15 Settembre, 2002
Spineda, comune di confine.
Matilde di Canossa,Giuseppe Barbiani ed il palazzo Cavalcabò
Spineda
Spineda (C.A.P. 26030) dista 41 chilometri
da Cremona, capoluogo della omonima provincia.
Spineda conta 620 abitanti (Spinedesi) e
ha una superficie di 10,3 chilometri quadrati
per una densità abitativa di 60,19 abitanti
per chilometro quadrato. Sorge a 23 metri
sopra il livello del mare.
Cenni anagrafici: Il comune di Spineda ha
fatto registrare nel censimento del 1991
una popolazione pari a 639 abitanti. Nel
censimento del 2001 ha fatto registrare una
popolazione pari a 620 abitanti, mostrando
quindi nel decennio 1991 - 2001 una variazione
percentuale di abitanti pari al -2,97%.
Gli abitanti sono distribuiti in 250 nuclei
familiari con una media per nucleo familiare
di 2,48 componenti.
Cenni geografici: Il territorio del comune
risulta compreso tra i 20 e i 27 metri sul
livello del mare.
L'escursione altimetrica complessiva risulta
essere pari a 7 metri.
Cenni occupazionali: Risultano insistere
sul territorio del comune 0 attività industriali
con 0 addetti pari al 0,00% della forza lavoro
occupata, 9 attività di servizio con 19 addetti
pari al 8,11% della forza lavoro occupata,
altre 23 attività di servizio con 65 addetti
pari al 17,12% della forza lavoro occupata
e 4 attività amministrative con 4 addetti
pari al 20,72% della forza lavoro occupata.
Risultano occupati complessivamente 111 individui,
pari al 17,90% del numero complessivo di
abitanti del comune.
La storia
«Spineta ager saguinis» - “campo di sangue”
l’aveva chiamato il parroco, nel 1697, il
territorio di Spineda, incuneato nel Mantovano,
scenario di sanguinose lotte nei primi secoli
testimoniati da documenti scritti.
L’archeologia ha restituito però frammenti
di una storia antica: del neolitico (6000-4000
a.C.), dell’età del bronzo (2500-1500 a.C.).
Nell’antico alveo del fiume – ora “bagnato”
dal Navarolo e dal Canale Bogina attraversando
i territori di Rivarolo Mantovano, Cividale,
Spineda e Commessaggio – in località Bocca
Chiavica e, successivamente, in località
Campo Balano, gli scavi hanno evidenziato
l’esistenza di insediamenti preistorici.
Il ritrovamento di lamelle di ossidiana (di
origine vulcanica) dimostra poi il contatto
di quelle popolazioni con il Sud della penisola.
Aprono uno squarcio sulla vita di tutti i
giorni dell’età del bronzo i suppellettili,
resti di animali cacciati e consumati, parti
di monumenti funebri ritrovati in località
Campo Prebenda Parrocchiale.
La documentazione scritta, invece, inizia
con raccontarci di “passaggi di proprietà”
fra signorie di questa terra in posizione
strategica.
«I primi documenti che citano il luogo risalgono
al 1034 (permuta da parte di Ugo, figlio
del Conte di Sabbioneta) e dal 1084 (donazione
di un terreno ai canonici di Cremona). Nel
1177 Federico Barbarossa conferma i diritti
dell’abbazia benedettina di Leno su Spineda,
che nel 1194 passò al monastero di San Benedetto
in Polirone. Alla fine del ‘200 il paese
passò sotto il comune di Cremona e all’inizio
del ‘400, con l’estendersi delle conquiste
del signore di Mantova Gianfrancesco Gonzaga,
la zona si trovò esposta ad eventi bellici.
Col passaggio del Cremonese ai Visconti e
le successive contese con la Serenissima,
Spineda fu occupata dal 1427 al 1438 dai
Veneziani. Tra la fine del ‘400 e l’inizio
‘500 si avvicendarono sul nostro suolo diversi
feudatari. Durante la dominazione spagnola
(1535-1713) Spineda fu saccheggiata due volte
(1628 e 1702) da truppe “alemanne”, che infierirono
sulla popolazione. Si susseguirono poi Francesi,
Spagnoli e Austriaci fino al Risorgimento.»
Nel significato di un toponimo si tenta di
individuare la prima traccia di una “identità
storica”, a volte l’elemento chiave di una
“leggenda di fondazione”. Così è accaduto
anche per Spineda.
«Lo storico Giuseppe Bresciani (1600) ha
scritto che Spineda in origine si chiamava
Vico Settimio ed era stata fondata da un
capitano romano di Ottaviano nel 697 dopo
una vittoria riportata presso Modena contro
Bruto Cassio e Marco Antonio. Vico Settimio,
dice ancora lo storico, divenne Spineta quando
un cavaliere longobardo di nome Federico
le diede il nome della moglie Spineta che
apparteneva alla nobile famiglia dei Somma
di Cremona.»
Se poi il nome del paese fosse ricordo delle
«folte brughiere di rovi e di spini» che
ricoprivano la zona (dal latino “spinetum”),
agli occhi di qualcuno questa versione agreste
potrebbe solo accrescere il fascino del luogo.
Tanto più perché alle boscaglie è legato
un episodio significativo della storia non
soltanto locale: il 6 aprile 1052, proprio
nei boschi di Spineda, Scarpetta da Parma
uccise a tradimento il «grande e terribile»
Bonifacio, Duca e Marchese di Tuscia, padre
della Contessa Matilde di Canossa.
Matilde di Canossa
Non è e non è stata una “santa” ma sicuramente
è stata la donna più potente del medioevo
ed è anche oggi una figura emblematica. Non
tanto per «l’alone secolare del mito» ma
proprio per il suo percorso ricostruito grazie
ad approfondite ricerche storiche.
«Matilde di Canossa nasce nel 1046 [a Mantova],
orfana ancora bambina del grande e terribile
Bonifacio, eredita dal padre e, in seguito,
dal secondo marito della madre, Goffedo di
Lorena, le ricchezze ed i feudi che comprendevano
mezza Italia oltre i domini di Lorena, con
la piena consapevolezza dei suoi diritti
e della sua potenza. Dalla madre, Beatrice,
e dal precettore, S. Anselmo di Lucca, trae
una profonda religiosità che non è in contrasto
con un virile addestramento guerresco e con
la pratica di governo, cui si dedica fin
dai primi anni.»
E la Contessa di Canossa ha un vero “impero”
da governare; le sue terre arrivano dal lago
d’Iseo quasi fino alle porte di Roma, toccano
l’Adriatico nel Comacchio e si estendono
sulla costa da La Spezia fin giù alla Maremma.
Ha tutto, Matilde, mari e monti e fertili
pianure. Ma tutto si frantumerà alla morte
di Matilde senza eredi, poco restando nelle
mani dei rami cadetti della famiglia degli
Attoni, di cui suo nonno fu capostipite.
È cugina di Enrico IV – alla sua corte aveva
passato alcuni anni della sua adolescenza
– ma nel contrasto di questo con il papa
Gregorio VII (Ildebrando di Soana), per antica
tradizione dei Canossa e per convinzione
personale, sceglie di stare dalla parte del
Papa, in mezzo ad un conflitto che presto
diventa guerra delle armi.
Non è un caso, dunque, se Gregorio VII decide
di rifugiarsi a Canossa e il suo “leggendario”
incontro con Enrico IV, nel 1077, avviene
anche con la mediazione di Matilde. Enrico
IV la “ripagherà” con la devastazione dei
suoi feudi dei quali, inoltre, sarà presto
privata.
Matilde di Canossa, povera donna senza famiglia,
messa al bando, rifugiata sotto la protezione
di un potente? Niente affatto. Rifugiata
sì, arroccata con pochi fedeli nell’Appennino,
a difendersi e a dare battaglia alle forze
imperiali, a «continuare nella sua opera
di appoggio alla chiesa, di difesa dei suoi
domini, di fondazione di opere benefiche,
di concessione di autonomie alle città ancora
fedeli, dove sorsero i primi comuni».
È in contatto epistolare con il grande filosofo
S. Anselmo d’Aosta, partecipa all’istituzione
della scuola giuridica di Bologna, costruisce
strade, ospizi e “pievi”. A Canossa accoglie
regnanti e santi, a Guastalla ospita due
Concili (1096, 1106). La pluridecennale guerra
non sembra aver scalfito il potere della
sua persona. L’ha però convinta dell’inutilità
della guerra stessa.
A Enrico IV nel 1111 succede il figlio Enrico
V; Matilde di Canossa è di nuovo nel ruolo
di mediatrice affinché i contrasti con il
papato potessero aver fine con una pacifica
incoronazione. Il nuovo imperatore la chiamerà
“vice regina d’Italia”, passando a trovarla
a Bianello; un incontro ricordato tutt’oggi
perché incontro, premessa di pace. E Matilde
si spegnerà, in pace, nel 1115.
A Spineda, come testimonianza del legame
con il casato, resta la “cascina Matilde”,
ora proprietà della comunità spinedese.
Giuseppe Barbiani
Per celebrare il 150° anniversario della
nascita di Giuseppe Barbiani, con il patrocinio
della Provincia e del Comune di Spineda,
dell’Assessorato alle Culture Identità e
Autonomie della Lombardia e delle organizzazioni
sindacali, l’associazione “Teatralia” ha
realizzato una piece teatrale per rappresentare
la vita e il pensiero di Barbiani, basata
su testo di Giovanni Borsella: «Giuseppe
Barbiani contro il Regno della fame». Al
Barbiani “pioniere delle lotte contadine”
Giovani Borsella aveva dedicato uno studio
ripercorrendo la formazione del suo pensiero,
la sua attività, il ricordo della sua persona
che a lungo riecheggiò nei racconti dei vecchi.
È dalla ricerca di Borsella che dobbiamo
partire per conoscere questo straordinario
personaggio.
Figlio di lavoratori della terra, Barbiani
nasce a Spineda il 16 luglio 1852. Andare
a lavorare a Cremona come cameriere o commesso,
aprire un negozietto con l’aiuto finanziario
di uno zio prete, per lui doveva significare
il primo passo di una “ascesa” sociale. Ma
tornerà presto al paese per affittare un
piccolo pezzo di terra da lavorare; nel 1875
lo troviamo al “Cudivan” di Spineda. «Lo
chiamavano “Pepu a dala patarina” per la
sua agilità e prestanza fisica.» E “Pepu”
inizia la sua missione per i diritti degli
«uomini della terra» la cui miseria non era
certo diminuita quando le «ruberie di Napoleone
ai danni della Chiesa» avevano regalato più
ricchezza e più potere ai grandi proprietari
terrieri. Non era certo la soluzione di alcuna
“questione sociale”, ma «sui terreni della
proprietà ecclesiale, tutti i poveri avevano
diritto di legnatico, spigoleggio, di raccolte
varie e di pascolo per il bestiame minuto».
Barbiani entra in contatto con l’organizzazione
di Francesco Siliprandi, nativo di Curtatone
(Mantova), ex garibaldino, convinto proudhoniano,
collaboratore dei giornali socialisti del
mantovano, fondatore de “Il Lavoratore”,
promotore di organizzazioni di resistenza
e di mutuo soccorso tra operai e contadini.
(I suoi scritti sono stati ristampati, dopo
lungo e immeritato silenzio: Francesco Siliprandi,
Microbi e Polizie. Scritti Giornalistici
1874-1887, Edizioni Nomade Psichico, 2004)
Barbiani, già consigliere e assessore comunale
a Spineda, nel 1882 fonda una società di
contadini e guida lo sciopero degli operai
di Bozzolo, guadagnandosi l’arresto. Ma non
è questa l’ultima volta che deve fronteggiare
la “giustizia” dei tribunali. Lo troveremo
imputato – assolto – anche a Venezia, nel
processo contro il movimento “La boje”. In
seguito il suo rapporto con il Partito socialista
diventa organico; si trasferisce a Cremona
e per un breve periodo è funzionario della
Camera del lavoro. A seguito di uno sciopero
viene condannato. Se ne andrà in Svizzera
per restarci fino al 1897. Le lettere che
aveva scambiato in quegli anni con Lenin,
lo seguiranno nella tomba, secondo le sue
volontà. L’ultima attività politico-sindacale
di cui si hanno notizie è la costituzione
di una Lega di resistenza tra contadini,
nel 1901, a Spineda. Poi resta il silenzio
fino alla morte avvenuta il 9 dicembre 1939.
Il silenzio si stese per lungo tempo sulla
sua figura anche dopo la morte. Figura complessa,
scomoda per le sbrigative catalogazioni.
Don Carlo Bellò, in tempi più recenti, ne
aveva ricordato «l’evangelici risentimenti
verso la Chiesa che ignorasse i poveri e
le loro quotidiane sofferenze». Ai tempi
del processo “La Boje”, Andrea Costa, deputato
socialista, presente a Venezia come corrispondente
del giornale radicale “Il Messaggero”, annotava
osservando Barbiani: «in quello sguardo vivace
e profondo, in quella fisionomia seria, cupa,
in quei forti muscoli, nelle idee francamente
socialistiche che professa e nell’affetto
che hanno per lui i contadini, l’accusa vede,
e non ha torto, una minaccia continua contro
l’ordine costituito e contro la tranquillità
preziosissima dei grandi proprietari.» (Giuseppe
Manfrin, Barbiani e le prime lotte contadine
padane, “Avanti della Domenica”, 28 luglio
2002)
Per cogliere l’indistruttibile nocciolo del
suo pensiero forse basta il primo dei dieci
“Comandamenti del Lavoratore”, scritti nel
dicembre 1884: «Il Socialismo, espressione
più pura e sincera del vero e del bene, è
il Dio degli oppressi».
Don Luigi Fantini
Quarant'anni fa, il 1º marzo 1958, terminava
il suo apostolato sulla terra, non ancora
settantenne, don Luigi Fantini. Era nato
a Casalmaggiore il 28 aprile 1888 e fu Parroco
di Spineda dal 1934 (in sostituzione di don
Giovanni Sereni), fino al suo ultimo giorno.
Palazzo Cavalcabò
Dal XV secolo dimora dei marchesi Cavalcabò
signori di Viadana, il Palazzo Cavalcabò
acquista la forma attuale con la ristrutturazione
avviata attorno al 1790 da Agostino IV Cavalcabò,
nato a Spineda il 17 agosto 1716, giureconsulto
patrizio e Regio delegato dalle poste di
Cremona. La villa fu ampliata, dotata nel
retro di un recinto detto brolo, con frutti,
pergolati e ortaggi trasformato successivamente
in parco (1848). La moglie, donna Teopista
Annoni, ne continuò l’opera alla sua morte
(1796) innalzando l’arco d’ingresso su disegno
dell’architetto Luigi Voghera.
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Il municipio è sito in Via Roma 106, tel.
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Gli Amministratori del Comune di SPINEDA
Sindaco (eletto nel 2004): CALEFFI DAVIDE
La Giunta:
BARBIANI MARIO
BONFATTI SABBIONI FABRIZIO
CASTOLDI FABIO GIUSEPPE
GHIDINI DONATA
Il Consiglio:
BAZZANI MARIO
PAGANI CLAUDIA
PAGLIARI STEFANO
SARZI FRANCO
TENEDINI CRISTIANO
TONNI CHRISTIAN
TORCHIO GIUSEPPE
VEZZONI PAOLO
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Si ringrazia il comune di Spineda per la
collaborazione
Sito: http://www.comune.spineda.cr.it/
· materiale organizzato da Gian Carlo Storti
· cremona, gennaio 2006
 
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