15 Settembre, 2002
Renzo Antoniazzi , biografia
C’è chi lo ricorda «Picaia», ragazzo spilungone di via Lunga Stretta, a Porta Po, rione popolato da ghiaiaioli e da operai delle Fornaci Frazzi, come fu anche lui.
Renzo Antoniazzi
Biografia
Compagno, onorevole
C’è chi lo ricorda «Picaia», ragazzo spilungone
di via Lunga Stretta, a Porta Po, rione popolato
da ghiaiaioli e da operai delle Fornaci Frazzi,
come fu anche lui. Porta Po, rione dal cuore
solidale, dalla memoria antifascista; rione
di Piero e di Maria Biselli, della sezione
Parizzi del Pci, dove il quindicenne Renzo
Antoniazzi si affaccia alla militanza comunista.
La primavera del 1949 lo vede nel comitato
costituente della Fgci provinciale, ne è
responsabile organizzativo accanto al segretario
Franco Dolci. Quale straordinaria scuola
ideale e pratica! Ne è ragione il riscatto
di una generazione che diventa adulta assieme
alla democrazia riconquistata; gli obiettivi
concreti sono l’adeguamento del salario del
giovane lavoratore, una migliore assistenza
e un dignitoso contratto delle mondine, delle
tabacchine… La giovane organizzazione dei
giovani comunisti è la migliore scuola anche
per Antoniazzi, per la formazione di una
coscienza sociale e politica nel solco delle
antiche lotte dei lavoratori dei campi. Ed
è in virtù di questa sua preparazione che
sarà chiamato nel Comitato Centrale della
Fgci, mentre ne è segretario provinciale,
nella seconda metà degli anni ‘50.
Ed è in rappresentanza dei giovani lavoratori
che siede sui banchi del Consiglio Comunale
(1956-1964), come per le conoscenze ed esperienze
maturate «sul campo» e «nei campi» che sarà
chiamato nella segreteria provinciale della
Federbraccianti, nel 1959. Ha tutte le caratteristiche
del grande sindacalista, Renzo Antoniazzi;
nella sua persona si uniscono preparazione
e carisma, capacità organizzativa e doti
da convincente oratore. È sempre in ascesa,
il suo percorso di dirigente. Dalla segreteria
provinciale (1959-1970) a quella regionale
del sindacato dei lavoratori agricoli (1965);
dal sindacato di categoria alla Cgil provinciale
(segretario generale della Camera Confederale
del Lavoro dal 1970 al 1979) e da lì al Consiglio
Generale del sindacato nazionale (1973).
Incarichi sì ai massimi livelli ma contemporaneamente
anche il massimo livello di impegno nella
sua terra. C’è chi lo ricorda nell’immensa
sala mensa dell’Olivetti di Crema – siamo
nei primi anni ’70 –, gremita: quando iniziava
a parlare Antoniazzi, «non volava più una
mosca». Non solo di carisma si trattava.
Le elezioni politiche del 1979 lo portano
a Roma; senatore per tre legislature. Di
lui non si può certo dire che «sieda» sui
banchi del Senato. È attivissimo; mette a
frutto le sue esperienze nel ruolo di coordinatore
del gruppo comunista della Commissione lavoro.
Approfondisce sempre più le problematiche
che riguardano la categoria più negletta
dei lavoratori dipendenti: i pensionati.
«Onorevoli» si resta a vita, nel caso di
persone come Renzo Antoniazzi non soltanto
per consuetudine linguistica. Facendo tesoro
dell’esperienza parlamentare, accanto all’incarico
affidatogli dalla direzione provinciale del
Pds in materia economica, l’onorevole Antoniazzi
è a lungo il punto di riferimento di quanti
incontrassero gli «ingorghi burocratici della
previdenza» nel vedere riconosciuto un loro
diritto.
C’è chi dice che «era un nuovo momento del
suo essere con il popolo».
Teréz Marosi
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IL CORDOGLIO DEI DS PER LA MORTE DEL SEN.
RENZO ANTONIAZZI
Mercoledì 19 ottobre 2005 alle ore 10,30
i funerali hanno visto una grande partecipazione
di popolo
Una grande partecipazione di popolo ha accompagnato
i funerali del sen Renzo Antoniazzi. Alle
10,30 la banda di Corte de Frati ha intonato
le note dell'internazionale e di Bella Ciao.
Di seguito le comosse e sentite orazioni
funebri del sidaco Giancarlo Corada e del
segretario dei DS Pier Attilio Superti che
hanno ricordato la storia ela biografia di
Antoniazzi ed hanno riportato ricordi personali.
Superti ha terminato il suo ricordo citando
una frase di una canzone di Franco battiato
che ben ricorda la figura di Antoniazzi:
"... il mio maestro mi insegnò come
è difficile cercare l'alba dentro l'imbrunire".
L'intera orazione funebre di Superti Pierattilio,
segretario provinciale dei DS Cremonesi.
COMMEMORAZIONE DEL SENATORE RENZO ANTONIAZZI
CREMONA 19 OTTOBRE 2005
Intervento di Pier Attilio Superti, segretario
della federazione dei DS di Cremona.
Autorità,
cari compagne e cari compagni
Carissima Lina e carissimo Claudio
Il dispetto più grande che oggi potrei fare
a Renzo Antoniazzi sarebbe quello di trasformare
la mia
testimonianza in una sorta di omelia laica,
perdermi nell’agiografia che trasfigura la
realtà.
Il Senatore, così lo chiamavamo con rispetto
in federazione , non amava la retorica. I
suoi giudizi erano netti,
precisi, a volte pungenti ma sinceri.
“Pane al pane …” direbbe Lui.
Noi, che siamo cresciuti seguendo le orme
del suo cammino politico avvertiamo di aver
perso un punto di
riferimento, una guida morale, un amico.
Ecco, vorrei cominciare proprio da Lui. Da
quello che Renzo Antoniazzi con la sua vita
ha insegnato a tutti noi
in questi anni di impegno, di militanza,
di testimaninza. Lo ha fatto fino all’ultimo
fino a quando la malattia
non gli ha impedito di raggiungere la sua
seconda casa, la Fderazione.
Ancora nell’ultima visita che ho fatto a
Renzo sabato in ospedale, anche se era sofferente
ha parlato a me e
a Luciano delle primarie, di Cremona, con
lucidità e precisione. Come sempre.
Lo ricordo con straordinario affetto, quando
ogni giorno entrava in silenzio in Federazione,
leggeva i giornali
e poi veniva da me. Una battuta per attaccare
il discorso e poi, di seguito, il suo pensiero,
le sua valutazioni,
i suoi consigli. Mai banali e che riuscivano
a tenere insieme quotidiano e strategia.
E a me suggeriva di
considerare quanto siano importanti risposte
serie e immediate ai problemi quotidiani
sottolineando che a
volte guardavamo troppo solo al futuro, agli
investimenti strategici per la città e la
provincia.
Era un amico e un dirigente serio. Apparentemente
burbero ed invece capace di far sentire tutti
a proprio
agio, mai in soggezione.
Renzo Antoniazzi è stato non solo un politico
di primo piano della storia della sinistra
ma soprattutto un
protagonista dell’Italia Repubblicana. Uno
di quei “galantuomini” che, venuti dopo i
padri fondatori, hanno
dato vita e slancio alla democrazia del nostro
Paese.
Antoniazzi è tra coloro che hanno ricostruito
il nostro Paese, che hanno saputo gettare
le basi della nostra
democrazia, ridare valori e speranze al popolo
italiano. Di quel popolo di cui si sentiva
figlio e a cui Renzo ha
dedicato tutta la sua esistenza, la sua intelligenza
e le sue energie, conquistandosi il rispetto
e la
considerazione di tutti, amici e compagni
ed anche di avversari di cui cercava sempre
di comprendere le
ragioni.
E’ uno degli esempi di quella generazione
che da autodidatta ha saputo crescere e costruire
questo Paese.
Quella generazione a cui dobbiamo tutti non
solo rispetto ma riconoscenza, perché senza
la loro fatica, il loro
lavoro, i loro sacrifici, noi, oggi non saremmo
qui. E in una società che è troppo appiattita
in un presente
infinito è bene ricordare che nulla viene
regalato, ma tutto costa in termini di passione,
di cultura, di idee.
C’è un filo che collega tutte le diverse
esperienze della sua vita, quella sindacale
e quella di partito: la scelta
di battersi per la giustizia sociale, per
portare diritti laddove venivano negati.
Una scelta popolare, mai populista. Perché
in Lui era radicata la convinzione che chi
conquista diritti deve
saper far fronte prima di tutto ai propri
doveri. Ed era convinto della insostituibile
funzione della politica
come governo e come strumento di lettura
della società e di costruzione del bene comune.
La sua vera e unica scelta di campo è stata
quella di essere dalla parte della gente
e di operare per una
società più libera, più democratica, più
giusta.
Le sue battaglie nella Federbraccianti o
in Parlamento sui temi del lavoro e della
previdenza, le sue prese di
posizione appassionate: tutto è coerente
e riconducibile alla sua vera scelta di campo.
I partiti sono uno strumento e non un fine.
Quanto volte mi ha ricordato questa verità.
Lui, che ha scritto
pagine importanti della storia del Partito
Comunista Italiano, era ben consapevole che
per raggiungere gli
obiettivi importanti occorre saper leggere
i segni dei tempi, interpretarli e modificare
gli strumenti in base al
nuovo contesto.
Questo, Renzo lo ha saputo fare. E’ per questo,
per questa intelligenza che Lui non appartiene
a quella
schiera di politici che hanno dato molto
al Paese ma che, ad un certo punto del loro
cammino, sono stati
fatalmente superati e travolti dalla realtà.
Lui forte delle sue idee, della sua scelta
di campo, ha compreso e favorito il cambiamento,
è stato parte
attiva in tutti i processi di evoluzione
del PCI, del PDS ed oggi con orgoglio si
diceva Democratico di Sinistra.
Emmanuel Mounier ha scritto: “La più grande
virtù politica è non perdere il senso dell’insieme”.
Questa è
stata la lezione politica e di vita di Renzo
Antoniazzi.
Non perdere il senso dell’insieme vuol dire
non smarrire il vero obiettivo del nostro
agire in politica. Per
questo posso dire che Antoniazzi era un vero
riformista. Sapeva che le conquiste più ardue
e durature non si
ottengono con un colpo di mano. E proprio
essere stato con orgoglio un riformista,
anche in tempi non facili,
come è stato ricordato in questi giorni da
Azioni, gli ha permesso di guardare lontano.
Occorre lavorare giorno dopo giorno, instancabilmente,
senza paura dei fallimenti. Occorre essere
tenaci,
forti, determinati. Lui era così.
Ma c’è un ultimo Antoniazzi che voglio ricordare.
La sua vita è stata la politica con la P
maiuscola, ad essa ha
dedicato le sue migliori energie e qualità.
Eppure non ne è rimasto irretito.
Ha svolto un ruolo importante, a fianco di
uomini importanti, ha gestito il potere ma
ad un cero punto ha
detto “Ora tocca a voi”. Lo ha fatto Lui,
Lo ha scelto Lui, consapevolmente, pensando
anche in questo modo
di servire la causa cui ha dedicato l’esistenza.
Senza rimpianto. Senza attaccamento alle
facili lusinghe del potere, si è ritagliato
un ruolo autorevole ma
defilato.
Ecco lo stile che appartiene a quegli uomini
che sono veramente grandi. Essi, poiché seguono
un ideale alto,
hanno una visone lunga e concepiscono la
politica come servizio, lavorano per far
crescere una nuova
generazione che, seguendo il loro esempio
ma in autonomia, raccoglierà la loro bandiera
per portarla ancora
più avanti, ancora più su.
La responsabilità della nostra generazione
non è facile per la grande qualità delle
persone che ci hanno
preceduto, per la complessità dei problemi.
Ma siamo determinati a cercare di fare del
nostro meglio per
costruire, insieme, un futuro per tutti.
Oggi dobbiamo battere il nemico più insidioso:
l’indifferenza. Perché vivere significa conoscere,
capire,
intervenire, cambiare. Perché vivere vuol
dire essere partigiani.
Il nostro tempo è un tempo difficile, un
tempo in cui il passato e il futuro sono
schiacciati sul presente.
Eppure sappiamo, perché ce l’hanno insegnato
compagni come Renzo, che ogni tempo ci pone
di fronte
problemi nuovi e nuove possibilità per risolverli.
Una splendida canzone di Franco Battiato
in questi giorni mi ha fatto ricordare il
“Senatore”. Questa canzone
dice. “… il mio maestro mi insegnò come è
difficile cercare l’alba dentro l’imbrunire.”
Grazie Renzo.
Ti accolga la pace degli uomini di buona
volontà.
Fonte: DS Cremona
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Orazione funebre in morte di Renzo Antoniazzi
Camera aArdente – CGIL Cremona - 19 ottobre
2005
di Gian Carlo Corada
Caro Renzo,
oggi siamo qui in tanti a porgerti l'estremo
saluto. E' difficile. E' triste accettare
questa dura realtà.
Se ne va con te un amico, un compagno di
tante battaglie, un dirigente serio, capace
del movimento operaio e democratico cremonese.
Quanti di noi portano con sé un ricordo tuo,
della tua conoscenza, della tua presenza,
la tua simpatia!
Con te si sono incontrati i compagni più
anziani, quelli che uscivano dalla lotta
di Resistenza e dovevano costruire il nuovo
partito, il nuovo sindacato. Incontrarono
te, ancora 15enne, appena dopo la Liberazione
del paese dal fascismo, nel momento nel quale
iniziavi ad avvicinarti al mondo della sinistra,
al Partito Comunista.
Era cosa normale, per te, figlio di una Cremona
popolare ed antifascista, operaia e popolare.
Radici che non hai mai voluto dimenticare
e delle quali andavi fiero, anche più tardi,
quando hai avuto occasione di incontrarti
con persone e dirigenti provenienti da altri
ceti sociali.
Con altri giovani e giovanissimi allora –
in quel periodo pieno di entusiasmi e di
voglia di fare - cominciò un lavoro fatto
di impegno e di dedizione, per mettere in
piedi l'organizzazione giovanile del Partito,
della quale presto ti venne affidata la responsabilità
provinciale.
Piaceva, ai compagni della generazione precedente,
la tua grande capacità di entrare in rapporto
con i giovani lavoratori; faceva breccia
la tua serietà nel lavoro e nell'impegno,
non disgiunta da una forte attitudine a 'legare'
con i tuoi coetanei e nello stesso tempo
la tua voglia di emanciparti, di crescere
insieme ai compagni ed all'organizzazione.
Era il tempo delle riunioni in provincia
che venivano organizzate nei diversi comuni,
a tappe, uno dietro l’altro. Sull’asta di
via mantova, piuttosto che su quella della
Castelleonese.
Partiva così una vecchia automobile che trasportava
tre o quattro persone, che andavano ciascuna
a tenere una riunione diversa e che poi,
per tornare, dovevano aspettare che terminassero
le altre riunioni e si procedesse al rientro.
Ed in questi viaggi, oltre che nelle diverse
riunioni politiche, cresceva la conoscenza
e la fiducia in questo giovane dirigente,
bravo, disponibile e capace. Un rapporto
saldo, vero, che sarà fatto poi anche da
confronti non facili, da discussioni anche
dure, soprattutto sulle questioni internazionali,
sul rapporto con i paesi dell'est.
Dibattiti, confronti, che gradatamente -
con eccessiva gradualità, sappiamo oggi -
porteranno poi - grazie a compagni come te,
caro Renzo, che hanno saputo vedere prima
e più a fondo - a maturare nuove e più avanzate
posizioni su quelle esperienze, guidate dalla
valutazione obiettiva della realtà che si
era andata purtroppo costruendo laggiù, piuttosto
che da un fideismo e da una scelta tutta
ideologica e per niente realistica.
La vita dei militanti alla fine degli anni
'40 ed all'inizio degli anni '50, per noi
della generazione successiva, é sempre stata
ammantata da una atmosfera di sacrificio,
di difficoltà, ma anche di fascino e per
certi versi di veri e propri eroismi diffusi:
le lotte bracciantili, gli scioperi duri,
la difficoltà di tenere in piedi un'organizzazione
davvero alternativa rispetto a ciò che si
andava costruendo in questa parte del mondo.
Con te, e con tanti altri giovani, crebbe
la nuova generazione che dovette affrontare
i grandi cambiamenti che in quegli anni interessavano
la nostra terra.
Si crearono allora legami forti, che dureranno
nel tempo e che, attraverso i decenni, sapranno
costruire una nuova classe dirigente delle
nostre organizzazioni; nuovi dirigenti politici
e sindacali, nuovi uomini delle istituzioni.
In quel periodo Renzo Antoniazzi affrontò
anche la prova del Consiglio Comunale di
Cremona, nei quali scranni sedette per 8
anni, portando all'interno di quella istituzione
la sua sensibilità di giovane dirigente unita
alla sua conoscenza diretta dei problemi
e della vita della città.
Iniziò in quegli anni la sua esperienza nel
mondo sindacale, nella Federbraccianti, la
potente organizzazione dei braccianti e dei
salariati agricoli, che uscivano dalla dura
sconfitta della fine del decennio precedente
e che dovevano in qualche modo subire, ed
in qualche senso anche governare, un cambiamento
epocale.
Si rinsaldava in questo periodo, per rafforzarsi
nei nove anni nei quali ricoprì la massima
responsabilità in CGIL, la più approfondita
conoscenza dei problemi dei lavoratori, forte
di una fondamentale convinzione, che ha accompagnato
per intero la sua vita: l'amore e la dedizione
che sempre ha saputo riservare per la gente
umile, per il popolo, informati da un profondissimo
senso della giustizia, dell'uguaglianza,
della difesa dei diritti.
Ecco, se c'é un filo che attraversa l'intera
tua esistenza, caro Renzo, credo si possa
individuare in questo profondo senso dell'uguaglianza
dei diritti e dei doveri, in questa assoluta
dedizione alle battaglie “di principio”,
prima ancora che politiche e sindacali, a
favore della giustizia sociale e per la conquista
di condizioni di pari dignità e di pari opportunità,
al di là delle differenze di censo e di classe.
Come non pensare, a questo proposito, al
grande insegnamento che venne in quegli anni
da Giuseppe Di Vittorio, dalla sua capacità
di plasmare un’intera generazione di giovani
dirigenti?
Come non ricordare il suo monito, che indicava
all’organizzazione sindacale e politica l’obiettivo
di fondo del movimento: saper conquistare
certamente nuovi e più avanzati livelli di
vita e di lavoro, ma soprattutto saper restituire
dignità al lavoratore, saper insegnare alle
masse sterminate di lavoratori e di popolo
a ‘non togliesi il cappello davanti ai padroni”?
Essere dalla parte dei lavoratori, mosso
da un anelito di giustizia e di uguaglianza:
questo ha dato il segno anche della esperienza
parlamentare fatta da Antoniazzi al Senato
della Repubblica dal 1979 al 1992.
Prima, quando ancora era segretario della
CGIL e poi, divenuto parlamentare, seppe
rapportarsi molto positivamente con le nuove
generazioni che allora si affacciavano alla
battaglia politica ed al confronto sociale.
Capace nell'argomentare e nell'organizzare,
curioso delle nuove idee che avanzavano,
pur se attento nel difendere le esperienze
passate e nel voler costruire e facilitare
un rapporto positivo tra le diverse espressioni
e culture politiche.
E mentre portava fino in fondo l'elaborazione
di critica e di condanna nei confronti della
drammatica esperienza del socialismo reale,
sapeva nel contempo svolgere la propria funzione
dirigente nelle dure, durissime prove alle
quali ci costrinse la fase plumbea del terrorismo,
quello rosso brigatista e quello nero di
matrice fascista.
Erano anni particolarmente duri, costellati
da attentati, decine e decine di morti ammazzati
con le quali la sinistra, il sindacato, le
istituzioni democratiche dovettero confrontarsi,
dovendo superare sia le difficoltà di un
dibattito interno spesso confuso ed incerto,
sia le asprezze di un confronto esterno che
non risparmiava nulla e nessuno.
Eppure, anche in situazioni drammatiche,
Renzo Antoniazzi aveva la grande capacità
di mantenere lucido il senso della realtà,
del legame con la vita. Non mancava di ricordare
a chi aveva vicino a sé - magari al termine
di una riunione pesante o dopo una giornata
di lavoro difficile - l'importanza di saper
affrontare la vita e le sue difficoltà anche
con un sorriso sulle labbra, anche con la
capacità di sdrammatizzare queste stesse
difficoltà.
Ho avuto la fortuna di conoscere e frequentare
Renzo fin dalla metà degli anni ’70. Fu capace
di entrare subito in rapporto con me, giovane
che si avvicinava, curioso ed attento, alla
vita del Partito. Aveva una sua ‘cifra’ particolare,
schietto, senza peli sulla lingua. Fu sempre
‘riformista’, anche quando questo termine
non era particolarmente popolare nel PCI,
anzi, al contrario, segnava una critica dura,
profonda.
Ma Renzo sapeva difendere con forza le proprie
convinzioni, e non rifuggiva dal confronto,
che pretendeva sempre vero, concreto, spoglio
da ideologismi.
E poi, terminato lo scambio di opinioni,
sapeva tornare bonario. E non perdeva l’occasione
per suggerirti di ‘diffidare di chi non é
capace di un sorriso".
Amava ripetere spesso questo suggerimento,
magari accompagnando l'esclamazione con una
delle sue battute ficcanti, calzanti, che
spesso arrivavano a segno e ti facevano pensare.
Era piacevole stare con 'Antonio', come a
volte lo chiamavamo. Abile argomentatore,
profondo conoscitore delle questioni di cui
portava la responsabilità nel lavoro parlamentare,
seppe divenire punto di riferimento ineludibile
ed indispensabile figura di confronto nel
settore che diventerà sempre più importante
ed anche molto, molto complesso, come quello
della previdenza sociale.
Qui le sue qualità e le sue conoscenze seppero
portarlo a responsabilità davvero significative,
fino a divenire praticamente una figura di
riferimento nazionale per tanti. Lo aiutava
in questo la solidissima base di elaborazione
e di esperienza sindacale, che l'aveva portato
anche a diventare il collaboratore più stretto
e l'amico fraterno di Luciano Lama, storico
ed amato leader dei lavoratori italiani.
Caro Renzo, hai saputo attraversare ed incontrare
diverse generazioni nel tuo lungo e pur breve
cammino. Hai saputo entrare in un rapporto
vero e profondo con gli uomini e le donne
di questa parte dell'Italia, militanti e
dirigenti del suo movimento operaio e democratico.
E pur ricoprendo responsabilità sempre maggiori,
hai saputo mantenere fermo e solido, negli
anni, il legame con la tua gente, con la
tua Cremona.
A tua moglie Lina, cara compagna della tua
vita; a tuo figlio Claudio, di cui andavi
sinceramente orgoglioso, a tutti i tuoi famigliari,
ai tanti compagni ed alle tante compagne
che ti hanno conosciuto e stimato, a noi
tutti mancherà la tua presenza, la tua vicinanza.
Ci mancheranno il tuo sorriso amichevole,
i tuoi pareri puntuali ed argomentati, i
tuoi rimbrotti scherzosi.
Caro Renzo, ora sei giunto al termine della
tua vita e noi, riuniti in questa nostra
comunità, segnata dai colori delle bandiere
che hanno accompagnato la tua e la nostra
vita, dandoti questo estremo saluto, vogliamo
dirti di riposare sereno.
Noi che abbiamo avuto il privilegio di conoscerti
e di volerti bene e di averti al nostro fianco
nel lungo cammino per l'emancipazione delle
classi più umili della nostra terra - pur
commossi e rattristati per la tua scomparsa
- possiamo dirti con dolcezza e convinzione,
come si dice nella tua, nella nostra Cremona:
vai, caro Renzo, caro compagno Antoniazzi,
hai fatto fino in fondo la parte del tuo
dovere. Che la terra ti sia lieve, non ti
dimenticheremo.
Gian Carlo Corada, Sindaco di Cremona
Cremona, 19 ottobre 2005
a cura di deo fogliazza
Dicono di lui
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Renzo Antoniazzi, il socialista nel pci.
Renzo Antoniazzi l’ho conosciuto nel settembre
del 1967 a Stagno Lombardo. Allora era “
capo”, termine non enfatico e corrispondente
alla semplice realtà, della Federbraccianti
Cgil di Cremona. Era in corso uno sciopero
dei braccianti.. gli agrari avevano organizzato
delle “ squadre” che “ visitavano” le cascine
per “ controllare” che non si ripetesse quanto
avvenuto nel ’48 con lo sciopero dei 40 giorni
che lasciò le mucche piangere nelle stalle
perché non munte. Noi, con altri studenti
della fgci, eravamo con i braccianti a sostenere
le loro lotte.
L’impatto fu subito positivo.. Nonostante
avesse il piglio “ del capo comunista” era
solare.. Parlava chiaro, dava disposizioni
precise, zittiva quelli che volevano fare
come nel ’48…e cioè abbondare le stalle…
In quello sciopero si discusse molto delle
forme di lotta, e lui il “ Renzo” o l’” Antonio”
come veniva amichevolmente chiamato dai compagni
sosteneva quella che altri chiamavano la
linea “ morbida”… Durante quella giornata
parlò molto con noi…Si informava su chi eravamo..dove
studiavamo ecc. Era molto attento alle nostre
sensazioni…
Il suo sorriso era aperto, largo e simpatico…
Un dirigente tutto d’un pezzo.
Solo nel dibattito nella direzione della
federazione comunista cremonese dopo l’intervento
russo in cecoslovacchia ho conosciuto l’Antoniazzi
politico. Le sue posizioni erano chiare e
di ferma condanno dell’intervento sovietico
con la “ primavera di Praga”. I suoi duelli
con l’ala dura del pci, Arnaldo Bera, era
spumeggianti. Insomma noi giovani “ antosvietici”
guardavamo a questo ed altri dirigenti come
al futuro del PCI. Allora , ufficialmente
, il pci era monolitico…ma non era così..
Antoniazzi apparteneva alla corrente “ migliorista”,
era vicino a Napolitano , ad Amendola, amico
di Lama. Faceva parte di quegli uomini che
guardavano al partito socialista e che lavoravano
per l’unità della sinistra sotto un unico
partito. Da segretario della Cgil Cremonese
seppe guidare i processi di crisi delle fabbriche
con maestria…. Lavorava per l’accordo…Sosteneva
le occupazioni dei lavoratori ma lavorava
per soluzioni positive.. Era stimato dai
lavoratori ed ammirato dalle donne. Alto,slanciato,
sorridente piaceva …sapeva tenere bene le
assemblee, la piazza… Era un dirigente stimato
ed aperto.
“ Diffida, mi diceva, di chi non ride mai”.
Noi giovani lo sostenemmo candidato al parlamento
in alternativa ad Evelino Abeni, allora segretario
della Federazione Cremonese del pci. Fu un
buon parlamentare.. Si occupò per davvero
dei problemi dei suoi elettori, della sua
gente. Sapeva fare il “ mestiere” del politico
ma sapeva rappresentare bene i suoi elettori.
Il legame con la Cgil era sempre forte… Si
battè con la dovuta forza contro il terrorismo
… Osteggiava con determinazione quella benevola
definizione che girava in alcuni ambienti
della sinistra che tendeva a dipingere i
terroristi come “ i compagni che sbagliano”.
Forte ed appassionato fu un suo intervento
al Cittanova per dimostrare che quelli non
erano “ compagni che sbagliavano”, ma terroristi,
delinquenti che nulla avevano a che vedere
con la nostra storia comunista e di sinistra…
Nel partito mi ricordo le sue insofferenze
verso il Berlinguer dell’ultima fase; il
Berlinguer che decise di raccogliere le firme
per sostenere il referendum sulla scala mobile.
Aveva previsto la sconfitta e la fine di
una fase politica. Sostenne con convinzione
la svolta di Occhetto e assieme a lui organizzammo
il congresso della svolta. Un uomo che si
era fatto carico della identità dei pci ma
che aveva avvertito i suoi limiti e la necessità
di porre fine alla divisione a sinistra.
Un uomo unitario che lavorava per la classe
operaia e per chi aveva sofferto per le umili
origini.
Un uomo di sinistra, un socialista nel pci.
Un sentito grazie per la passione che ci
hai trasmesso.
Gian Carlo Storti
cremona 17 ottobre 2005
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Botta e risposta fra Evelino Abeni e Gian
Carlo Storti sulla candidatura di Renzo Antoniazzi
al Senato.
Caro Direttore,
la memoria deve aver giocato uno scherzo
a Gian Carlo Storti (capita talvolta anche
a me che peraltro sono più vecchio di lui)
se – all’interno di una nota che rende omaggio
alla memoria di Renzo Antoniazzi, autorevole
esponente della sinistra cremonese, purtroppo
recentemente scomparso – ha potuto scrivere
che “noi giovani lo sostenemmo candidato
al Parlamento in alternativa a Evelino Abeni,
allora segretario della federazione cremonese
del Pci”. Infatti il problema di una mia
candidatura al Parlamento non si è mai posto,
né allora, né prima, né poi, per tutta una
serie di ragioni che non mi pare il caso
qui di elencare. Basti soltanto sottolineare
che, in quel 1979, ero impegnato a dirigere
il partito in una fase difficile e delicata,
che sconsigliava di mettere in campo ipotesi
di avvicendamento relativamente al segretario
dlla Federazione. Non si trascuri poi che
– allora – avevo trentotto anni e non possedevo
neppure il requisito dell’età per poter essere
eletto al Senato della Repubblica (non ero,
insomma, fra i “giovani” come Storti… ma
non ero neppure un vecchietto). In sostanza
se – per poter parlare di una candidatura
alternativa ad Antoniazzi – i requisiti minimi
dovevano essere, perlomeno, che vi fosse
una proposta in tal senso e che la stessa
riscontrasse la condivisione da parte dell’interessato
(cioè io), quei requisiti non vi furono.
E, meno che mai, vi fu una mia autocandidatura
né la mia disponibilità per l’attività parlamentare,
certamente lusinghiera e prestigiosa per
chi p chiamato a svolgerla, ma che non rientrava
nei miei orizzonti di interesse, proiettati
– nei miei desideri di allora – in altre
direzioni, relativamente alle mie possibili
esperienze future. Esperienze che – successivamente
all’abbandono della carica di segretario
della Federazione – ebbi l’opportunità di
fare (vedi elezione in consiglio Regionale)
grazie alla fiducia e al consenso ottenuto
dal partito e dagli elettori.
Semmai si volesse parlare di una alternativa
alla candidatura di Antoniazzi, nel 1979,
ci si dovrebbe riferire all’ipotesi di rielezione
– per un terso mandato parlamentare – del
senatore Giuseppe Garoli, che aveva sì compiuto
due mandati (secondo le regole di comportamento
che ci eravamo dati alla federazione di Cremona)
ma che risultarono più brevi rispetto ai
previsti dieci anni, in ragione di due consecutivi
scioglimenti anticipati del Parlamento. Di
quello discutemmo allora, assieme alla direzione
nazionale del partito ed al Gruppo comunista
del
Senato. E non fu certo una discussione logorante,
dal momento che fu lo stesso Garoli – con
la sensibilità, la correttezza, la disponibilità
verso il partito, e la personale umiltà che
lo contraddistinguevano – a dichiarare la
sua rinuncia nonostante potesse annoverare
un’apprezzata attività parlamentare ampiamente
riconosciutagli, soprattutto quale responsabile
del Pci nella commissione lavoro del Senato
(incarico in cui gli subentrò Antoniazzi
dopo la sua elezione). In seguito alla rinuncia
di Garoli, la candidatura di Renzo Antoniazzi
trovò il sostegno unanime del gruppo dirigente
della federazione, e di tutto il partito
sia a livello cremonese che a livello nazionale.
Questa è la realtà dei fatti relativamente
alla vicenda delle candidature del Pci a
Cremona in quel 1979 (e, diversamente da
quel che talvolta mi accade, di tale vicenda
ho un nitido ricordo, avendola vissuta, come
si comprende, in prima persona e, rispetto
alla quale, potrei fornire altri utili elementi
di conoscenza, che però non mi par il caso
di riprendere qui, in questo momento). Né
io, né, credo, probabilmente Gian Carlo Storti,
abbiamo in mente di ricavarci una nicchia
nella storia… ma semmai qualcuno, un giorno,
avesse in mente di scrivere di quei momenti,
è bene che abbia modo di riferirsi agli esatti
dati di fatto.
Evelino Abeni
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Risponde Gian Carlo Storti:
Caro compagno Evelino Abeni, quando ho scritto,
non da storico ma come persona, quel ricordo
di Renzo Antoniazzi l’ho fatto per testimoniare
pubblicamente, io che sono un personaggio
minore, molto minore della politica cremonese,
il ringraziamento ad una persona che ha dato
fiducia, per le sue idee, ad un gruppo di
giovani, entrato nel Pci, dopo le lotte studentesche
del ‘68, che vedeva allora un partito in
bilico fra la strada “ socialdemocratica”
e “ l’innovazione , il rinnovamento, delle
ideologie leniniste e comuniste”, dilemma
“risolto” dopo qualche anno da Berlinguer
con la “ Terza via al Comunismo”. Fui sinceramente
felice che Renzo Antoniazzi diventò senatore
. In questo modo si rafforzava, per lo meno
a livello nazionale, quella linea chiamata
“ migliorista” ancora troppo debole numericamente.
In quegli anni infatti il sindacato, per
usare un termine non scientifico ma che rende
l’idea, era piu’ a destra del partito. Ricordo
della posizione della Cgil contro l’intervento
russo in Ungheria ecc. Nella Cgil l’unità
del mondo del lavoro e l’unità socialista
rappresentavano per davvero un obiettivo
di breve termine ecc. Ti do atto che nel
ricordare Antoniazzi avrei potuto evitare
di scrivere in alternativa “ad Evelino Abeni,
allora segretario della Federazione Cremonese
del Pci”. Avrei dovuto rimanere sulle generali
e valorizzare di più un’altra figura . Il
compagno Giuseppe Garoli, appunto, che con
il suo passo indietro favorì sicuramente
la candidatura di Antoniazzi e l’unità degli
organi dirigenti, bene a cui tutti allora
tenevamo. Confermo che al momento del voto
negli organi dirigenti non esisteva la tua
candidatura, né tantomeno una tua auto-candidatura.
Garoli rinunciò al terzo mandato e si propose
Antoniazzi che all’unanimità venne eletto.
Sicuramente, è certo, gli anni che scorrono
appannano la memoria. Altra certezza è che
dei fatti non esiste una sola lettura (una
sola verità) ma interpretazioni diverse.
Il senso del mio ragionamento, che non ho
esplicitato, è che tu allora eri portatore
di una linea politica diversa, o con sfumature
molto diverse da quella di Antoniazzi, e
io questo lo avvertivo molto bene nonostante
la mia giovane età. Allora il Pci aveva questa
grande capacità di fare unità sui gruppi
dirigenti anche se le linee politiche erano
molto differenti. Di queste cose si discusse,
come si discusse anche di un prolungamento
della riconferma di Garoli per altri quattro
anni, appunto per dare la possibilità a te,
che come tu stesso hai ricordato avevi solo
38 anni, di esercitare ancora il ruolo di
segretario di federazione per qualche tempo.
La saggia e lungimirante scelta di Garoli
tolse tutti dall’imbarazzo e andò come tutti
ormai sanno. Mi scuso se la citazione della
tua persona ti ha creato disagio. Non volevo
sicuramente, come del resto non è mio costume,
raccontare cose e fatti diversi della realtà.
Al massimo, la realtà la posso leggere diversamente
da altri. Con immutata stima, cordiali saluti.
Gian Carlo Storti.
Cremona 30 ottobre 2005
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· materiale raccolto ed ordinato da Gian
Carlo Storti
· cremona, febbraio 2006
 
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