheremo suoi articoli per presentarlo ai cremonesi
Primarie buone per tutti di Stefano Ceccanti
Nonostante varie ironie, man mano che ci avviciniamo al 16
ottobre sono evidenti gli effetti benefici delle primarie sul
centrosinistra. Il principale è già chiaro: Margherita e Ds, scomparsa
la lista unitaria, sarebbero portati a divaricarsi perché in
competizione sul proporzionale. Se ne è avuta qualche avvisaglia
estiva. Ora, però, entrambi devono essere solidali per la candidatura
Prodi e ciò lascerà traccia duratura.
Senza le primarie e senza la
lista unitaria sarebbe stato facile dirigere contro Prodi l'obiezione
di riprodurre lo schema finito male nel '98: in un sistema parlamentare
un leader che non sia espressivo del perno politico della coalizione
può essere tollerato dai partiti solo per poco. La lista, ripetuta dopo
europee e regionali, avrebbe reso meno necessario il ricorso alle
primarie perché avrebbe prefigurato una forza politica stabile; la
rinuncia le ha rese necessarie. Le primarie consentono di mettere sui
binari giusti anche l'altro problema del '98, il rapporto con le forze
più radicali, rispetto alle quali le differenze programmatiche sono
evidenti, soprattutto in politica estera. A queste condizioni non basta
sostituire alla desistenza un'alleanza organica giacché quest'ultima
può essere realizzata fino a un certo punto con reciproche concessioni,
alla fine occorre il principio di maggioranza.
Il riconoscimento di
Prodi come vincitore da parte di Bertinotti è la logica premessa a un
programma più sbilanciato verso il riformismo. Ciò non significa aver
risolto a priori i problemi, né aver allontanato l'incognita
principale: il risultato scontato può allontanare elettori meno
politicizzati, sovrarappresentare le minoranze militanti e quindi
portare a un peso eccessivo di Bertinotti. Per questo le regole che
facilitano la partecipazione e lo sforzo organizzativo delle forze
riformiste per invitare gli elettori a un «voto utile» per una larga
maggioranza a Prodi sono decisive: ma l'obiettivo di un milione di
voti, che porterebbe ragionevolmente Prodi verso un 60%, appare
possibile.
Le primarie sono quindi per il centrosinistra la
principale polizza di assicurazione contro lo spettro di un ritorno ai
governi per combinazione di oligarchie parlamentari, che lo avevano
danneggiato dopo il '98. Il paragone con gli Usa non è il più adatto. È
nelle altre grandi democrazie europee fondate su coalizioni
strutturate, in cui è il partito più forte a dare le carte perché esso
raccoglie da solo più di metà dei voti della propria coalizione, che vi
è da vari anni non solo la coincidenza tra candidato premier e leader
del partito, ma anche la tendenza ad ampliare la sua base di
legittimazione: quasi ovunque sono abbandonate le elezioni dai consigli
nazionali, in diminuzione anche l'elezione dai congressi, netta è la
spinta a una scelta diretta da parte dell'intera base degli iscritti e
talora anche dai simpatizzanti.
Un metodo che garantisce al tempo
stesso più democrazia e più efficienza e che per le cariche
monocratiche non incontra serie obiezioni: mentre quando vi sono da
eleggere più persone (ad esempio i parlamentari nei collegi) vi è un
problema di compensazione (un partito non può essere privo di
candidati), per il premier, come per sindaci, presidenti di provincia e
di regione, sarà comunque uno il designato ed allora è molto meglio che
ciò accada con la più ampia base possibile. Dove esso ha poteri di
disciplinare la maggioranza (dai Comuni alle Regioni) per garantire una
legittimazione forte quanto i poteri che avrà; dove ha maggiore
necessità di mediare tra le componenti (il premier italiano) anche per
far funzionare la coalizione come se fosse coesa.
Nel 2001 Silvio
Berlusconi fu scelto per certi versi proprio a causa del conflitto di
interessi. Per reazione all'instabilità post '98, il corpo elettorale
scelse una soluzione monarchica: grazie alla stampella economica e
mediatica molti ritennero che Berlusconi avrebbe potuto, sia pure in
modo anomalo, garantire stabilità ed efficienza. A posteriori ci si è
accorti che, per varie ragioni, la prima poteva anche essere garantita,
ma la seconda no. Per questo il problema della costruzione di un
centrodestra «normale», privo di quella stampella, è riemerso con
meritorie critiche nella maggioranza, che sono però ambigue: per un
verso possono essere usate all'indietro per tornare a nuove forme
oligarchiche (l'espansione della proporzionale, la suggestione del
centro come ago della bilancia post-elettorale), il cui appeal presso
l'elettorato è bassissimo (e la cui realizzabilità è anche per questo
improbabile), per altro verso possono essere realizzate conducendo ad
una coesione per via democratica, attraverso le primarie.
Mentre la
sostituzione di Berlusconi per via di intese partitiche non è possibile
per varie ragioni, a cominciare dal rifiuto pregiudiziale della Lega,
chi potrebbe rigettare una proposta seria di primarie per il premier in
una competizione libera e aperta? Questa sarebbe la vera discontinuità
verso il futuro, che farebbe bene anche al centrosinistra. Se guardiamo
alle cose in termini di sistema non fa bene neanche al centrosinistra
che l'esito delle elezioni sia dato per scontato, finendo col posporre
a causa della sicurezza la risoluzione di quei punti di dissenso che il
governo Prodi si troverebbe comunque davanti in seguito.
 
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