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 Economia

15 Settembre, 2002
Salari più alti? E' una questione di produttività
di Tito Boeri e Luigi Guiso da www.lavoce.info dell'08 gennaio 2008

La questione salariale è al centro dell'incontro tra Governo e parti sociali. C'è il rischio che il confronto si risolva con un taglio marginale dell'Irpef. Sarebbe un errore e un'occasione sprecata. Se invece si detassassero, almeno parzialmente, gli incrementi di produttività futuri per i prossimi cinque-otto anni, si innescherebbe un circolo virtuoso per produttività, salari, consumi e investimenti, mentre si ridurrebbe la pressione fiscale e la spesa pubblica.

Oggi si apre il confronto tra il Governo e i sindacati sulla cosiddetta questione salariale. Le aspettative sono molte perché il Presidente del Consiglio Prodi ha promesso che il 2008 sarà l’anno in cui verrà affrontato il problema del potere d’acquisto dei salari, erosi dall’inflazione e dall’aumento delle tasse. L’inflazione sta ormai viaggiando al 3 per cento annuo mentre i salari lordi crescono attorno al 2 per cento. La pressione fiscale continua ad aumentare, e grava soprattutto su chi è tassato alla fonte. Nonostante le reiterate promesse, da anni il fiscal drag (l’aumento delle aliquote anche a parità di reddito reale, per effetto dell’inflazione) non è stato restituito alle famiglie.

Vincoli al negoziato

Le proposte al centro del negoziato rimettono in discussione una Finanziaria appena votata dal Parlamento e ignorano i vincoli che si ergono di fronte al negoziato. Che sono di due tipi. Innanzitutto c’è un debito pubblico che è stato sin qui solo scalfito dal (pur forte) incremento delle entrate registrato negli ultimi due anni, dato che l’extragettito è stato sin qui principalmente utilizzato per aumentare le spese. Parlare in presenza di questo debito pubblico di sempre nuovi tesoretti è quanto meno anacronistico. Inoltre la produttività del lavoro nell’ultimo anno, come pure nei 6 anni precedenti, è diminuita in Italia, contrariamente a quanto avveniva altrove in Europa, a partire da Francia e Germania. Il divario nel costo del lavoro per unità di prodotto rispetto alla Germania dal 2000 è raddoppiato. Dato la diminuzione della produttività, anche salari che si limitassero a tenere il passo con l’aumento dei prezzi, farebbero aumentare il costo del lavoro per unità di prodotto.

Le parti sociali, che oggi chiedono al Governo di intervenire con la leva fiscale, hanno forti responsabilità nella deludente dinamica di salari e produttività. Da almeno dieci anni si aspetta la riforma della contrattazione. Oggi quasi sette lavoratori su 10 aspettano il rinnovo dei loro contratti, mentre la contrattazione di secondo livello, quella che dovrebbe permettere di legare salari e produttività, coinvolge una quota sempre più piccola di imprese, ormai non più di una su dieci. Sia i ritardi nella conclusione dei contratti sia il fatto che i salari non seguano la crescita della produttività nelle imprese che vanno meglio contribuisce a tenere bassi salari oltre a non incoraggiare gli incrementi di produttività.

Il Governo sembra intenzionato a cedere alle richieste delle parti sociali tagliando l’Irpef in modo marginale. Questo significa non tenere conto della lezione della passata legislatura: modesti tagli alle imposte, soprattutto quando non accompagnati da riduzioni delle spese, non riescono a rilanciare l’economia. Mentre sicuramente peggiorano i conti pubblici che, con la Finanziaria appena votata dal nostro Parlamento, sono già destinati a peggiorare rispetto a quanto avverrebbe in assenza della manovra.

Una soluzione virtuosa

Vi è un modo per affrontare la questione salariale senza rinunciare al programma di stabilizzazione fiscale e senza aggravare il trend negativo della produttività? Sì, si tratta di detassare parzialmente o totalmente i guadagni di produttività futuri (misurati in termini di crescita del valore aggiunto, al netto dell’inflazione) per un periodo di tempo prestabilito e significativo, noto in anticipo, ad esempio i prossimi cinque-otto anni. Questo darebbe tono alla domanda corrente di beni: i lavoratori anticiperebbero maggiori redditi per il futuro e sarebbero incoraggiati a spendere di più oggi. Le imprese anticiperebbero maggiore domanda e sarebbero incoraggiate ad investire da subito. Si favorirebbe così la ripresa ciclica. Più rilevante ancora è il fatto che la detassazione degli incrementi di reddito incoraggerebbe la produttività. Poichè la detassazione è condizionata agli incrementi di produttività, se ben articolata nei dettagli, potrebbe incentivare le imprese e i lavoratori, ad accrescere l’offerta di lavoro e la produttività. Questo favorirebbe l’inversione del trend negativo della produttività. Sul fronte dei conti pubblici la detassazione degli incrementi di reddito reale non richiederebbe di reperire risorse addizionali per mantenere inalterato il disavanzo. La detassazione avviene solo se vi sono redditi aggiuntivi su cui applicarla. Quello che però comporta è che quei redditi aggiuntivi siano lasciati a disposizione dei privati. Una detassazione completa dei redditi aggiuntivi mantiene il gettito totale e la spesa pubblica costanti, in termini di potere d’acquisto. Pertanto, in rapporto al PIL, spesa pubblica, gettito fiscale e disavanzo si ridurrebbero progressivamente, tanto più rapidamente quanto più elevata la crescita del reddito e la detassazione. Questo risanerebbe in modo naturale e relativamente indolore i nostri conti pubblici.

Dieci anni sprecati

Se questa politica fosse stata seguita dal 1996, oggi avremmo una spesa pubblica e una pressione fiscale più basse fino a 6 punti di Pil rispetto ai livelli attuali. Quei dieci anni sono trascorsi e non si torna indietro. Ma non è mai troppo tardi. I dieci anni che ci attendono potrebbero essere l’occasione per provare ad aggredire in via definitiva i problemi che l’Italia si trascina.

Ovviamente una tale politica non solo impegna il governo in carica a seguire questa strategia fino alla fine della legislatura, ma richiede anche la condivisione di questo impegno strategico da parte dell’opposizione. Questo non dovrebbe stupire. La natura dei probblemi e delle compatibilita della nostra economia difficilmente possono essere affrontati e risolti entro l’orizzonte di un singolo governo.

 


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